Maldini:"Io dirigente. Le proprietà straniere. Berlusconi...".

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Paolo Maldini intervistato da Akos:"Quando ho fatto il dirigente, avendo avuto 25 anni di esperienza e ricordando quello che ho provato nei momenti difficili che sono stati tanti, ho cercato di mettere a frutto questa esperienza e cercare di supportare quelli che sono ragazzi molto giovani. Ancora senza una struttura vera e propria per affrontare determinati pesi che ti porti dietro facendo questa professione. Si vede sempre la cosa bella, ma non si vede il punto di vista della pressione. Secondo me c’è ancora molto da lavorare lì ed è ancora un terreno inespresso, perché le tante proprietà straniere non conoscono bene l’argomento e non vogliono neanche affrontare quel tipo di problema perché non hanno neanche gli strumenti per poterlo fare. Sappiamo benissimo qual è l’importanza di un supporto, anche a livello morale ai giocatori, sia prima che dopo le partite che durante gli allenamenti, è anche importante vedere come si allenano per riuscire a capire con hi stiamo parlando. Dico sempre che sono cose non tangibili, ma che fanno le fortune dei club. E le cose non tangibili, difficilmente si possono spiegare in un foglio Excel ai nuovi proprietari, sono fuori dalla portata o dalla possibilità di controllo di un proprietario. Sembra che tu abbia una formula magica, ma non lo è, è qualcosa che ti ha portato ad avere successo se lo hai avuto. Successo non vuol dire solamente vincere, vuol dire anche cercare di fare il massimo delle tue possibilità”.

"La mia carriera al Milan? Non lo considererei come un percorso monotono, ma anzi pieno di diciamo alti e bassi e pieno di soddisfazioni. Credo che la fortuna di un calciatore che gioca in una squadra sia quella di trovare un club che abbia le tue stesse ambizioni e che abbia comunque la possibilità di farti arrivare al tuo livello massimo. Io ho avuto la fortuna di avere oltre al talento una squadra che mirava ai massimi obiettivi: questo credo che sia stato il segreto numero uno per poter fare una carriera così lunga all’interno di un club”.

Soprattutto in certe squadre, e il Milan era una di queste, gli anni di giovanili erano improntati sulla l’acquisizione di capacità tecniche, quindi si cercava di fare molta tecnica, pochissima tattica, poi lo sviluppo anche di certe situazioni che si incontravano in campo. Io ho iniziato giocando da ala destra e ala sinistra per poi dopo verso i 14 anni retrocedere a retrocedere a terzino destro. Praticamente l’ultima parte delle giovanili nella Primavera giocavo da terzino destro. Io credo che sia comunque uno schema che funziona ancora oggi, anche se si tende a dare più nozioni tattiche a ragazzi che sinceramente hanno bisogno di sviluppare tutt’altro”.

"Berlusconi? Milanello è stato costruito negli anni 60, il primo centro al mondo, e il Milan una delle prime squadre che ha creduto in un progetto simile: già ai tempi c’era l’idea di un luogo chiuso, isolato e dedicato. Quando è arrivato Berlusconi ha portato un’organizzazione aziendale che ha elevato tutto e tutti al massimo livello, sia dal punto di vista calcistico che da quello organizzativo e di rispetto dei ruoli. La sua prima scelta, quella di chiamare un visionario come Sacchi, ha aperto il mondo del calcio ad altri mondi: sono arrivati preparatori dall’atletica. Le varie conoscenze si sono unite”.

Sacchi faceva lavorare tantissimo fisicamente, ed è il segreto delle squadre vincenti: quando lavori più degli altri hai dei vantaggi. E siccome c’era meno conoscenza, credo di essere andato quasi sempre in over-training. Avevo 20 anni, pensandoci adesso non si conosceva l’importanza del riposo, del giorno di scarico: la tua testa era abituata a soffrire sempre, ma dal punto di vista fisico avevi alti e bassi. Spesso arrivavi in campo senza gamba: non è un caso aver vinto solo un campionato in 4 anni nell’era Sacchi, anche se eravamo focalizzati sulle coppe europee. Il numero di allenamenti era uguale, erano però più lunghi (2 ore, 2 ore e mezza) e l’intensità era al massimo, con due doppi allenamenti a settimana. Una cosa che adesso è rara. Era una sperimentazione, basata sul principio del lavoro, ma dal punto di vista fisico a volte non avevamo performance fisiche ottimali”.

