AD Superlega:"Per club e tifosi. Tanti ci contattano. Il progetto".

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L'AD della Superlega intervistato da Tuttosport:

Buongiorno Reichart, ha sentito Joan Laporta? Ha spoilerato qualche nome di club aderenti alla Superlega. Un’uscita fuori tempo per voi?

«Joan Laporta è il presidente di uno dei più grandi club nel mondo e, per me, è incoraggiante vedere che un grande club sia così entusiasta della Superlega e così impaziente che questa prenda il via. Ma ho il mio lavoro e i miei compiti da svolgere, soprattutto dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea».

A proposito, a quasi cinquanta giorni dalla sentenza, cosa sta cambiando nello scenario del calcio?
«Penso che ogni club abbia capito che la sentenza ha le potenzialità di cambiare le regole in loro favore e dare loro maggiore controllo. Possono essere padroni del loro destino e soprattutto di scegliere, senza l’obbligo di rispondere a un monopolista. Parecchie società europee hanno messo al lavoro i loro uffici e i loro consulenti legali per capire quali sono i margini di manovra che la sentenza ha delineato. Tutto questo assomiglia molto alla situazione del post sentenza Bosman, ci vollero un paio di mesi perché tutti si rendessero conto di quanto fosse effettivamente rivoluzionaria».

Qual è l’atteggiamento dei club oggi?
«Società che prima erano più riluttanti, adesso hanno un approccio più curioso. Ci dicono: abbiamo visto che avete reso pubblico il format della competizione, vorremmo capirne di più. In molti ci ribadiscono la loro necessità di diventare più digitali e globali; per questo si interessano al progetto Unify, la piattaforma digitale che trasmetterà le partite e non solo».

Ecco, parliamo di Unify. Una applicazione di streaming con la quale trasmetterete le partite gratuitamente, cosa che ha creato scalpore e scetticismo nel mondo del calcio. Come pensate di riuscirci e perché nessuno ci ha mai pensato prima?
«Beh, non è vero che non lo hanno fatto. Il calcio gratuito esiste, per esempio la finale di Champions è in chiaro ovunque. E in generale l’attuale modello televisivo è basato sulla vendita di pubblicità e sugli abbonamenti, che sostanzialmente è anche il nostro il modello. Con la differenza che la nostra competizione offrirà fin dalla prima fase partite molto più interessanti e affascinanti, che quindi attrarranno centinaia di milioni di spettatori direttamente sulla nostra piattaforma consentendo ricavi pubblicitari sufficienti a offrire le partite gratis. In fondo, il nostro è il modello più diffuso nelle aziende che operano in modo diretto con gli utenti: ci sono quelle con un approccio gratuito con l’introduzione della possibilità di abbonamento per avere più servizi, per esempio Spotify. Oppure quelle con un approccio a pagamento, ma nel quale esiste una versione con la pubblicità per abbassare il costo dell’abbonamento come Netflix o Disney+. Ciò che è ovvio è che in questo momento il calcio sta perdendo pubblico perché è troppo costoso in molti Paesi europei e questo lo rende meno accessibile, soprattutto ai giovani. Il modello di ricavi della nostra piattaforma si basa sulla pubblicità perché Unify è allettante per il numero enorme di potenziali spettatori e il fatto di avere un pubblico specifico, nel senso che noi sappiamo chi sta guardando le partite. E questo va incontro alle esigenze dei grandi brand che sono disposti a pagare di più per target già profilati. L’altro lato del business sono i servizi: sappiamo che i tifosi, una volta arrivati sulla piattaforma, possono desiderare qualcosa in più e noi possiamo offrire loro i servizi più interessanti per loro. Un’esperienza migliore, per cui valga la pena pagare».

Insomma, da una parte l’esperienza base, quindi partite gratis con la pubblicità, dall’altra partite a pagamento senza pubblicità e altri contenuti, servizi, come l’acquisto di biglietti, di merchandising o la possibilità di entrare in contatto con i club e con i giocatori?
«Certo. Non c’è alcuna piattaforma che lega i club con i loro tifosi in questo modo. È un’opportunità unica quella che stiamo creando. Club e giocatori hanno tutti i loro account sui social media e tutti sanno quanti follower hanno, parliamo di decine o centinaia di milioni, ma né club né giocatori sono in grado di interagire in modo diretto con questi utenti, perché tutto viene mediato da Meta, X o Tik Tok. Altro esempio: i club sanno che milioni di spettatori vedono le loro partite, ma i contatti con questi utenti sono gestiti dalle tv o dalle piattaforme che trasmettono le partite stesse. Unify consentirebbe ai club di avere accesso diretto ai loro tifosi e i tifosi di avere accesso diretto ai club. Questo consentirebbe ai club di essere più internazionali e avere un impatto globale sul mercato».

Semplificando si può definire Unify lo Spotify del calcio: gratis con pubblicità, a pagamento senza e con altri servizi?
«Sì, più o meno. Ho un passato nella televisione e so che il dibattito è sempre quello: se alzi i prezzi per accedere al prodotto calcio, guadagni di più ma stringi il pubblico, se li abbassi allarghi il pubblico, ma stringi i ricavi. Trovare il bilanciamento è il segreto, ma oggi dobbiamo pensare che le generazioni più giovani stanno abbandonando il calcio perché è costoso e difficilmente accessibile. Quindi dobbiamo partire da qui. Tra l’altro, offrendo le partite gratis, la pirateria sarebbe sconfitta all’origine».

Quanti utenti potrebbe avere Unify?
«Non sono in grado di fornire dei numeri, stiamo logicamente tenendo in considerazione vari scenari: quello ottimistico, quello intermedio, quello pessimistico. I numeri non posso ancora svelarli. Però partiamo dal fatto che le finali di Coppa raccolgono un’audience calcolabile in centinaia di milioni di spettatori. Il nostro prodotto offrirebbe partite di quel livello fin dal primo turno a un pubblico mondiale».

