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Ernico Currò su Repubblica in edicola: da Mr Bee a Cardinale in dieci anni misteriosi il romanzo del Diavolo A marzo 2014 Silvio Berlusconi decise di mettere in vendita il Milan Da allora la nebbia circonda il vertice del club su cui indagano i pm, oltre alle trattative con PIF ed allo schema societario.
Ricorrono, in questi giorni degli avvisi di garanzia all’attuale ad Furlani e al suo predecessore Gazidis nell’indagine della Procura milanese per accertare la vera proprietà del Milan, i dieci anni dall’inizio delle tormentate vicende societarie della squadra. Silvio Berlusconi decise di metterla in vendita appunto nel marzo 2014 (mandato esplorativo alla banca d’affari Lazard), come rivelò l’agenzia economica Bloomberg. È da allora che attorno al vertice del club c’è parecchia nebbia. Diradarla non è semplice, al di là dei presunti contrasti tra il fondo Elliott e il fondo RedBird: sulla vicenda del nuovo stadio (ieri l’arcivescovo Mario Delpini non ha nascosto le perplessità per la scelta di San Donato, troppo vicino all’Abbazia di Chiaravalle) e sulla gestione del vendor loan (il prestito di 560 milioni in scadenza nel giugno 2025), concesso dal fondo della famiglia Singer a quello di Gerry Cardinale, attuale “proprietario di controllo del Milan”. Nel decennale delle prime nebbie il ruolo di pioniere spetta al cinese Yonghong Li, anche se nel 2015 lo soppiantò l’ingegnere thailandese Bee Taechaubol, svelato in quel febbraio da Repubblica. Fu Berlusconi a presentarsi in pubblico ad aprile con Mister Bee, che al nostro giornale provò a spiegare perché aveva accettato la strana formula dell’operazione per la potenziale scalata (investimento di 480 milioni per il 48% delle azioni, lasciando il controllo al management in carica): «Perché il Milan ha un’anima italiana». Non se ne fece niente: in autunno spuntarono i guai giudiziari dell’advisor di Lugano, Tax & Finance, e tanti saluti all’ingegnere. Da Mister Bee a Mister Li — rieccolo da Hong Kong a capo di una cordata cinese, battendo Sal Galatioto e Sonny Wu, un advisor americano e un imprenditore cinese attivo a New York — il passo non fu breve. Nell’aprile 2017 il proprietario di una miniera di fosfati, misteriosa quanto lui, diventò infine presidente del Milan valutato 740 milioni e acquistato attraverso la società lussemburghese Rossoneri Sport. Il tortuoso percorso — tre caparre da 100 milioni via paradisi fiscali e prestiti assai onerosi — si era completato col prestito fatale, concesso dal fondo Elliott: 308 milioni, in cambio del pegno che era il Milan stesso. Detto che il garante è sempre stato autorevole — l’attuale presidente dell’Enel Paolo Scaroni, membro del Cda del club in quota Elliott nel 2017 e presidente dal 2018, advisor finanziario di Li come vicepresidente della banca Rothschild, già ad di Enel ed Eni poi sotto i governi Berlusconi, adesso presidente anche dell’area internazionale di RedBird — i Singer decisero di escutere appunto il pegno nel luglio 2018: Li, raro esempio di autolesionismo, non aveva onorato l’ultima scadenza dell’aumento di capitale da 32 milioni. Della sua fugace parentesi resta la bocciatura Uefa del settlement agreement dell’ad Marco Fassone, il piano di rientro nei parametri del fair-play finanziario: squalifica dalle coppe europee per un anno. Il risanamento economico, dal deficit (-96) all’attivo (+6), è stato un indubbio merito della gestione quadriennale di Elliott, affidata all’Ad sudafricano Ivan Gazidis, ma generata anche dai risultati sportivi (uno scudetto e una semifinale di Champions) e dal mercato a budget contenuto (Leonardo-Boban e per l’intero periodo Maldini-Massara, i dirigenti poi esautorati). I Singer hanno trasferito il controllo del club, nell’agosto 2022, a Gerry Cardinale, manager statunitense dell’entertainment. Solo che, come nel caso di Li, non ha vinto il concorrente più accreditato. Il Milan era vicinissimo al ticket formato dal fondo Investcorp (sede in Bahrain) e dalla piattaforma di investimento MFO (base a New York e investitori della famiglia reale saudita, con Saudi Crown MFO). La trattativa, iniziata nel novembre 2021, saltò nel maggio 2022, col sorpasso a sorpresa di Cardinale. Le due operazioni erano di portata più o meno analoga — 1.2 miliardi di euro — ma gli arabi non volevano il prestito, accettato invece da RedBird. Che tuttavia, sempre in Medio Oriente, avrebbe ultimamente trattato come risulta dalle carte della Procura l’ingresso di un socio saudita nel Milan (il fondo sovrano Pif), presentando addirittura lo schema del nuovo assetto societario. E inducendo i magistrati, la cui azione nasce dall’esposto degli ex azionisti di minoranza di Blue Skye Salvatore Cerchione e Gianluca D’Avanzo tagliati fuori dall’operazione Elliott-RedBird, a infilarsi nella nebbia.
Altre news di giornata:
—) Giroud o Jovic a Verona. La formazione
—) Capello:"Milan Roma, chi è favorito e i duelli chiave".
