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Franco Ordine dal CorSport in edicola: capita l’antifona, ha alzato le mani e si è consegnato al patibolo della critica. «Mi assumo tutte le responsabilità di questo mondo» la frase-simbolo pronunciata da Stefano Pioli nella notte amarissima di Monza al culmine di quel 4 a 2 pesante come una randellata sulle gambe che ha messo fi ne alla rincorsa del secondo posto. In altre circostanze - tipo dopo il disastroso derby dell’andata («per 7 minuti abbiamo avuto il possesso palla») - a qualche espressione non proprio effi cace Pioli era stato “impiccato” oltre che preso di mira dalla fucileria del club rivale. Questa volta ha cambiato registro per assolvere in particolare gli autentici colpevoli di quella prova disastrosa a cominciare da alcuni pallidi esponenti della panchina (Adli, Okafor e Chukwueze) schierati in apertura per poi tenere al riparo gli autori del danno procurato, dagli strafalcioni di Thiaw e dalla scomposta reazione di Jovic, fino ad allora tenuto in campo perché ritenuto pedina utile alla rimonta eff ettuata subito dopo la sua espulsione. La spiegazione è semplice: perché molto solido, nonostante alti e bassi ripetuti nel rendimento - l’uscita dal girone di Champions e quella filastrocca di derby persi - è il rapporto con il suo spogliatoio. Non ne ha mai perso né la stima e nemmeno la fiducia dichiarata. Può bastare tale sintonia per indurre il management di casa Milan e lo stesso Ibrahimovic, ormai entrato nell’ingranaggio a pieno titolo e con piena responsabilità, a confermare Stefano Pioli per la prossima stagione (contratto in scadenza già datato giugno 2025)? La risposta a questo punto della stagione è no. Perché se l’intesa, umana e professionale tra tecnico e squadra, risulta un presupposto prezioso, di sicuro c’è bisogno di molto altro per decidere di rinviare ad altra dote un cambio di guida tecnica. E i motivi sono essenzialmente due: 1) perché le fragilità difensive tradite in questa stagione, al netto degli infortuni che pure hanno avuto un peso specifco sui numeri, sono documentate da cifre sempre più inquietanti (31 gol collezionati al passivo in 25 partite); 2) perché tale fragilità è conseguenza diretta di una costruzione del centrocampo con caratteristiche tutte dedite a proporre gioco e zero propenso a fare da protezione per i sodali della difesa. E sull’argomento forse è anche il caso di non sorvolare più sul rendimento di Mike Maignan, considerato fino a qualche mese prima, un autentico punto di forza del Milan. È come se il portiere francese avesse perso la kryptonite, il “nutrimento” del portiere di acciaio: gol presi sul proprio palo di competenza (a Salerno, Frosinone e Monza) intervallati da qualche prodigiosa parata.
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