Secondo voi quanti tifosi di calcio esistono nel mondo?
«Secondo la Fifa ce ne sono 5 miliardi, che forse sono un po’ sovrastimati. Ma anche se fossero la metà è un potenziale enorme. Il calcio è veramente “lo” sport globale e deve difendere questa posizione. I club europei sono i più importanti del mondo e quelli che attraggono più interesse e quindi sono i primi a dover essere difesi in quanto catalizzatori dell’attenzione globale».

Ma con la Superlega, cosa cambierebbe in concreto per i tifosi?
«Primo: aumenta il potere dei club. E i tifosi sono tifosi dei club. Non ho mai visto tifosi con la sciarpa dell’Uefa. Non sono tifosi di un ente privato con sede sul Lago di Ginevra, sono tifosi della loro squadra del cuore, probabilmente perché il loro papà lo era e loro vorrebbero tramandare questo amore ai figli. I club con la Superlega hanno la possibilità di pianificare il loro futuro in modo autonomo. Secondo: hanno la possibilità di vedere il miglior calcio del mondo gratis».
Dal punto di vista dei club in cosa la Superlega potrebbe essere migliore della nuova Champions League?
«Rinforzerà la loro stabilità economica. Darà loro la forza di programmare, perché nel nostro sistema possono contare su un minimo di 14 partite e su un ricavo fisso, con meno rischi di non averlo per la mancata qualificazione, perché potranno accedere dal campionato nazionale oppure potranno rimanere nella Superlega con una buona stagione internazionale. Così al fianco dei ricavi del loro campionato nazionale, che continuerà a esistere e a rappresentare la parte importante del loro budget, potranno avere un ricavo più stabile e meno aleatorio dalla competizione internazionale. Con il sistema attuale, c’è il paradosso che se raggiungi la finale di Champions League, quindi sei protagonista di una grande stagione internazionale, potresti non fare la Champions l’anno successivo perché non ti sei piazzato nel campionato nazionale».

Oggi ci sono enormi differenze economiche fra chi partecipa alla Champions e chi all’Europa League o alla Conference. Con le vostre tre competizioni come funzionerà la distribuzione?
«Questo sarà deciso dagli stessi club e solo dai club. Saranno le loro competizioni e saranno loro a decidere la ridist ribuzione, noi potremmo dare dei consigli, ma queste saranno le competizioni e decideranno loro».


Com’è il vostro rapporto con la Fifa?
«La nostra iniziativa è stata bloccata dall’Uefa, che è il monopolista delle competizioni europee e ha minacciato con sanzioni durissime i club che hanno portato avanti la proposta. Nella percezione comune, quindi, l’oppositore al nostro progetto è l’Uefa. La Fifa è un attore importante dello scenario, per esempio, per la questione del calendario, vogliamo collaborare con il sistema esistente, la nostra non è una iniziativa per scappare dal sistema, noi vogliamo contribuire in modo produttivo per risolvere i problemi più urgenti del calcio dentro il sistema e dentro il calendario che, in definitiva, è un potere della Fifa».

Quindi potrebbe esserci un dialogo con la Fifa?
«Vogliamo parlare con la Fifa per definire la forma e per avere il maggiore consenso possibile dentro la famiglia del calcio riguardo alla nostra proposta. Sì, non escludiamo nessuno dal dialogo. Siamo in grado e felici di dialogare con tutti».

Come mai ci sono club che fanno annunci pubblici contro la Superlega e poi in privato vi chiamano per chiedervi informazioni o per aderire? La Uefa di Ceferin fa così paura?
«Beh, vengono da settanta anni di monopolio, lo vogliono difendere e hanno un certo arsenale per farlo. La Uefa, all’epoca, aveva dichiarato che “andava in guerra” - questa è la frase che ha scelto usare - contro alcuni dei più grandi club del mondo, che hanno avuto bisogno della Corte Europea per difendersi da quelle minacce. Il modo con cui si è difesa la Uefa nel 2021 continua a fare paura oggi, perché l’Uefa è un’entità con troppi cappelli, non c’è alcuna separazione dei poteri e in certi frangenti l’Uefa ha anche maggiore potere dei governi nazionali. E questo è sotto osservazione, ora che la sentenza della Corte di Giustizia è diventata una legge europea a tutti gli effetti. Ma capisco la situazione dei club che devono gestire questa fase e, giustamente, non vogliono sbilanciarsi pubblicamente».

Trucchi di comunicazione.
«Un club mi ha detto: guarda, il comunicato che faremo sulla Superlega ha lo stesso valore del comunicato che facciamo per riconfermare la fiducia al nostro allenatore quando siamo ultimi in classifica, che mi ha fatto sorridere. Non posso dire chi, ma non era un club italiano».

Si è diffusa un’indiscrezione riguardo a una possibile causa da 3 miliardi della Superlega contro l’Uefa per i danni causati nel 2021. La può commentare?
«Non commento mai i rumors, tanto meno su vicende legali. Sono concentrato sul mio lavoro per il futuro».

Ha un messaggio finale ai tifosi europei?
«C’è troppa politica nel dibattito e questo non è divertente per loro che invece devono vederci come una alternativa legale, aperta e meritocratica, connessa con i campionati nazionali che renda i club europei più forti; un’alterativa che consenta ai tifosi di avere calcio migliore e solidale con la piramide, che affondi le radici alla base e sviluppi un vertice molto competitivo per garantire un futuro al calcio e restituirlo ai tifosi».
 
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L'AD della Superlega intervistato da Tuttosport:

Buongiorno Reichart, ha sentito Joan Laporta? Ha spoilerato qualche nome di club aderenti alla Superlega. Un’uscita fuori tempo per voi?

