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Tutta l'interminabile serie di dichiarazioni pre Milan - Inter da parte degli addetti ai lavori riportate dai quotidiani in edicola oggi 7 novembre
ADANI
Lele, non sarà facile per Calha, che già viene criticato da anni per non esprimersi al meglio nei big match...
«Vero, anche se con la Juve è entrato nell’azione del gol di Dzeko e Inzaghi l’ha forse tolto quando non doveva. Piuttosto mi concentrerei sul fatto che il Calhanoglu dell’Inter per ora non è al livello del Calhanoglu del Milan: non è ancora padrone dei tempi del gioco nerazzurro e non a caso nel suo ruolo di mezzala sinistra Inzaghi cambia spesso interpreti. Al Milan aveva creato una connessione speciale con Ibra ed era fondamentale nel piano di Pioli. Qui doveva raccogliere l’eredità tecnica di Eriksen, l’uomo delle giocate e delle pause di riflessione nell’Inter di Conte, ma sinora non ci è riuscito»
Ha citato Ibrahimovic, ci aggiungiamo Dzeko: da ex difensore, quale dei due bomber veterani è più difficile da marcare?
«Ibra ha una classe da pallone d’oro e un carisma unico. Quando ci giochi contro ti condiziona sempre e comunque e io lo so be- ne, visto che il primo gol in Italia lo segnò al Brescia con me in di- fesa. Come caratteristiche, però, Dzeko è più fastidioso, perché ti porta più in giro per il campo e poi si butta dentro all’improvviso per attaccare la porta».
Leao e Lautaro, invece, possono essere già considerati dei fuoriclasse?
«Il portoghese ha già giocate da top club, ma deve dimostrare ancora di essere continuo. Da Martinez pretendo 20 gol a campionato: oggi ha ancora il difetto di spendersi troppo in corse gene- rose, ma poco utili».
Viriamo sul piano tattico: dove il Milan può vincere?
«Sugli esterni alti. Pioli in due anni ha dato una tendenza molto moderna alla squadra. Il Milan gioca un calcio collettivo di dominio, dove tutti fanno tutto e occupano posizioni diverse. Ma nel derby in particolare può es- sere decisivo il movimento a entrare dentro il campo di Saelemaekers e Leao, per instaurare dubbi a Bastoni e Skriniar, creando così parecchie situazioni di uno contro uno Ibra-De Vrij».
Andiamo ora sulla panchina di Inzaghi: quale la chiave per il successo dell’Inter? «L’impostazione da dietro dei tre centrali. Un’eredità importante lasciata da Spalletti prima e Conte poi. Il Milan potrebbe essere costretto ad alzare la pressione con il trequartista, Krunic o Diaz che sia, per forzare il recupero palla, obbligando così a catena uno tra Tonali e Kessie a prendere Brozovic, il fulcro del gioco nerazzurro. Risultato? Barella o Calhanoglu liberi poi di ricevere palla ai 40 metri rossoneri e creare scompiglio tra le linee».
Al di là del risultato, si aspetta di vedere stasera i sette punti di distanza tra Milan e Inter?
«Partiamo dal dire che il Milan sta facendo qualcosa di straordinario, perché è una squadra gio- vanissima, che ha un’ossatura più recente rispetto a quella del- l’Inter. Pioli è stato bravissimo a crescere i talenti di Tomori, Tonali, Leao e gli altri e ha sempre Ibra come rifugio sicuro. Occhio però al percorso nerazzurro di Inzaghi, soprattutto in fatto di solidità: nelle ultime otto gare ha preso un solo gol su azione, quel- lo di Felipe Anderson con Di- marco a terra con la Lazio. Poi solo reti su palla inattiva, dove più che equilibrio serve attenzione. L’Inter sta migliorando ed è forse più completa del Milan, che ha anche più assenze. Pesantissima quella di Theo Hernandez».
Le due armi dalla panchina? «L’Inter ha qualcosa in più. Correa e Sanchez, che sono due titolari in più degli undici, possono spaccare la partita. Il Milan ha Bennacer, una sferzata di energia quando il fosforo può calare a metà campo».
Ultima domanda: oggi è più importante per il Milan o per l’Inter?
«Direi per l’Inter. Perdere e scivolare a -10 sarebbe problematico. E poi Inzaghi non ha ancora vinto uno scontro diretto...».
