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Come riportato dalla GDS, Cardinale decisamente non aveva messo in conto, soprattutto dopo averlo rinnovato a ottobre dell'anno scorso fino al 2025, di ritrovarsi a esaminare con grande attenzione la situazione personale di Pioli in questo periodo natalizio. Insomma, dopo l'impresa scudetto alti e bassi ce ne sono stati, alcuni anche pesanti, ma il bioritmo di squadra e allenatore non erano mai sprofondati così in basso. Una situazione che tra l'altro è particolarmente "perfida", perché il Diavolo è capace di dare sussulti di vita importanti (era difficile, per esempio, immaginare le brutture di Salerno dopo aver assistito alle bollicine della settimana prima col Monza), o anche molto importanti (come la fantastica notte col Psg), per poi inciampare fragorosamente e con modalità a cui è difficile dare un senso. In altre parole: illusione e disillusione. Snervante.
Cardinale però è anche un uomo d'affari che per filosofia e natura non è abituato a farsi consigliare dalla pancia. Una giusta dose di istinto nella vita e negli affari è necessaria, ma la guida corretta è quella dell'analisi oggettiva. Tant'è vero che in queste ore, quando sono state fatte le riflessioni su Pioli, e sono state assolutamente fatte, una delle domande è stata: okay, ma se davvero si decidesse di cambiare, chi ci assicurerebbe che non rischiamo di fare peggio? La mancanza di una vera alternativa credibile e spendibile in tempi rapidi a Pioli è uno dei motivi (sicuramente non l'unico) in virtù dei quali per il momento non succederà nulla. Un altro può essere interpretato come la perseveranza in un progetto nel quale la proprietà ha creduto, e continua a credere, molto. Un altro ancora, probabilmente, è la consapevolezza che in termini generali l'allenatore non ha smarrito la squadra dal punto di vista della gestione complessiva. Tradotto, come si dice banalmente in questi casi: non ci sono calciatori che gli "giocano contro".
Allo stesso tempo è evidente come agli occhi della proprietà non siano state felici di dichiarazioni come quelle in cui il tecnico ammette la scomparsa o quanto meno la diminuzione di magia, entusiasmo, fiducia e voglia. Così come - e questo invece per Cardinale è un punto molto centrale - non sfugge il fatto che il rischio di questo passo è una svalutazione dell'asset rosa. Se i big non rendono - la fascia sinistra, che era il fiore all'occhiello della squadra, a essere generosi ora come ora rende il 30% del potenziale -, il valore dei cartellini si abbassa e diventa un grosso problema. L'altro inevitabile focus della proprietà è ovviamente sull'ecatombe in infermeria, con numeri considerati irricevibili nella loro entità e modalità. Un ambito di cui il responsabile, in termini di aree di competenza aziendali, è l'allenatore. È così in tutti i club. È questo lo stato di crisi nel quale si muove Cardinale, che d'altra parte nel messaggio natalizio di qualche giorno fa era stato decisamente chiaro sulla propria insoddisfazione e allo stesso tempo aveva parlato di "urgenza di migliorare", ma in un contesto dove "l'emotività non può avere la meglio". Dagli stati di crisi si può sicuramente uscire, l'idea del Milan è quella di riuscire - risultati permettendo, è ovvio - ad arrivare a fine stagione senza stravolgimenti. Poi, da giugno in avanti, qualsiasi scenario sarà lecito e contemplabile.
Cardinale però è anche un uomo d'affari che per filosofia e natura non è abituato a farsi consigliare dalla pancia. Una giusta dose di istinto nella vita e negli affari è necessaria, ma la guida corretta è quella dell'analisi oggettiva. Tant'è vero che in queste ore, quando sono state fatte le riflessioni su Pioli, e sono state assolutamente fatte, una delle domande è stata: okay, ma se davvero si decidesse di cambiare, chi ci assicurerebbe che non rischiamo di fare peggio? La mancanza di una vera alternativa credibile e spendibile in tempi rapidi a Pioli è uno dei motivi (sicuramente non l'unico) in virtù dei quali per il momento non succederà nulla. Un altro può essere interpretato come la perseveranza in un progetto nel quale la proprietà ha creduto, e continua a credere, molto. Un altro ancora, probabilmente, è la consapevolezza che in termini generali l'allenatore non ha smarrito la squadra dal punto di vista della gestione complessiva. Tradotto, come si dice banalmente in questi casi: non ci sono calciatori che gli "giocano contro".
Allo stesso tempo è evidente come agli occhi della proprietà non siano state felici di dichiarazioni come quelle in cui il tecnico ammette la scomparsa o quanto meno la diminuzione di magia, entusiasmo, fiducia e voglia. Così come - e questo invece per Cardinale è un punto molto centrale - non sfugge il fatto che il rischio di questo passo è una svalutazione dell'asset rosa. Se i big non rendono - la fascia sinistra, che era il fiore all'occhiello della squadra, a essere generosi ora come ora rende il 30% del potenziale -, il valore dei cartellini si abbassa e diventa un grosso problema. L'altro inevitabile focus della proprietà è ovviamente sull'ecatombe in infermeria, con numeri considerati irricevibili nella loro entità e modalità. Un ambito di cui il responsabile, in termini di aree di competenza aziendali, è l'allenatore. È così in tutti i club. È questo lo stato di crisi nel quale si muove Cardinale, che d'altra parte nel messaggio natalizio di qualche giorno fa era stato decisamente chiaro sulla propria insoddisfazione e allo stesso tempo aveva parlato di "urgenza di migliorare", ma in un contesto dove "l'emotività non può avere la meglio". Dagli stati di crisi si può sicuramente uscire, l'idea del Milan è quella di riuscire - risultati permettendo, è ovvio - ad arrivare a fine stagione senza stravolgimenti. Poi, da giugno in avanti, qualsiasi scenario sarà lecito e contemplabile.