«Joan Laporta è il presidente di uno dei più grandi club nel mondo e, per me, è incoraggiante vedere che un grande club sia così entusiasta della Superlega e così impaziente che questa prenda il via. Ma ho il mio lavoro e i miei compiti da svolgere, soprattutto dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea».

A proposito, a quasi cinquanta giorni dalla sentenza, cosa sta cambiando nello scenario del calcio?
«Penso che ogni club abbia capito che la sentenza ha le potenzialità di cambiare le regole in loro favore e dare loro maggiore controllo. Possono essere padroni del loro destino e soprattutto di scegliere, senza l’obbligo di rispondere a un monopolista. Parecchie società europee hanno messo al lavoro i loro uffici e i loro consulenti legali per capire quali sono i margini di manovra che la sentenza ha delineato. Tutto questo assomiglia molto alla situazione del post sentenza Bosman, ci vollero un paio di mesi perché tutti si rendessero conto di quanto fosse effettivamente rivoluzionaria».

Qual è l’atteggiamento dei club oggi?
«Società che prima erano più riluttanti, adesso hanno un approccio più curioso. Ci dicono: abbiamo visto che avete reso pubblico il format della competizione, vorremmo capirne di più. In molti ci ribadiscono la loro necessità di diventare più digitali e globali; per questo si interessano al progetto Unify, la piattaforma digitale che trasmetterà le partite e non solo».

Ecco, parliamo di Unify. Una applicazione di streaming con la quale trasmetterete le partite gratuitamente, cosa che ha creato scalpore e scetticismo nel mondo del calcio. Come pensate di riuscirci e perché nessuno ci ha mai pensato prima?
«Beh, non è vero che non lo hanno fatto. Il calcio gratuito esiste, per esempio la finale di Champions è in chiaro ovunque. E in generale l’attuale modello televisivo è basato sulla vendita di pubblicità e sugli abbonamenti, che sostanzialmente è anche il nostro il modello. Con la differenza che la nostra competizione offrirà fin dalla prima fase partite molto più interessanti e affascinanti, che quindi attrarranno centinaia di milioni di spettatori direttamente sulla nostra piattaforma consentendo ricavi pubblicitari sufficienti a offrire le partite gratis. In fondo, il nostro è il modello più diffuso nelle aziende che operano in modo diretto con gli utenti: ci sono quelle con un approccio gratuito con l’introduzione della possibilità di abbonamento per avere più servizi, per esempio Spotify. Oppure quelle con un approccio a pagamento, ma nel quale esiste una versione con la pubblicità per abbassare il costo dell’abbonamento come Netflix o Disney+. Ciò che è ovvio è che in questo momento il calcio sta perdendo pubblico perché è troppo costoso in molti Paesi europei e questo lo rende meno accessibile, soprattutto ai giovani. Il modello di ricavi della nostra piattaforma si basa sulla pubblicità perché Unify è allettante per il numero enorme di potenziali spettatori e il fatto di avere un pubblico specifico, nel senso che noi sappiamo chi sta guardando le partite. E questo va incontro alle esigenze dei grandi brand che sono disposti a pagare di più per target già profilati. L’altro lato del business sono i servizi: sappiamo che i tifosi, una volta arrivati sulla piattaforma, possono desiderare qualcosa in più e noi possiamo offrire loro i servizi più interessanti per loro. Un’esperienza migliore, per cui valga la pena pagare».

Insomma, da una parte l’esperienza base, quindi partite gratis con la pubblicità, dall’altra partite a pagamento senza pubblicità e altri contenuti, servizi, come l’acquisto di biglietti, di merchandising o la possibilità di entrare in contatto con i club e con i giocatori?
«Certo. Non c’è alcuna piattaforma che lega i club con i loro tifosi in questo modo. È un’opportunità unica quella che stiamo creando. Club e giocatori hanno tutti i loro account sui social media e tutti sanno quanti follower hanno, parliamo di decine o centinaia di milioni, ma né club né giocatori sono in grado di interagire in modo diretto con questi utenti, perché tutto viene mediato da Meta, X o Tik Tok. Altro esempio: i club sanno che milioni di spettatori vedono le loro partite, ma i contatti con questi utenti sono gestiti dalle tv o dalle piattaforme che trasmettono le partite stesse. Unify consentirebbe ai club di avere accesso diretto ai loro tifosi e i tifosi di avere accesso diretto ai club. Questo consentirebbe ai club di essere più internazionali e avere un impatto globale sul mercato».

Semplificando si può definire Unify lo Spotify del calcio: gratis con pubblicità, a pagamento senza e con altri servizi?
«Sì, più o meno. Ho un passato nella televisione e so che il dibattito è sempre quello: se alzi i prezzi per accedere al prodotto calcio, guadagni di più ma stringi il pubblico, se li abbassi allarghi il pubblico, ma stringi i ricavi. Trovare il bilanciamento è il segreto, ma oggi dobbiamo pensare che le generazioni più giovani stanno abbandonando il calcio perché è costoso e difficilmente accessibile. Quindi dobbiamo partire da qui. Tra l’altro, offrendo le partite gratis, la pirateria sarebbe sconfitta all’origine».

Quanti utenti potrebbe avere Unify?
«Non sono in grado di fornire dei numeri, stiamo logicamente tenendo in considerazione vari scenari: quello ottimistico, quello intermedio, quello pessimistico. I numeri non posso ancora svelarli. Però partiamo dal fatto che le finali di Coppa raccolgono un’audience calcolabile in centinaia di milioni di spettatori. Il nostro prodotto offrirebbe partite di quel livello fin dal primo turno a un pubblico mondiale».

Secondo voi quanti tifosi di calcio esistono nel mondo?
«Secondo la Fifa ce ne sono 5 miliardi, che forse sono un po’ sovrastimati. Ma anche se fossero la metà è un potenziale enorme. Il calcio è veramente “lo” sport globale e deve difendere questa posizione. I club europei sono i più importanti del mondo e quelli che attraggono più interesse e quindi sono i primi a dover essere difesi in quanto catalizzatori dell’attenzione globale».