Seedorf
Clarence, il derby ha favoriti? «In questa Serie A vedo equilibrio, le grandi squadre sono vic ne più che mai. Il Milan impone il suo gioco e difende 15-20 metri più su. E’ un atteggiamento che dovrebbe adottare anche in Europa. All’Inter manca l’istinto killer, deve imparare a chiudere più in fretta le partite. Sette punti di distacco sono tanti, ma chi insegue ha sempre una motivazione in più per accorciare le distanze dalla vetta».
Ha seguito il Milan da commentatore Prime Video contro il Porto. Impressioni?
«Deve convincersi a pieno della propria forza, ma ci sono tanti giovani alla prima esperienza importante che vanno lasciati crescere. Hanno giocatori veloci co- me Leao ma non basta per giocare sulle ripartenze, in Champions l’avversario ti viene subito addosso. E se resti così “basso” dovresti difendere alla perfezione. Hanno un recupero palla veloce, in possesso sanno cosa fare e Pioli mi piace: in Europa serve essere più precisi e un approccio simile a quello che hanno in campionato. Se riesce a farlo il Salisburgo, per- ché non deve farlo il Milan?».
In A il Milan è padrone: perché questa differenza?
«In Italia ha una leadership sta- bile e consolidata. Si vede la sua voglia di comandare il gioco, anche se può essere esasperata ancora di più. Di nuovo, dipende da dove scegli di difendere: è un messaggio che lanci anche all’avversario. Rispetto alla Champions cambia la qualità: se in Europa sbagli qualcosa dietro, ti colpiscono sicuro, in campionato magari no. Si deciderà tutto a marzo-aprile, fin lì il Milan può impegnarsi a rafforzare una mentalità vincente».
Per lo scudetto ha già un vantaggio decisivo?
«No, ma deve assolutamente ambire al titolo. Dalla sua ha anche storia, tradizione, una maglia pesante per chi l’affronta, San Siro. Sono insieme da anni, è il momento per puntare allo scudetto e competere in Champions, dove deve provarci fino alla fine».
Tra i principali artefici della ricostruzione c’è il suo ex compagno Maldini. Sorpreso?
«No perché quello che io posso dire da esterno, Paolo lo ripeterà tutti i giorni all’interno. Nessuno meglio di lui conosce il club e co- sa manca per un prossimo step: è una fortuna per il Milan che ci sia. Ha portato solidità e chiarezza, adeguerà la sua strategia in base alle necessità ma identità, filosofia e ambizioni alla base non cambieranno».
Stupito almeno da Ibrahimovic, che a 40 anni continua a giocare al top?
«Nemmeno, perché si è sempre preso grande cura di sé. Al Milan in tanti hanno giocato così a lungo, Paolo, Cafu e Costacurta. De- terminante è che intorno ci sia una struttura capace di esaltarne le qualità».
Da ex giocatore e attuale dirigente: come si comporterebbe con Kessie?
«Ha il diritto di chiedere tutti i soldi che vuole, come il club ha il diritto di non accettare e mantenere la sua linea di equilibrio. Io credo che dovrebbe mettere al primo posto la carriera, poi cercare di ottenere il meglio anche da un punto di vista economico. Amo troppo lo sport per non dare senso alla professione, perché sia più lunga e più vincente possibile. Kessie ha fatto molto bene al Milan ma nel girone di Champions sono ultimi e non mi pare sia stato decisivo per vincere lo scudetto. Oggi ci sono pochi giocatori insostituibili. Credo che Kessie sia importante per il Milan e farebbe bene a valorizzare l’aspetto tecnico per la sua carriera prima dei soldi. Come club non puoi fare tanto, e allora lo la- sci andare e prendi un altro: mi auguro sia ridotta l’influenza degli agenti ma anche che alla fine lui scelga con criterio».
Tonali o Barella?
«Più avanti il secondo al momento. E’ maturo, per diventare un giocatore di prima fascia a livello internazionale deve solo fare un ultimo passo: approcciare tutte le partite da protagonista, da leader riconosciuto. Quando avrà anche questa continuità sarà completo. Tonali vada avanti così, con questa ambizione: è nell’età in cui i più forti iniziano a fare la differenza. Se lo farà già ora, a 21 anni, potrà ambire a diventare un top».