"Baresi? Franco ha smesso nel 95, una attenzione così spasmodica non c’era ancora ma Franco senza senza dubbio è stato un un grande esempio per me. Io avevo un carattere molto riservato e quindi era perfetto come lui si comportava dal mio punto di vista, poche parole tanti fatti. Ma così era Mauro Tassotti, con un carattere diverso, così erano tanti giocatori come Evani, Icardi. Diciamo che all’interno di quelle squadre c’erano giocatori molto divertenti, coi quali divertirti, e giocatori con una mentalità vincente: stava a te giovano capire quale gruppo seguire”.

"Van Basten? Senza gli infortuni van Basten sarebbe stato l’attaccante più forte di tutti i tempi? Beh già lo si può considerare. Marco al di là dei numeri, del fatto che fosse potesse calciare di destro e sinistro, del fatto che era alto 1,88, che fosse veloce, che fosse cattivo aveva anche questa capacità di essere bello nei suoi gesti tecnici. Marco già con quello che ha fatto, ha smesso a 28 anni praticamente, è da considerare tra i primi cinque attaccanti di sempre”.

"Capello e Ancelotti? Se Sacchi è stato il peggiore di tutti, Capello e Ancelotti sono stati molto simili. C’è sempre da considerare le varie stagioni, cioè quando giochi la Champions League fino alla fine non hai praticamente mai tempo per riposare, quindi quello che cambia è forse la gestione del tempo libero. Dare importanza al riposo credo che si astata una cosa fondamentale soprattutto nell’era di Ancelotti. Il segreto, secondo me, è richiedere tanto, ma dare anche tanta libertà dopo: giorni liberi, dare la possibilità di recuperare. Mi hanno sempre chiesto cosa facessi io durante le vacanze, perché ti danno dei programmi da seguire, tra una stagione e un’altra. Credo che il calcio sia l’unico sport che si gioca per 11 mesi, a volte anche 11 mesi e mezzo. A dire la verità io non ho mai fatto niente perché il mio corpo necessitava di riposo. L’unica stagione in cui ho fatto qualcosa è stata nel 1996 quando è nato mio figlio e avevo fatto l’Europeo in Inghilterra, ho fatto 15 giorni e sono arrivato il primo giorno di ritiro che non stavo in piedi. La mia grande forza era quella di riuscire a resettare tutto, di pensare alla vacanza, non pensare alla stagione appena trascorsa e neanche a quella che sarebbe arrivata e avere un recupero fisico e mentale di un certo livello”.



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Swaitak

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Paolo Maldini intervistato da Akos:"Quando ho fatto il dirigente, avendo avuto 25 anni di esperienza e ricordando quello che ho provato nei momenti difficili che sono stati tanti, ho cercato di mettere a frutto questa esperienza e cercare di supportare quelli che sono ragazzi molto giovani. Ancora senza una struttura vera e propria per affrontare determinati pesi che ti porti dietro facendo questa professione. Si vede sempre la cosa bella, ma non si vede il punto di vista della pressione. Secondo me c’è ancora molto da lavorare lì ed è ancora un terreno inespresso, perché le tante proprietà straniere non conoscono bene l’argomento e non vogliono neanche affrontare quel tipo di problema perché non hanno neanche gli strumenti per poterlo fare. Sappiamo benissimo qual è l’importanza di un supporto, anche a livello morale ai giocatori, sia prima che dopo le partite che durante gli allenamenti, è anche importante vedere come si allenano per riuscire a capire con hi stiamo parlando. Dico sempre che sono cose non tangibili, ma che fanno le fortune dei club. E le cose non tangibili, difficilmente si possono spiegare in un foglio Excel ai nuovi proprietari, sono fuori dalla portata o dalla possibilità di controllo di un proprietario. Sembra che tu abbia una formula magica, ma non lo è, è qualcosa che ti ha portato ad avere successo se lo hai avuto. Successo non vuol dire solamente vincere, vuol dire anche cercare di fare il massimo delle tue possibilità”.