Ma con la Superlega, cosa cambierebbe in concreto per i tifosi?
«Primo: aumenta il potere dei club. E i tifosi sono tifosi dei club. Non ho mai visto tifosi con la sciarpa dell’Uefa. Non sono tifosi di un ente privato con sede sul Lago di Ginevra, sono tifosi della loro squadra del cuore, probabilmente perché il loro papà lo era e loro vorrebbero tramandare questo amore ai figli. I club con la Superlega hanno la possibilità di pianificare il loro futuro in modo autonomo. Secondo: hanno la possibilità di vedere il miglior calcio del mondo gratis».
Dal punto di vista dei club in cosa la Superlega potrebbe essere migliore della nuova Champions League?
«Rinforzerà la loro stabilità economica. Darà loro la forza di programmare, perché nel nostro sistema possono contare su un minimo di 14 partite e su un ricavo fisso, con meno rischi di non averlo per la mancata qualificazione, perché potranno accedere dal campionato nazionale oppure potranno rimanere nella Superlega con una buona stagione internazionale. Così al fianco dei ricavi del loro campionato nazionale, che continuerà a esistere e a rappresentare la parte importante del loro budget, potranno avere un ricavo più stabile e meno aleatorio dalla competizione internazionale. Con il sistema attuale, c’è il paradosso che se raggiungi la finale di Champions League, quindi sei protagonista di una grande stagione internazionale, potresti non fare la Champions l’anno successivo perché non ti sei piazzato nel campionato nazionale».

Oggi ci sono enormi differenze economiche fra chi partecipa alla Champions e chi all’Europa League o alla Conference. Con le vostre tre competizioni come funzionerà la distribuzione?
«Questo sarà deciso dagli stessi club e solo dai club. Saranno le loro competizioni e saranno loro a decidere la ridist ribuzione, noi potremmo dare dei consigli, ma queste saranno le competizioni e decideranno loro».


Com’è il vostro rapporto con la Fifa?
«La nostra iniziativa è stata bloccata dall’Uefa, che è il monopolista delle competizioni europee e ha minacciato con sanzioni durissime i club che hanno portato avanti la proposta. Nella percezione comune, quindi, l’oppositore al nostro progetto è l’Uefa. La Fifa è un attore importante dello scenario, per esempio, per la questione del calendario, vogliamo collaborare con il sistema esistente, la nostra non è una iniziativa per scappare dal sistema, noi vogliamo contribuire in modo produttivo per risolvere i problemi più urgenti del calcio dentro il sistema e dentro il calendario che, in definitiva, è un potere della Fifa».

Quindi potrebbe esserci un dialogo con la Fifa?
«Vogliamo parlare con la Fifa per definire la forma e per avere il maggiore consenso possibile dentro la famiglia del calcio riguardo alla nostra proposta. Sì, non escludiamo nessuno dal dialogo. Siamo in grado e felici di dialogare con tutti».

Come mai ci sono club che fanno annunci pubblici contro la Superlega e poi in privato vi chiamano per chiedervi informazioni o per aderire? La Uefa di Ceferin fa così paura?
«Beh, vengono da settanta anni di monopolio, lo vogliono difendere e hanno un certo arsenale per farlo. La Uefa, all’epoca, aveva dichiarato che “andava in guerra” - questa è la frase che ha scelto usare - contro alcuni dei più grandi club del mondo, che hanno avuto bisogno della Corte Europea per difendersi da quelle minacce. Il modo con cui si è difesa la Uefa nel 2021 continua a fare paura oggi, perché l’Uefa è un’entità con troppi cappelli, non c’è alcuna separazione dei poteri e in certi frangenti l’Uefa ha anche maggiore potere dei governi nazionali. E questo è sotto osservazione, ora che la sentenza della Corte di Giustizia è diventata una legge europea a tutti gli effetti. Ma capisco la situazione dei club che devono gestire questa fase e, giustamente, non vogliono sbilanciarsi pubblicamente».

Trucchi di comunicazione.
«Un club mi ha detto: guarda, il comunicato che faremo sulla Superlega ha lo stesso valore del comunicato che facciamo per riconfermare la fiducia al nostro allenatore quando siamo ultimi in classifica, che mi ha fatto sorridere. Non posso dire chi, ma non era un club italiano».

Si è diffusa un’indiscrezione riguardo a una possibile causa da 3 miliardi della Superlega contro l’Uefa per i danni causati nel 2021. La può commentare?
«Non commento mai i rumors, tanto meno su vicende legali. Sono concentrato sul mio lavoro per il futuro».

Ha un messaggio finale ai tifosi europei?
«C’è troppa politica nel dibattito e questo non è divertente per loro che invece devono vederci come una alternativa legale, aperta e meritocratica, connessa con i campionati nazionali che renda i club europei più forti; un’alterativa che consenta ai tifosi di avere calcio migliore e solidale con la piramide, che affondi le radici alla base e sviluppi un vertice molto competitivo per garantire un futuro al calcio e restituirlo ai tifosi».

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A me sembra tutto palesemente una gran trollata (a partire dai loghi che ho visto che dai...)
Però nel mondo di oggi mai dire mai.
 

malos

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L'AD della Superlega intervistato da Tuttosport:

Buongiorno Reichart, ha sentito Joan Laporta? Ha spoilerato qualche nome di club aderenti alla Superlega. Un’uscita fuori tempo per voi?

«Joan Laporta è il presidente di uno dei più grandi club nel mondo e, per me, è incoraggiante vedere che un grande club sia così entusiasta della Superlega e così impaziente che questa prenda il via. Ma ho il mio lavoro e i miei compiti da svolgere, soprattutto dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea».