Continua a pagina 2
ADANI
Lele, non sarà facile per Calha, che già viene criticato da anni per non esprimersi al meglio nei big match...
«Vero, anche se con la Juve è entrato nell’azione del gol di Dzeko e Inzaghi l’ha forse tolto quando non doveva. Piuttosto mi concentrerei sul fatto che il Calhanoglu dell’Inter per ora non è al livello del Calhanoglu del Milan: non è ancora padrone dei tempi del gioco nerazzurro e non a caso nel suo ruolo di mezzala sinistra Inzaghi cambia spesso interpreti. Al Milan aveva creato una connessione speciale con Ibra ed era fondamentale nel piano di Pioli. Qui doveva raccogliere l’eredità tecnica di Eriksen, l’uomo delle giocate e delle pause di riflessione nell’Inter di Conte, ma sinora non ci è riuscito»
Ha citato Ibrahimovic, ci aggiungiamo Dzeko: da ex difensore, quale dei due bomber veterani è più difficile da marcare?
«Ibra ha una classe da pallone d’oro e un carisma unico. Quando ci giochi contro ti condiziona sempre e comunque e io lo so be- ne, visto che il primo gol in Italia lo segnò al Brescia con me in di- fesa. Come caratteristiche, però, Dzeko è più fastidioso, perché ti porta più in giro per il campo e poi si butta dentro all’improvviso per attaccare la porta».
Leao e Lautaro, invece, possono essere già considerati dei fuoriclasse?
«Il portoghese ha già giocate da top club, ma deve dimostrare ancora di essere continuo. Da Martinez pretendo 20 gol a campionato: oggi ha ancora il difetto di spendersi troppo in corse gene- rose, ma poco utili».
Viriamo sul piano tattico: dove il Milan può vincere?
«Sugli esterni alti. Pioli in due anni ha dato una tendenza molto moderna alla squadra. Il Milan gioca un calcio collettivo di dominio, dove tutti fanno tutto e occupano posizioni diverse. Ma nel derby in particolare può es- sere decisivo il movimento a entrare dentro il campo di Saelemaekers e Leao, per instaurare dubbi a Bastoni e Skriniar, creando così parecchie situazioni di uno contro uno Ibra-De Vrij».
Andiamo ora sulla panchina di Inzaghi: quale la chiave per il successo dell’Inter? «L’impostazione da dietro dei tre centrali. Un’eredità importante lasciata da Spalletti prima e Conte poi. Il Milan potrebbe essere costretto ad alzare la pressione con il trequartista, Krunic o Diaz che sia, per forzare il recupero palla, obbligando così a catena uno tra Tonali e Kessie a prendere Brozovic, il fulcro del gioco nerazzurro. Risultato? Barella o Calhanoglu liberi poi di ricevere palla ai 40 metri rossoneri e creare scompiglio tra le linee».
Al di là del risultato, si aspetta di vedere stasera i sette punti di distanza tra Milan e Inter?
«Partiamo dal dire che il Milan sta facendo qualcosa di straordinario, perché è una squadra gio- vanissima, che ha un’ossatura più recente rispetto a quella del- l’Inter. Pioli è stato bravissimo a crescere i talenti di Tomori, Tonali, Leao e gli altri e ha sempre Ibra come rifugio sicuro. Occhio però al percorso nerazzurro di Inzaghi, soprattutto in fatto di solidità: nelle ultime otto gare ha preso un solo gol su azione, quel- lo di Felipe Anderson con Di- marco a terra con la Lazio. Poi solo reti su palla inattiva, dove più che equilibrio serve attenzione. L’Inter sta migliorando ed è forse più completa del Milan, che ha anche più assenze. Pesantissima quella di Theo Hernandez».
Le due armi dalla panchina? «L’Inter ha qualcosa in più. Correa e Sanchez, che sono due titolari in più degli undici, possono spaccare la partita. Il Milan ha Bennacer, una sferzata di energia quando il fosforo può calare a metà campo».
Ultima domanda: oggi è più importante per il Milan o per l’Inter?
«Direi per l’Inter. Perdere e scivolare a -10 sarebbe problematico. E poi Inzaghi non ha ancora vinto uno scontro diretto...».