"La mia carriera al Milan? Non lo considererei come un percorso monotono, ma anzi pieno di diciamo alti e bassi e pieno di soddisfazioni. Credo che la fortuna di un calciatore che gioca in una squadra sia quella di trovare un club che abbia le tue stesse ambizioni e che abbia comunque la possibilità di farti arrivare al tuo livello massimo. Io ho avuto la fortuna di avere oltre al talento una squadra che mirava ai massimi obiettivi: questo credo che sia stato il segreto numero uno per poter fare una carriera così lunga all’interno di un club”.

Soprattutto in certe squadre, e il Milan era una di queste, gli anni di giovanili erano improntati sulla l’acquisizione di capacità tecniche, quindi si cercava di fare molta tecnica, pochissima tattica, poi lo sviluppo anche di certe situazioni che si incontravano in campo. Io ho iniziato giocando da ala destra e ala sinistra per poi dopo verso i 14 anni retrocedere a retrocedere a terzino destro. Praticamente l’ultima parte delle giovanili nella Primavera giocavo da terzino destro. Io credo che sia comunque uno schema che funziona ancora oggi, anche se si tende a dare più nozioni tattiche a ragazzi che sinceramente hanno bisogno di sviluppare tutt’altro”.

"Berlusconi? Milanello è stato costruito negli anni 60, il primo centro al mondo, e il Milan una delle prime squadre che ha creduto in un progetto simile: già ai tempi c’era l’idea di un luogo chiuso, isolato e dedicato. Quando è arrivato Berlusconi ha portato un’organizzazione aziendale che ha elevato tutto e tutti al massimo livello, sia dal punto di vista calcistico che da quello organizzativo e di rispetto dei ruoli. La sua prima scelta, quella di chiamare un visionario come Sacchi, ha aperto il mondo del calcio ad altri mondi: sono arrivati preparatori dall’atletica. Le varie conoscenze si sono unite”.

Sacchi faceva lavorare tantissimo fisicamente, ed è il segreto delle squadre vincenti: quando lavori più degli altri hai dei vantaggi. E siccome c’era meno conoscenza, credo di essere andato quasi sempre in over-training. Avevo 20 anni, pensandoci adesso non si conosceva l’importanza del riposo, del giorno di scarico: la tua testa era abituata a soffrire sempre, ma dal punto di vista fisico avevi alti e bassi. Spesso arrivavi in campo senza gamba: non è un caso aver vinto solo un campionato in 4 anni nell’era Sacchi, anche se eravamo focalizzati sulle coppe europee. Il numero di allenamenti era uguale, erano però più lunghi (2 ore, 2 ore e mezza) e l’intensità era al massimo, con due doppi allenamenti a settimana. Una cosa che adesso è rara. Era una sperimentazione, basata sul principio del lavoro, ma dal punto di vista fisico a volte non avevamo performance fisiche ottimali”.

"Baresi? Franco ha smesso nel 95, una attenzione così spasmodica non c’era ancora ma Franco senza senza dubbio è stato un un grande esempio per me. Io avevo un carattere molto riservato e quindi era perfetto come lui si comportava dal mio punto di vista, poche parole tanti fatti. Ma così era Mauro Tassotti, con un carattere diverso, così erano tanti giocatori come Evani, Icardi. Diciamo che all’interno di quelle squadre c’erano giocatori molto divertenti, coi quali divertirti, e giocatori con una mentalità vincente: stava a te giovano capire quale gruppo seguire”.