A proposito, a quasi cinquanta giorni dalla sentenza, cosa sta cambiando nello scenario del calcio?
«Penso che ogni club abbia capito che la sentenza ha le potenzialità di cambiare le regole in loro favore e dare loro maggiore controllo. Possono essere padroni del loro destino e soprattutto di scegliere, senza l’obbligo di rispondere a un monopolista. Parecchie società europee hanno messo al lavoro i loro uffici e i loro consulenti legali per capire quali sono i margini di manovra che la sentenza ha delineato. Tutto questo assomiglia molto alla situazione del post sentenza Bosman, ci vollero un paio di mesi perché tutti si rendessero conto di quanto fosse effettivamente rivoluzionaria».

Qual è l’atteggiamento dei club oggi?
«Società che prima erano più riluttanti, adesso hanno un approccio più curioso. Ci dicono: abbiamo visto che avete reso pubblico il format della competizione, vorremmo capirne di più. In molti ci ribadiscono la loro necessità di diventare più digitali e globali; per questo si interessano al progetto Unify, la piattaforma digitale che trasmetterà le partite e non solo».

Ecco, parliamo di Unify. Una applicazione di streaming con la quale trasmetterete le partite gratuitamente, cosa che ha creato scalpore e scetticismo nel mondo del calcio. Come pensate di riuscirci e perché nessuno ci ha mai pensato prima?
«Beh, non è vero che non lo hanno fatto. Il calcio gratuito esiste, per esempio la finale di Champions è in chiaro ovunque. E in generale l’attuale modello televisivo è basato sulla vendita di pubblicità e sugli abbonamenti, che sostanzialmente è anche il nostro il modello. Con la differenza che la nostra competizione offrirà fin dalla prima fase partite molto più interessanti e affascinanti, che quindi attrarranno centinaia di milioni di spettatori direttamente sulla nostra piattaforma consentendo ricavi pubblicitari sufficienti a offrire le partite gratis. In fondo, il nostro è il modello più diffuso nelle aziende che operano in modo diretto con gli utenti: ci sono quelle con un approccio gratuito con l’introduzione della possibilità di abbonamento per avere più servizi, per esempio Spotify. Oppure quelle con un approccio a pagamento, ma nel quale esiste una versione con la pubblicità per abbassare il costo dell’abbonamento come Netflix o Disney+. Ciò che è ovvio è che in questo momento il calcio sta perdendo pubblico perché è troppo costoso in molti Paesi europei e questo lo rende meno accessibile, soprattutto ai giovani. Il modello di ricavi della nostra piattaforma si basa sulla pubblicità perché Unify è allettante per il numero enorme di potenziali spettatori e il fatto di avere un pubblico specifico, nel senso che noi sappiamo chi sta guardando le partite. E questo va incontro alle esigenze dei grandi brand che sono disposti a pagare di più per target già profilati. L’altro lato del business sono i servizi: sappiamo che i tifosi, una volta arrivati sulla piattaforma, possono desiderare qualcosa in più e noi possiamo offrire loro i servizi più interessanti per loro. Un’esperienza migliore, per cui valga la pena pagare».

Insomma, da una parte l’esperienza base, quindi partite gratis con la pubblicità, dall’altra partite a pagamento senza pubblicità e altri contenuti, servizi, come l’acquisto di biglietti, di merchandising o la possibilità di entrare in contatto con i club e con i giocatori?
«Certo. Non c’è alcuna piattaforma che lega i club con i loro tifosi in questo modo. È un’opportunità unica quella che stiamo creando. Club e giocatori hanno tutti i loro account sui social media e tutti sanno quanti follower hanno, parliamo di decine o centinaia di milioni, ma né club né giocatori sono in grado di interagire in modo diretto con questi utenti, perché tutto viene mediato da Meta, X o Tik Tok. Altro esempio: i club sanno che milioni di spettatori vedono le loro partite, ma i contatti con questi utenti sono gestiti dalle tv o dalle piattaforme che trasmettono le partite stesse. Unify consentirebbe ai club di avere accesso diretto ai loro tifosi e i tifosi di avere accesso diretto ai club. Questo consentirebbe ai club di essere più internazionali e avere un impatto globale sul mercato».

Semplificando si può definire Unify lo Spotify del calcio: gratis con pubblicità, a pagamento senza e con altri servizi?
«Sì, più o meno. Ho un passato nella televisione e so che il dibattito è sempre quello: se alzi i prezzi per accedere al prodotto calcio, guadagni di più ma stringi il pubblico, se li abbassi allarghi il pubblico, ma stringi i ricavi. Trovare il bilanciamento è il segreto, ma oggi dobbiamo pensare che le generazioni più giovani stanno abbandonando il calcio perché è costoso e difficilmente accessibile. Quindi dobbiamo partire da qui. Tra l’altro, offrendo le partite gratis, la pirateria sarebbe sconfitta all’origine».

Quanti utenti potrebbe avere Unify?
«Non sono in grado di fornire dei numeri, stiamo logicamente tenendo in considerazione vari scenari: quello ottimistico, quello intermedio, quello pessimistico. I numeri non posso ancora svelarli. Però partiamo dal fatto che le finali di Coppa raccolgono un’audience calcolabile in centinaia di milioni di spettatori. Il nostro prodotto offrirebbe partite di quel livello fin dal primo turno a un pubblico mondiale».

Secondo voi quanti tifosi di calcio esistono nel mondo?
«Secondo la Fifa ce ne sono 5 miliardi, che forse sono un po’ sovrastimati. Ma anche se fossero la metà è un potenziale enorme. Il calcio è veramente “lo” sport globale e deve difendere questa posizione. I club europei sono i più importanti del mondo e quelli che attraggono più interesse e quindi sono i primi a dover essere difesi in quanto catalizzatori dell’attenzione globale».

