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Franco Ordine dal CorSport in edicola loda Max Allegri:
Adesso c’è quasi il rischio di considerare Max Allegri uno capace di miracoli calcistici. Il rischio non è solo giustificato dal ritardo colmato nella sua invidiabile carriera da allenatore (ultima volta da capolista nel torneo 2018/2019) e in quella del Milan (precedente fermo al 2023/2024). Persino i suoi estimatori più convinti sostengono infatti che la rosa rossonera non è sicuramente di primissima scelta e che l’impegno solitario nel campionato senza le coppe che consumano energie fisiche e nervose, non può legittimare l’ambizione di puntare addirittura al primato. Come spiega spesso l’interessato ci sono le categorie anche nel calcio. E poi non bisogna dimenticare la solida struttura di un paio di armate in circolazione (Napoli e Inter) dotate di gruppi di maggiore cifra tecnica e di un numero più consistente di quelli rossoneri (19 di movimento) costretti a far debuttare Athekame e un giovane rampollo dell’Under 21 (Bartesaghi) per sopperire alle gravi assenze post sosta per nazionali. Eppure la comunicazione adottata da Allegri, incapace di piangersi addosso, il ripristino di norme e condotte da vecchio e storico Milan berlusconiano e la capacità di trasformare in poche settimane quella che sembrava una banda del buco nel team difensivo con appena 4 gol al passivo (uno su rigore, il secondo su mezza autorete), non sono dettagli passati inosservati. A tal punto che un collega del Corriere che si occupa di politica, Giuseppe Alberto Falci, fede calcistica rigorosamente bianconera, ha appena pubblicato un pamphlet dal titolo riconosicibile (“A corto muso”) per celebrare l’allenatore più divisivo d’Italia capace di attrarre ora indiavolati fan e spietati critici nel tentativo di spiegare agli uni e agli altri la filosofia vincente e dare conto di una rilevazione statistica secondo cui il 36% di intervistati nutrono fiducia nei suoi confronti. Numeri da leader di partito! Allegri non è certo il tipo da farne motivo di orgoglio. Anzi rifugge dai riflettori del primato, continua a ripetere che bisogna viaggiare a fari spenti, pochi aggettivi e molti inviti a volare a bassissima quota durante i colloqui informali con calciatori, dirigenti e cronisti. Gli è capitato proprio con l’ultima Juve di ritrovarsi in cima, senza ricevere ossigeno dal mercato invernale, e di vedere la concorrenza staccarlo nel mese decisivo di marzo. È un tipo semplice Max, la semplicità è il suo mantra. Non gli è mai capitato per esempio di ritagliare una intervista da pubblicare sulla bacheca dello spogliatoio per trasmettere qualche motivazione precisa a uno spogliatoio smarrito. Non gli è mai capitato di prendersela pubblicamente perché un collega lo ha citato parlando dell’allenatore del Milan invece che esibire la sua identità anagrafica. La verità sul conto di Allegri al Milan e del suo felice impatto con Milanello e i suoi abitanti è molto più elementare: gli riconoscono che è uno del mestiere e si fidano di lui. Specie se poi capita di raccomandare, inascoltato, a Pulisic “non calciare di piatto” il rigore o di intimare a Leao, invece che a Fofana, di andare sul dischetto e completare l’opera di una serata quasi perfetta cominciata nel segno della sofferenza, proseguita con un semi maldestro autogol e chiusa con quella rivolta orgogliosa incarnata dal più discusso della compagnia scelto nei giorni di inizio luglio come uno dei trascinatori del nuovo Milan. Si sono fidati dopo il primo incidente di percorso (Cremonese) ed è spuntata una correzione del centrocampo (Rabiot) utilissima.
Adesso c’è quasi il rischio di considerare Max Allegri uno capace di miracoli calcistici. Il rischio non è solo giustificato dal ritardo colmato nella sua invidiabile carriera da allenatore (ultima volta da capolista nel torneo 2018/2019) e in quella del Milan (precedente fermo al 2023/2024). Persino i suoi estimatori più convinti sostengono infatti che la rosa rossonera non è sicuramente di primissima scelta e che l’impegno solitario nel campionato senza le coppe che consumano energie fisiche e nervose, non può legittimare l’ambizione di puntare addirittura al primato. Come spiega spesso l’interessato ci sono le categorie anche nel calcio. E poi non bisogna dimenticare la solida struttura di un paio di armate in circolazione (Napoli e Inter) dotate di gruppi di maggiore cifra tecnica e di un numero più consistente di quelli rossoneri (19 di movimento) costretti a far debuttare Athekame e un giovane rampollo dell’Under 21 (Bartesaghi) per sopperire alle gravi assenze post sosta per nazionali. Eppure la comunicazione adottata da Allegri, incapace di piangersi addosso, il ripristino di norme e condotte da vecchio e storico Milan berlusconiano e la capacità di trasformare in poche settimane quella che sembrava una banda del buco nel team difensivo con appena 4 gol al passivo (uno su rigore, il secondo su mezza autorete), non sono dettagli passati inosservati. A tal punto che un collega del Corriere che si occupa di politica, Giuseppe Alberto Falci, fede calcistica rigorosamente bianconera, ha appena pubblicato un pamphlet dal titolo riconosicibile (“A corto muso”) per celebrare l’allenatore più divisivo d’Italia capace di attrarre ora indiavolati fan e spietati critici nel tentativo di spiegare agli uni e agli altri la filosofia vincente e dare conto di una rilevazione statistica secondo cui il 36% di intervistati nutrono fiducia nei suoi confronti. Numeri da leader di partito! Allegri non è certo il tipo da farne motivo di orgoglio. Anzi rifugge dai riflettori del primato, continua a ripetere che bisogna viaggiare a fari spenti, pochi aggettivi e molti inviti a volare a bassissima quota durante i colloqui informali con calciatori, dirigenti e cronisti. Gli è capitato proprio con l’ultima Juve di ritrovarsi in cima, senza ricevere ossigeno dal mercato invernale, e di vedere la concorrenza staccarlo nel mese decisivo di marzo. È un tipo semplice Max, la semplicità è il suo mantra. Non gli è mai capitato per esempio di ritagliare una intervista da pubblicare sulla bacheca dello spogliatoio per trasmettere qualche motivazione precisa a uno spogliatoio smarrito. Non gli è mai capitato di prendersela pubblicamente perché un collega lo ha citato parlando dell’allenatore del Milan invece che esibire la sua identità anagrafica. La verità sul conto di Allegri al Milan e del suo felice impatto con Milanello e i suoi abitanti è molto più elementare: gli riconoscono che è uno del mestiere e si fidano di lui. Specie se poi capita di raccomandare, inascoltato, a Pulisic “non calciare di piatto” il rigore o di intimare a Leao, invece che a Fofana, di andare sul dischetto e completare l’opera di una serata quasi perfetta cominciata nel segno della sofferenza, proseguita con un semi maldestro autogol e chiusa con quella rivolta orgogliosa incarnata dal più discusso della compagnia scelto nei giorni di inizio luglio come uno dei trascinatori del nuovo Milan. Si sono fidati dopo il primo incidente di percorso (Cremonese) ed è spuntata una correzione del centrocampo (Rabiot) utilissima.
