Sul piano finanziario esiste una differenza enorme tra equity e capitale di debito. Diciamo però che esistono degli strumenti ibridi tra i due estremi. Diciamo anche che all'interno di una limited partnership che in genere è la forma contrattuale più diffusa per costruire i fondi si possono escogitare tecniche per rendere asimmetrico il rischio (e quindi anche il potenziale guadagno) tra i soggetti che partecipano come quotisti. Quindi anche chi apporta capitale formalmente di rischio può avere dei privilegi* rispetto agli altri limited partners, secondo il meccanismo dei preferred partners, e tutti quanti i limited partners hanno privilegi rispetto al General Partner, che invece si sobbarca i maggiori rischi in vista di una divisione dei profitti, o meglio della eventuale quota di profitti che sorpassa un rendimento minimo garantito che è destinato ai limited partners anche a scapito dello stesso capitale del GP, maggiormente favorevole al GP stesso (classica è una divisione 80% contro 20%). Per intenderci: a volte la differenza sostanziale tra quotista e creditore finanziario di un fondo può sbiadirsi di fronte a certi accordi contrattuali, questo lo dico per onestà per testimoniare che Campopiano ha detto una cosa meno assurda di quanto appaia, pur non essendo un giornalista che apprezzo in modo particolare. Sulla carta un osservatore che conosca in linea generale la differenza tra equity e debito potrebbe tranquillamente considerare una barzelletta stabilire solo all'ultimo momento la quota di leva finanziaria di una operazione, cosa che di solito viene attentamente studiata prima e con rigore, pena dare l'idea di una operazione organizzata alla cavolo di cane. Esistono dei modi per accorciare queste differenze, diciamo.
Rimane il fatto che però in linea generale più forte è la quota a titolo di finanziamento, più alta è la leva, con tutto quello che ne consegue di non positivo, francamente. Dico la verità, non ho apprezzato l'atteggiamento di quei giornalisti che semplicisticamente hanno fatto leva sulla "potenza" di Huarong a prescindere dai tanti "caveat" che in un caso come questo sono ovvi. Tra l'altro io rimango dell'idea che se un soggetto governativo importante fa parte sin dall'inizio di una cordata significa che ha già avuto un via libera, alla schizofrenia del governo non ho mai creduto. Non nascondo che la mia opinione sul grado di coinvolgimento di Huarong si situa su un livello minimale: non mi meraviglierei se si limitasse o a una gestione di fondi fiduciari altrui oppure a un appoggio tecnico di fornitura di liquidità in valuta estera con immediata compensazione interna, ciò appunto per permettere a soggetti impossibilitati a causa della mancanza di autorizzazione di partecipare. In questi casi guadagnerebbe una commissione senza rischi, perché non si tratterebbe di un finanziamento classico, ma solo di un "servizio". Per il resto credo che indubbiamente questa sia una operazione simile a un leverage buyout, spero che la leva non sia eccessiva. Il corteo di finanziatori e investitori raccolti da Yong si saranno come detto ritagliati delle garanzie tali da addossare al GP i maggiori rischi (e quindi i maggiori guadagni potenziali). Possibile che il maggior ottimismo cinese abbia consentito di organizzare una operazione parzialmente a leva a tassi meno proibitivi di quelli che sicuramente sarebbero stati offerti in Occidente.
Onestà vuole che si avverta del fatto che in operazioni di questo genere i rischi non sono indifferenti e non possono essere paragonati a quelli di sicuro inferiori insiti nelle classiche acquisizioni da parte di grossi soggetti interessati a fare sinergie di marketing nei confronti del consumatore finale: se il "piano di sviluppo" non va per il verso giusto possono nascere dei problemi. Escluderei che la formula che abbiamo di fronte preveda attualmente la partecipazione di soggetti industriali e commerciali.
*quando uso il termine "privilegio" in questo post faccio riferimento a un profilo di rischio più basso a fronte di un potenziale rendimento parimenti più basso, anche all'interno della categoria dei quotisti che in teoria apportano tutti "equity".