Ma con la Superlega, cosa cambierebbe in concreto per i tifosi?
«Primo: aumenta il potere dei club. E i tifosi sono tifosi dei club. Non ho mai visto tifosi con la sciarpa dell’Uefa. Non sono tifosi di un ente privato con sede sul Lago di Ginevra, sono tifosi della loro squadra del cuore, probabilmente perché il loro papà lo era e loro vorrebbero tramandare questo amore ai figli. I club con la Superlega hanno la possibilità di pianificare il loro futuro in modo autonomo. Secondo: hanno la possibilità di vedere il miglior calcio del mondo gratis».
Dal punto di vista dei club in cosa la Superlega potrebbe essere migliore della nuova Champions League?
«Rinforzerà la loro stabilità economica. Darà loro la forza di programmare, perché nel nostro sistema possono contare su un minimo di 14 partite e su un ricavo fisso, con meno rischi di non averlo per la mancata qualificazione, perché potranno accedere dal campionato nazionale oppure potranno rimanere nella Superlega con una buona stagione internazionale. Così al fianco dei ricavi del loro campionato nazionale, che continuerà a esistere e a rappresentare la parte importante del loro budget, potranno avere un ricavo più stabile e meno aleatorio dalla competizione internazionale. Con il sistema attuale, c’è il paradosso che se raggiungi la finale di Champions League, quindi sei protagonista di una grande stagione internazionale, potresti non fare la Champions l’anno successivo perché non ti sei piazzato nel campionato nazionale».

Oggi ci sono enormi differenze economiche fra chi partecipa alla Champions e chi all’Europa League o alla Conference. Con le vostre tre competizioni come funzionerà la distribuzione?
«Questo sarà deciso dagli stessi club e solo dai club. Saranno le loro competizioni e saranno loro a decidere la ridist ribuzione, noi potremmo dare dei consigli, ma queste saranno le competizioni e decideranno loro».


Com’è il vostro rapporto con la Fifa?
«La nostra iniziativa è stata bloccata dall’Uefa, che è il monopolista delle competizioni europee e ha minacciato con sanzioni durissime i club che hanno portato avanti la proposta. Nella percezione comune, quindi, l’oppositore al nostro progetto è l’Uefa. La Fifa è un attore importante dello scenario, per esempio, per la questione del calendario, vogliamo collaborare con il sistema esistente, la nostra non è una iniziativa per scappare dal sistema, noi vogliamo contribuire in modo produttivo per risolvere i problemi più urgenti del calcio dentro il sistema e dentro il calendario che, in definitiva, è un potere della Fifa».

Quindi potrebbe esserci un dialogo con la Fifa?
«Vogliamo parlare con la Fifa per definire la forma e per avere il maggiore consenso possibile dentro la famiglia del calcio riguardo alla nostra proposta. Sì, non escludiamo nessuno dal dialogo. Siamo in grado e felici di dialogare con tutti».

Come mai ci sono club che fanno annunci pubblici contro la Superlega e poi in privato vi chiamano per chiedervi informazioni o per aderire? La Uefa di Ceferin fa così paura?
«Beh, vengono da settanta anni di monopolio, lo vogliono difendere e hanno un certo arsenale per farlo. La Uefa, all’epoca, aveva dichiarato che “andava in guerra” - questa è la frase che ha scelto usare - contro alcuni dei più grandi club del mondo, che hanno avuto bisogno della Corte Europea per difendersi da quelle minacce. Il modo con cui si è difesa la Uefa nel 2021 continua a fare paura oggi, perché l’Uefa è un’entità con troppi cappelli, non c’è alcuna separazione dei poteri e in certi frangenti l’Uefa ha anche maggiore potere dei governi nazionali. E questo è sotto osservazione, ora che la sentenza della Corte di Giustizia è diventata una legge europea a tutti gli effetti. Ma capisco la situazione dei club che devono gestire questa fase e, giustamente, non vogliono sbilanciarsi pubblicamente».

Trucchi di comunicazione.
«Un club mi ha detto: guarda, il comunicato che faremo sulla Superlega ha lo stesso valore del comunicato che facciamo per riconfermare la fiducia al nostro allenatore quando siamo ultimi in classifica, che mi ha fatto sorridere. Non posso dire chi, ma non era un club italiano».

Si è diffusa un’indiscrezione riguardo a una possibile causa da 3 miliardi della Superlega contro l’Uefa per i danni causati nel 2021. La può commentare?
«Non commento mai i rumors, tanto meno su vicende legali. Sono concentrato sul mio lavoro per il futuro».

Ha un messaggio finale ai tifosi europei?
«C’è troppa politica nel dibattito e questo non è divertente per loro che invece devono vederci come una alternativa legale, aperta e meritocratica, connessa con i campionati nazionali che renda i club europei più forti; un’alterativa che consenta ai tifosi di avere calcio migliore e solidale con la piramide, che affondi le radici alla base e sviluppi un vertice molto competitivo per garantire un futuro al calcio e restituirlo ai tifosi».

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Sarà un mio problema ma ultimamente sono tutti logorroici e mi annoiano. Supercazzole a gogò. Si sono accorti che ormai il livello di attenzione è pari a zero? Che con i social imperanti devi stringere i concetti? Se voglio i papiri mi leggo la letteratura russa che ha un perché.
Elefanti di un tempo passato e lo dice uno che ha la sua età...

Fine semi ot.
 

bobbylukr

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L'AD della Superlega intervistato da Tuttosport:

Buongiorno Reichart, ha sentito Joan Laporta? Ha spoilerato qualche nome di club aderenti alla Superlega. Un’uscita fuori tempo per voi?

«Joan Laporta è il presidente di uno dei più grandi club nel mondo e, per me, è incoraggiante vedere che un grande club sia così entusiasta della Superlega e così impaziente che questa prenda il via. Ma ho il mio lavoro e i miei compiti da svolgere, soprattutto dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea».