"Van Basten? Senza gli infortuni van Basten sarebbe stato l’attaccante più forte di tutti i tempi? Beh già lo si può considerare. Marco al di là dei numeri, del fatto che fosse potesse calciare di destro e sinistro, del fatto che era alto 1,88, che fosse veloce, che fosse cattivo aveva anche questa capacità di essere bello nei suoi gesti tecnici. Marco già con quello che ha fatto, ha smesso a 28 anni praticamente, è da considerare tra i primi cinque attaccanti di sempre”.

"Capello e Ancelotti? Se Sacchi è stato il peggiore di tutti, Capello e Ancelotti sono stati molto simili. C’è sempre da considerare le varie stagioni, cioè quando giochi la Champions League fino alla fine non hai praticamente mai tempo per riposare, quindi quello che cambia è forse la gestione del tempo libero. Dare importanza al riposo credo che si astata una cosa fondamentale soprattutto nell’era di Ancelotti. Il segreto, secondo me, è richiedere tanto, ma dare anche tanta libertà dopo: giorni liberi, dare la possibilità di recuperare. Mi hanno sempre chiesto cosa facessi io durante le vacanze, perché ti danno dei programmi da seguire, tra una stagione e un’altra. Credo che il calcio sia l’unico sport che si gioca per 11 mesi, a volte anche 11 mesi e mezzo. A dire la verità io non ho mai fatto niente perché il mio corpo necessitava di riposo. L’unica stagione in cui ho fatto qualcosa è stata nel 1996 quando è nato mio figlio e avevo fatto l’Europeo in Inghilterra, ho fatto 15 giorni e sono arrivato il primo giorno di ritiro che non stavo in piedi. La mia grande forza era quella di riuscire a resettare tutto, di pensare alla vacanza, non pensare alla stagione appena trascorsa e neanche a quella che sarebbe arrivata e avere un recupero fisico e mentale di un certo livello”.



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Stesse argomentazioni di Ibra e Fuffani, paro paro :troll:
 

Lineker10

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Paolo Maldini intervistato da Akos:"Quando ho fatto il dirigente, avendo avuto 25 anni di esperienza e ricordando quello che ho provato nei momenti difficili che sono stati tanti, ho cercato di mettere a frutto questa esperienza e cercare di supportare quelli che sono ragazzi molto giovani. Ancora senza una struttura vera e propria per affrontare determinati pesi che ti porti dietro facendo questa professione. Si vede sempre la cosa bella, ma non si vede il punto di vista della pressione. Secondo me c’è ancora molto da lavorare lì ed è ancora un terreno inespresso, perché le tante proprietà straniere non conoscono bene l’argomento e non vogliono neanche affrontare quel tipo di problema perché non hanno neanche gli strumenti per poterlo fare. Sappiamo benissimo qual è l’importanza di un supporto, anche a livello morale ai giocatori, sia prima che dopo le partite che durante gli allenamenti, è anche importante vedere come si allenano per riuscire a capire con hi stiamo parlando. Dico sempre che sono cose non tangibili, ma che fanno le fortune dei club. E le cose non tangibili, difficilmente si possono spiegare in un foglio Excel ai nuovi proprietari, sono fuori dalla portata o dalla possibilità di controllo di un proprietario. Sembra che tu abbia una formula magica, ma non lo è, è qualcosa che ti ha portato ad avere successo se lo hai avuto. Successo non vuol dire solamente vincere, vuol dire anche cercare di fare il massimo delle tue possibilità”.

"La mia carriera al Milan? Non lo considererei come un percorso monotono, ma anzi pieno di diciamo alti e bassi e pieno di soddisfazioni. Credo che la fortuna di un calciatore che gioca in una squadra sia quella di trovare un club che abbia le tue stesse ambizioni e che abbia comunque la possibilità di farti arrivare al tuo livello massimo. Io ho avuto la fortuna di avere oltre al talento una squadra che mirava ai massimi obiettivi: questo credo che sia stato il segreto numero uno per poter fare una carriera così lunga all’interno di un club”.