Seedorf
Clarence, il derby ha favoriti? «In questa Serie A vedo equilibrio, le grandi squadre sono vic ne più che mai. Il Milan impone il suo gioco e difende 15-20 metri più su. E’ un atteggiamento che dovrebbe adottare anche in Europa. All’Inter manca l’istinto killer, deve imparare a chiudere più in fretta le partite. Sette punti di distacco sono tanti, ma chi insegue ha sempre una motivazione in più per accorciare le distanze dalla vetta».
Ha seguito il Milan da commentatore Prime Video contro il Porto. Impressioni?
«Deve convincersi a pieno della propria forza, ma ci sono tanti giovani alla prima esperienza importante che vanno lasciati crescere. Hanno giocatori veloci co- me Leao ma non basta per giocare sulle ripartenze, in Champions l’avversario ti viene subito addosso. E se resti così “basso” dovresti difendere alla perfezione. Hanno un recupero palla veloce, in possesso sanno cosa fare e Pioli mi piace: in Europa serve essere più precisi e un approccio simile a quello che hanno in campionato. Se riesce a farlo il Salisburgo, per- ché non deve farlo il Milan?».
In A il Milan è padrone: perché questa differenza?
«In Italia ha una leadership sta- bile e consolidata. Si vede la sua voglia di comandare il gioco, anche se può essere esasperata ancora di più. Di nuovo, dipende da dove scegli di difendere: è un messaggio che lanci anche all’avversario. Rispetto alla Champions cambia la qualità: se in Europa sbagli qualcosa dietro, ti colpiscono sicuro, in campionato magari no. Si deciderà tutto a marzo-aprile, fin lì il Milan può impegnarsi a rafforzare una mentalità vincente».
Per lo scudetto ha già un vantaggio decisivo?
«No, ma deve assolutamente ambire al titolo. Dalla sua ha anche storia, tradizione, una maglia pesante per chi l’affronta, San Siro. Sono insieme da anni, è il momento per puntare allo scudetto e competere in Champions, dove deve provarci fino alla fine».
Tra i principali artefici della ricostruzione c’è il suo ex compagno Maldini. Sorpreso?
«No perché quello che io posso dire da esterno, Paolo lo ripeterà tutti i giorni all’interno. Nessuno meglio di lui conosce il club e co- sa manca per un prossimo step: è una fortuna per il Milan che ci sia. Ha portato solidità e chiarezza, adeguerà la sua strategia in base alle necessità ma identità, filosofia e ambizioni alla base non cambieranno».
Stupito almeno da Ibrahimovic, che a 40 anni continua a giocare al top?
«Nemmeno, perché si è sempre preso grande cura di sé. Al Milan in tanti hanno giocato così a lungo, Paolo, Cafu e Costacurta. De- terminante è che intorno ci sia una struttura capace di esaltarne le qualità».
Da ex giocatore e attuale dirigente: come si comporterebbe con Kessie?
«Ha il diritto di chiedere tutti i soldi che vuole, come il club ha il diritto di non accettare e mantenere la sua linea di equilibrio. Io credo che dovrebbe mettere al primo posto la carriera, poi cercare di ottenere il meglio anche da un punto di vista economico. Amo troppo lo sport per non dare senso alla professione, perché sia più lunga e più vincente possibile. Kessie ha fatto molto bene al Milan ma nel girone di Champions sono ultimi e non mi pare sia stato decisivo per vincere lo scudetto. Oggi ci sono pochi giocatori insostituibili. Credo che Kessie sia importante per il Milan e farebbe bene a valorizzare l’aspetto tecnico per la sua carriera prima dei soldi. Come club non puoi fare tanto, e allora lo la- sci andare e prendi un altro: mi auguro sia ridotta l’influenza degli agenti ma anche che alla fine lui scelga con criterio».
Tonali o Barella?
«Più avanti il secondo al momento. E’ maturo, per diventare un giocatore di prima fascia a livello internazionale deve solo fare un ultimo passo: approcciare tutte le partite da protagonista, da leader riconosciuto. Quando avrà anche questa continuità sarà completo. Tonali vada avanti così, con questa ambizione: è nell’età in cui i più forti iniziano a fare la differenza. Se lo farà già ora, a 21 anni, potrà ambire a diventare un top».
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