—) Inchiesta Milan: Chinè attende carte. Le sanzioni...
—) Maignan: ottimismo per Verona. Calabria: si decide oggi
—) Cardinale la coppa è un tesoro. E gli arabi...
—) Milan Roma: festival del gol. Insidie e calendario.
—) Pioli: le mosse per tenersi il Milan.
Ricorrono, in questi giorni degli avvisi di garanzia all’attuale ad Furlani e al suo predecessore Gazidis nell’indagine della Procura milanese per accertare la vera proprietà del Milan, i dieci anni dall’inizio delle tormentate vicende societarie della squadra. Silvio Berlusconi decise di metterla in vendita appunto nel marzo 2014 (mandato esplorativo alla banca d’affari Lazard), come rivelò l’agenzia economica Bloomberg. È da allora che attorno al vertice del club c’è parecchia nebbia. Diradarla non è semplice, al di là dei presunti contrasti tra il fondo Elliott e il fondo RedBird: sulla vicenda del nuovo stadio (ieri l’arcivescovo Mario Delpini non ha nascosto le perplessità per la scelta di San Donato, troppo vicino all’Abbazia di Chiaravalle) e sulla gestione del vendor loan (il prestito di 560 milioni in scadenza nel giugno 2025), concesso dal fondo della famiglia Singer a quello di Gerry Cardinale, attuale “proprietario di controllo del Milan”. Nel decennale delle prime nebbie il ruolo di pioniere spetta al cinese Yonghong Li, anche se nel 2015 lo soppiantò l’ingegnere thailandese Bee Taechaubol, svelato in quel febbraio da Repubblica. Fu Berlusconi a presentarsi in pubblico ad aprile con Mister Bee, che al nostro giornale provò a spiegare perché aveva accettato la strana formula dell’operazione per la potenziale scalata (investimento di 480 milioni per il 48% delle azioni, lasciando il controllo al management in carica): «Perché il Milan ha un’anima italiana». Non se ne fece niente: in autunno spuntarono i guai giudiziari dell’advisor di Lugano, Tax & Finance, e tanti saluti all’ingegnere. Da Mister Bee a Mister Li — rieccolo da Hong Kong a capo di una cordata cinese, battendo Sal Galatioto e Sonny Wu, un advisor americano e un imprenditore cinese attivo a New York — il passo non fu breve. Nell’aprile 2017 il proprietario di una miniera di fosfati, misteriosa quanto lui, diventò infine presidente del Milan valutato 740 milioni e acquistato attraverso la società lussemburghese Rossoneri Sport. Il tortuoso percorso — tre caparre da 100 milioni via paradisi fiscali e prestiti assai onerosi — si era completato col prestito fatale, concesso dal fondo Elliott: 308 milioni, in cambio del pegno che era il Milan stesso. Detto che il garante è sempre stato autorevole — l’attuale presidente dell’Enel Paolo Scaroni, membro del Cda del club in quota Elliott nel 2017 e presidente dal 2018, advisor finanziario di Li come vicepresidente della banca Rothschild, già ad di Enel ed Eni poi sotto i governi Berlusconi, adesso presidente anche dell’area internazionale di RedBird — i Singer decisero di escutere appunto il pegno nel luglio 2018: Li, raro esempio di autolesionismo, non aveva onorato l’ultima scadenza dell’aumento di capitale da 32 milioni. Della sua fugace parentesi resta la bocciatura Uefa del settlement agreement dell’ad Marco Fassone, il piano di rientro nei parametri del fair-play finanziario: squalifica dalle coppe europee per un anno. Il risanamento economico, dal deficit (-96) all’attivo (+6), è stato un indubbio merito della gestione quadriennale di Elliott, affidata all’Ad sudafricano Ivan Gazidis, ma generata anche dai risultati sportivi (uno scudetto e una semifinale di Champions) e dal mercato a budget contenuto (Leonardo-Boban e per l’intero periodo Maldini-Massara, i dirigenti poi esautorati). I Singer hanno trasferito il controllo del club, nell’agosto 2022, a Gerry Cardinale, manager statunitense dell’entertainment. Solo che, come nel caso di Li, non ha vinto il concorrente più accreditato. Il Milan era vicinissimo al ticket formato dal fondo Investcorp (sede in Bahrain) e dalla piattaforma di investimento MFO (base a New York e investitori della famiglia reale saudita, con Saudi Crown MFO). La trattativa, iniziata nel novembre 2021, saltò nel maggio 2022, col sorpasso a sorpresa di Cardinale. Le due operazioni erano di portata più o meno analoga — 1.2 miliardi di euro — ma gli arabi non volevano il prestito, accettato invece da RedBird. Che tuttavia, sempre in Medio Oriente, avrebbe ultimamente trattato come risulta dalle carte della Procura l’ingresso di un socio saudita nel Milan (il fondo sovrano Pif), presentando addirittura lo schema del nuovo assetto societario. E inducendo i magistrati, la cui azione nasce dall’esposto degli ex azionisti di minoranza di Blue Skye Salvatore Cerchione e Gianluca D’Avanzo tagliati fuori dall’operazione Elliott-RedBird, a infilarsi nella nebbia.
Altre news di giornata:
—) Giroud o Jovic a Verona. La formazione
—) Capello:"Milan Roma, chi è favorito e i duelli chiave".
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—) Pioli: le mosse per tenersi il Milan.