Soprattutto in certe squadre, e il Milan era una di queste, gli anni di giovanili erano improntati sulla l’acquisizione di capacità tecniche, quindi si cercava di fare molta tecnica, pochissima tattica, poi lo sviluppo anche di certe situazioni che si incontravano in campo. Io ho iniziato giocando da ala destra e ala sinistra per poi dopo verso i 14 anni retrocedere a retrocedere a terzino destro. Praticamente l’ultima parte delle giovanili nella Primavera giocavo da terzino destro. Io credo che sia comunque uno schema che funziona ancora oggi, anche se si tende a dare più nozioni tattiche a ragazzi che sinceramente hanno bisogno di sviluppare tutt’altro”.

"Berlusconi? Milanello è stato costruito negli anni 60, il primo centro al mondo, e il Milan una delle prime squadre che ha creduto in un progetto simile: già ai tempi c’era l’idea di un luogo chiuso, isolato e dedicato. Quando è arrivato Berlusconi ha portato un’organizzazione aziendale che ha elevato tutto e tutti al massimo livello, sia dal punto di vista calcistico che da quello organizzativo e di rispetto dei ruoli. La sua prima scelta, quella di chiamare un visionario come Sacchi, ha aperto il mondo del calcio ad altri mondi: sono arrivati preparatori dall’atletica. Le varie conoscenze si sono unite”.

Sacchi faceva lavorare tantissimo fisicamente, ed è il segreto delle squadre vincenti: quando lavori più degli altri hai dei vantaggi. E siccome c’era meno conoscenza, credo di essere andato quasi sempre in over-training. Avevo 20 anni, pensandoci adesso non si conosceva l’importanza del riposo, del giorno di scarico: la tua testa era abituata a soffrire sempre, ma dal punto di vista fisico avevi alti e bassi. Spesso arrivavi in campo senza gamba: non è un caso aver vinto solo un campionato in 4 anni nell’era Sacchi, anche se eravamo focalizzati sulle coppe europee. Il numero di allenamenti era uguale, erano però più lunghi (2 ore, 2 ore e mezza) e l’intensità era al massimo, con due doppi allenamenti a settimana. Una cosa che adesso è rara. Era una sperimentazione, basata sul principio del lavoro, ma dal punto di vista fisico a volte non avevamo performance fisiche ottimali”.

"Baresi? Franco ha smesso nel 95, una attenzione così spasmodica non c’era ancora ma Franco senza senza dubbio è stato un un grande esempio per me. Io avevo un carattere molto riservato e quindi era perfetto come lui si comportava dal mio punto di vista, poche parole tanti fatti. Ma così era Mauro Tassotti, con un carattere diverso, così erano tanti giocatori come Evani, Icardi. Diciamo che all’interno di quelle squadre c’erano giocatori molto divertenti, coi quali divertirti, e giocatori con una mentalità vincente: stava a te giovano capire quale gruppo seguire”.

"Van Basten? Senza gli infortuni van Basten sarebbe stato l’attaccante più forte di tutti i tempi? Beh già lo si può considerare. Marco al di là dei numeri, del fatto che fosse potesse calciare di destro e sinistro, del fatto che era alto 1,88, che fosse veloce, che fosse cattivo aveva anche questa capacità di essere bello nei suoi gesti tecnici. Marco già con quello che ha fatto, ha smesso a 28 anni praticamente, è da considerare tra i primi cinque attaccanti di sempre”.