A proposito, a quasi cinquanta giorni dalla sentenza, cosa sta cambiando nello scenario del calcio?
«Penso che ogni club abbia capito che la sentenza ha le potenzialità di cambiare le regole in loro favore e dare loro maggiore controllo. Possono essere padroni del loro destino e soprattutto di scegliere, senza l’obbligo di rispondere a un monopolista. Parecchie società europee hanno messo al lavoro i loro uffici e i loro consulenti legali per capire quali sono i margini di manovra che la sentenza ha delineato. Tutto questo assomiglia molto alla situazione del post sentenza Bosman, ci vollero un paio di mesi perché tutti si rendessero conto di quanto fosse effettivamente rivoluzionaria».

Qual è l’atteggiamento dei club oggi?
«Società che prima erano più riluttanti, adesso hanno un approccio più curioso. Ci dicono: abbiamo visto che avete reso pubblico il format della competizione, vorremmo capirne di più. In molti ci ribadiscono la loro necessità di diventare più digitali e globali; per questo si interessano al progetto Unify, la piattaforma digitale che trasmetterà le partite e non solo».

Ecco, parliamo di Unify. Una applicazione di streaming con la quale trasmetterete le partite gratuitamente, cosa che ha creato scalpore e scetticismo nel mondo del calcio. Come pensate di riuscirci e perché nessuno ci ha mai pensato prima?
«Beh, non è vero che non lo hanno fatto. Il calcio gratuito esiste, per esempio la finale di Champions è in chiaro ovunque. E in generale l’attuale modello televisivo è basato sulla vendita di pubblicità e sugli abbonamenti, che sostanzialmente è anche il nostro il modello. Con la differenza che la nostra competizione offrirà fin dalla prima fase partite molto più interessanti e affascinanti, che quindi attrarranno centinaia di milioni di spettatori direttamente sulla nostra piattaforma consentendo ricavi pubblicitari sufficienti a offrire le partite gratis. In fondo, il nostro è il modello più diffuso nelle aziende che operano in modo diretto con gli utenti: ci sono quelle con un approccio gratuito con l’introduzione della possibilità di abbonamento per avere più servizi, per esempio Spotify. Oppure quelle con un approccio a pagamento, ma nel quale esiste una versione con la pubblicità per abbassare il costo dell’abbonamento come Netflix o Disney+. Ciò che è ovvio è che in questo momento il calcio sta perdendo pubblico perché è troppo costoso in molti Paesi europei e questo lo rende meno accessibile, soprattutto ai giovani. Il modello di ricavi della nostra piattaforma si basa sulla pubblicità perché Unify è allettante per il numero enorme di potenziali spettatori e il fatto di avere un pubblico specifico, nel senso che noi sappiamo chi sta guardando le partite. E questo va incontro alle esigenze dei grandi brand che sono disposti a pagare di più per target già profilati. L’altro lato del business sono i servizi: sappiamo che i tifosi, una volta arrivati sulla piattaforma, possono desiderare qualcosa in più e noi possiamo offrire loro i servizi più interessanti per loro. Un’esperienza migliore, per cui valga la pena pagare».

Insomma, da una parte l’esperienza base, quindi partite gratis con la pubblicità, dall’altra partite a pagamento senza pubblicità e altri contenuti, servizi, come l’acquisto di biglietti, di merchandising o la possibilità di entrare in contatto con i club e con i giocatori?
«Certo. Non c’è alcuna piattaforma che lega i club con i loro tifosi in questo modo. È un’opportunità unica quella che stiamo creando. Club e giocatori hanno tutti i loro account sui social media e tutti sanno quanti follower hanno, parliamo di decine o centinaia di milioni, ma né club né giocatori sono in grado di interagire in modo diretto con questi utenti, perché tutto viene mediato da Meta, X o Tik Tok. Altro esempio: i club sanno che milioni di spettatori vedono le loro partite, ma i contatti con questi utenti sono gestiti dalle tv o dalle piattaforme che trasmettono le partite stesse. Unify consentirebbe ai club di avere accesso diretto ai loro tifosi e i tifosi di avere accesso diretto ai club. Questo consentirebbe ai club di essere più internazionali e avere un impatto globale sul mercato».

Semplificando si può definire Unify lo Spotify del calcio: gratis con pubblicità, a pagamento senza e con altri servizi?
«Sì, più o meno. Ho un passato nella televisione e so che il dibattito è sempre quello: se alzi i prezzi per accedere al prodotto calcio, guadagni di più ma stringi il pubblico, se li abbassi allarghi il pubblico, ma stringi i ricavi. Trovare il bilanciamento è il segreto, ma oggi dobbiamo pensare che le generazioni più giovani stanno abbandonando il calcio perché è costoso e difficilmente accessibile. Quindi dobbiamo partire da qui. Tra l’altro, offrendo le partite gratis, la pirateria sarebbe sconfitta all’origine».

Quanti utenti potrebbe avere Unify?
«Non sono in grado di fornire dei numeri, stiamo logicamente tenendo in considerazione vari scenari: quello ottimistico, quello intermedio, quello pessimistico. I numeri non posso ancora svelarli. Però partiamo dal fatto che le finali di Coppa raccolgono un’audience calcolabile in centinaia di milioni di spettatori. Il nostro prodotto offrirebbe partite di quel livello fin dal primo turno a un pubblico mondiale».

Secondo voi quanti tifosi di calcio esistono nel mondo?
«Secondo la Fifa ce ne sono 5 miliardi, che forse sono un po’ sovrastimati. Ma anche se fossero la metà è un potenziale enorme. Il calcio è veramente “lo” sport globale e deve difendere questa posizione. I club europei sono i più importanti del mondo e quelli che attraggono più interesse e quindi sono i primi a dover essere difesi in quanto catalizzatori dell’attenzione globale».