"Capello e Ancelotti? Se Sacchi è stato il peggiore di tutti, Capello e Ancelotti sono stati molto simili. C’è sempre da considerare le varie stagioni, cioè quando giochi la Champions League fino alla fine non hai praticamente mai tempo per riposare, quindi quello che cambia è forse la gestione del tempo libero. Dare importanza al riposo credo che si astata una cosa fondamentale soprattutto nell’era di Ancelotti. Il segreto, secondo me, è richiedere tanto, ma dare anche tanta libertà dopo: giorni liberi, dare la possibilità di recuperare. Mi hanno sempre chiesto cosa facessi io durante le vacanze, perché ti danno dei programmi da seguire, tra una stagione e un’altra. Credo che il calcio sia l’unico sport che si gioca per 11 mesi, a volte anche 11 mesi e mezzo. A dire la verità io non ho mai fatto niente perché il mio corpo necessitava di riposo. L’unica stagione in cui ho fatto qualcosa è stata nel 1996 quando è nato mio figlio e avevo fatto l’Europeo in Inghilterra, ho fatto 15 giorni e sono arrivato il primo giorno di ritiro che non stavo in piedi. La mia grande forza era quella di riuscire a resettare tutto, di pensare alla vacanza, non pensare alla stagione appena trascorsa e neanche a quella che sarebbe arrivata e avere un recupero fisico e mentale di un certo livello”.



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Questo è arabo per quelli che pensano che il calcio siano numeri, statistiche, moneyballe, "upgrade" e football manager.

E' poesia per quelli che amano il gioco del calcio invece.

Il Milan di oggi è "vuoto" proprio perchè manca tutto questo. E' solo apparenza e contorno.
Vedremo se Ibra, che in teoria sta li apposta, sia in grado di riempirlo. Le premesse sono pessime, ma vedremo.
 

Giangy

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Questo è arabo per quelli che pensano che il calcio siano numeri, statistiche, moneyballe, "upgrade" e football manager.

E' poesia per quelli che amano il gioco del calcio invece.

Il Milan di oggi è "vuoto" proprio perchè manca tutto questo. E' solo apparenza e contorno.
Vedremo se Ibra, che in teoria sta li apposta, sia in grado di riempirlo. Le premesse sono pessime, ma vedremo.
Questo Milan attuale forse, è anche peggio di quello del cinese fake con Mirabelli e Fassone, almeno erano stati tirati fuori 200 milioni per il mercato, anche se spesi molto male.
 
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Paolo Maldini intervistato da Akos:"Quando ho fatto il dirigente, avendo avuto 25 anni di esperienza e ricordando quello che ho provato nei momenti difficili che sono stati tanti, ho cercato di mettere a frutto questa esperienza e cercare di supportare quelli che sono ragazzi molto giovani. Ancora senza una struttura vera e propria per affrontare determinati pesi che ti porti dietro facendo questa professione. Si vede sempre la cosa bella, ma non si vede il punto di vista della pressione. Secondo me c’è ancora molto da lavorare lì ed è ancora un terreno inespresso, perché le tante proprietà straniere non conoscono bene l’argomento e non vogliono neanche affrontare quel tipo di problema perché non hanno neanche gli strumenti per poterlo fare. Sappiamo benissimo qual è l’importanza di un supporto, anche a livello morale ai giocatori, sia prima che dopo le partite che durante gli allenamenti, è anche importante vedere come si allenano per riuscire a capire con hi stiamo parlando. Dico sempre che sono cose non tangibili, ma che fanno le fortune dei club. E le cose non tangibili, difficilmente si possono spiegare in un foglio Excel ai nuovi proprietari, sono fuori dalla portata o dalla possibilità di controllo di un proprietario. Sembra che tu abbia una formula magica, ma non lo è, è qualcosa che ti ha portato ad avere successo se lo hai avuto. Successo non vuol dire solamente vincere, vuol dire anche cercare di fare il massimo delle tue possibilità”.

"La mia carriera al Milan? Non lo considererei come un percorso monotono, ma anzi pieno di diciamo alti e bassi e pieno di soddisfazioni. Credo che la fortuna di un calciatore che gioca in una squadra sia quella di trovare un club che abbia le tue stesse ambizioni e che abbia comunque la possibilità di farti arrivare al tuo livello massimo. Io ho avuto la fortuna di avere oltre al talento una squadra che mirava ai massimi obiettivi: questo credo che sia stato il segreto numero uno per poter fare una carriera così lunga all’interno di un club”.