Ma con la Superlega, cosa cambierebbe in concreto per i tifosi?
«Primo: aumenta il potere dei club. E i tifosi sono tifosi dei club. Non ho mai visto tifosi con la sciarpa dell’Uefa. Non sono tifosi di un ente privato con sede sul Lago di Ginevra, sono tifosi della loro squadra del cuore, probabilmente perché il loro papà lo era e loro vorrebbero tramandare questo amore ai figli. I club con la Superlega hanno la possibilità di pianificare il loro futuro in modo autonomo. Secondo: hanno la possibilità di vedere il miglior calcio del mondo gratis».
Dal punto di vista dei club in cosa la Superlega potrebbe essere migliore della nuova Champions League?
«Rinforzerà la loro stabilità economica. Darà loro la forza di programmare, perché nel nostro sistema possono contare su un minimo di 14 partite e su un ricavo fisso, con meno rischi di non averlo per la mancata qualificazione, perché potranno accedere dal campionato nazionale oppure potranno rimanere nella Superlega con una buona stagione internazionale. Così al fianco dei ricavi del loro campionato nazionale, che continuerà a esistere e a rappresentare la parte importante del loro budget, potranno avere un ricavo più stabile e meno aleatorio dalla competizione internazionale. Con il sistema attuale, c’è il paradosso che se raggiungi la finale di Champions League, quindi sei protagonista di una grande stagione internazionale, potresti non fare la Champions l’anno successivo perché non ti sei piazzato nel campionato nazionale».

Oggi ci sono enormi differenze economiche fra chi partecipa alla Champions e chi all’Europa League o alla Conference. Con le vostre tre competizioni come funzionerà la distribuzione?
«Questo sarà deciso dagli stessi club e solo dai club. Saranno le loro competizioni e saranno loro a decidere la ridist ribuzione, noi potremmo dare dei consigli, ma queste saranno le competizioni e decideranno loro».


Com’è il vostro rapporto con la Fifa?
«La nostra iniziativa è stata bloccata dall’Uefa, che è il monopolista delle competizioni europee e ha minacciato con sanzioni durissime i club che hanno portato avanti la proposta. Nella percezione comune, quindi, l’oppositore al nostro progetto è l’Uefa. La Fifa è un attore importante dello scenario, per esempio, per la questione del calendario, vogliamo collaborare con il sistema esistente, la nostra non è una iniziativa per scappare dal sistema, noi vogliamo contribuire in modo produttivo per risolvere i problemi più urgenti del calcio dentro il sistema e dentro il calendario che, in definitiva, è un potere della Fifa».

Quindi potrebbe esserci un dialogo con la Fifa?
«Vogliamo parlare con la Fifa per definire la forma e per avere il maggiore consenso possibile dentro la famiglia del calcio riguardo alla nostra proposta. Sì, non escludiamo nessuno dal dialogo. Siamo in grado e felici di dialogare con tutti».

Come mai ci sono club che fanno annunci pubblici contro la Superlega e poi in privato vi chiamano per chiedervi informazioni o per aderire? La Uefa di Ceferin fa così paura?
«Beh, vengono da settanta anni di monopolio, lo vogliono difendere e hanno un certo arsenale per farlo. La Uefa, all’epoca, aveva dichiarato che “andava in guerra” - questa è la frase che ha scelto usare - contro alcuni dei più grandi club del mondo, che hanno avuto bisogno della Corte Europea per difendersi da quelle minacce. Il modo con cui si è difesa la Uefa nel 2021 continua a fare paura oggi, perché l’Uefa è un’entità con troppi cappelli, non c’è alcuna separazione dei poteri e in certi frangenti l’Uefa ha anche maggiore potere dei governi nazionali. E questo è sotto osservazione, ora che la sentenza della Corte di Giustizia è diventata una legge europea a tutti gli effetti. Ma capisco la situazione dei club che devono gestire questa fase e, giustamente, non vogliono sbilanciarsi pubblicamente».

Trucchi di comunicazione.
«Un club mi ha detto: guarda, il comunicato che faremo sulla Superlega ha lo stesso valore del comunicato che facciamo per riconfermare la fiducia al nostro allenatore quando siamo ultimi in classifica, che mi ha fatto sorridere. Non posso dire chi, ma non era un club italiano».

Si è diffusa un’indiscrezione riguardo a una possibile causa da 3 miliardi della Superlega contro l’Uefa per i danni causati nel 2021. La può commentare?
«Non commento mai i rumors, tanto meno su vicende legali. Sono concentrato sul mio lavoro per il futuro».

Ha un messaggio finale ai tifosi europei?
«C’è troppa politica nel dibattito e questo non è divertente per loro che invece devono vederci come una alternativa legale, aperta e meritocratica, connessa con i campionati nazionali che renda i club europei più forti; un’alterativa che consenta ai tifosi di avere calcio migliore e solidale con la piramide, che affondi le radici alla base e sviluppi un vertice molto competitivo per garantire un futuro al calcio e restituirlo ai tifosi».

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Ahahahah e ovviamente dietro ci sono quei morti di fame del Barcellona
 
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A me sembra tutto palesemente una gran trollata (a partire dai loghi che ho visto che dai...)
Però nel mondo di oggi mai dire mai.
E' tutta improvvisazione.

Non mi stupirei che fosse solo una grande manovra per spingere la UEFA a riconsiderare i premi per certi grandi club.
 

Djici

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Mo fa ridere quando dice che e contro la UEFA ma considera la fifa uun possibile alleato.
E perché mai la fifa dovrebbe tendere la mano?
Quello che sta succedendo oggi contro la UEFA potrebbe succedere domani contro la fifa... Con l'ad della superlega che decide di fare la superlega del mondo con le nazionali...
 
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