Soprattutto in certe squadre, e il Milan era una di queste, gli anni di giovanili erano improntati sulla l’acquisizione di capacità tecniche, quindi si cercava di fare molta tecnica, pochissima tattica, poi lo sviluppo anche di certe situazioni che si incontravano in campo. Io ho iniziato giocando da ala destra e ala sinistra per poi dopo verso i 14 anni retrocedere a retrocedere a terzino destro. Praticamente l’ultima parte delle giovanili nella Primavera giocavo da terzino destro. Io credo che sia comunque uno schema che funziona ancora oggi, anche se si tende a dare più nozioni tattiche a ragazzi che sinceramente hanno bisogno di sviluppare tutt’altro”.

"Berlusconi? Milanello è stato costruito negli anni 60, il primo centro al mondo, e il Milan una delle prime squadre che ha creduto in un progetto simile: già ai tempi c’era l’idea di un luogo chiuso, isolato e dedicato. Quando è arrivato Berlusconi ha portato un’organizzazione aziendale che ha elevato tutto e tutti al massimo livello, sia dal punto di vista calcistico che da quello organizzativo e di rispetto dei ruoli. La sua prima scelta, quella di chiamare un visionario come Sacchi, ha aperto il mondo del calcio ad altri mondi: sono arrivati preparatori dall’atletica. Le varie conoscenze si sono unite”.

Sacchi faceva lavorare tantissimo fisicamente, ed è il segreto delle squadre vincenti: quando lavori più degli altri hai dei vantaggi. E siccome c’era meno conoscenza, credo di essere andato quasi sempre in over-training. Avevo 20 anni, pensandoci adesso non si conosceva l’importanza del riposo, del giorno di scarico: la tua testa era abituata a soffrire sempre, ma dal punto di vista fisico avevi alti e bassi. Spesso arrivavi in campo senza gamba: non è un caso aver vinto solo un campionato in 4 anni nell’era Sacchi, anche se eravamo focalizzati sulle coppe europee. Il numero di allenamenti era uguale, erano però più lunghi (2 ore, 2 ore e mezza) e l’intensità era al massimo, con due doppi allenamenti a settimana. Una cosa che adesso è rara. Era una sperimentazione, basata sul principio del lavoro, ma dal punto di vista fisico a volte non avevamo performance fisiche ottimali”.

"Baresi? Franco ha smesso nel 95, una attenzione così spasmodica non c’era ancora ma Franco senza senza dubbio è stato un un grande esempio per me. Io avevo un carattere molto riservato e quindi era perfetto come lui si comportava dal mio punto di vista, poche parole tanti fatti. Ma così era Mauro Tassotti, con un carattere diverso, così erano tanti giocatori come Evani, Icardi. Diciamo che all’interno di quelle squadre c’erano giocatori molto divertenti, coi quali divertirti, e giocatori con una mentalità vincente: stava a te giovano capire quale gruppo seguire”.

"Van Basten? Senza gli infortuni van Basten sarebbe stato l’attaccante più forte di tutti i tempi? Beh già lo si può considerare. Marco al di là dei numeri, del fatto che fosse potesse calciare di destro e sinistro, del fatto che era alto 1,88, che fosse veloce, che fosse cattivo aveva anche questa capacità di essere bello nei suoi gesti tecnici. Marco già con quello che ha fatto, ha smesso a 28 anni praticamente, è da considerare tra i primi cinque attaccanti di sempre”.

"Capello e Ancelotti? Se Sacchi è stato il peggiore di tutti, Capello e Ancelotti sono stati molto simili. C’è sempre da considerare le varie stagioni, cioè quando giochi la Champions League fino alla fine non hai praticamente mai tempo per riposare, quindi quello che cambia è forse la gestione del tempo libero. Dare importanza al riposo credo che si astata una cosa fondamentale soprattutto nell’era di Ancelotti. Il segreto, secondo me, è richiedere tanto, ma dare anche tanta libertà dopo: giorni liberi, dare la possibilità di recuperare. Mi hanno sempre chiesto cosa facessi io durante le vacanze, perché ti danno dei programmi da seguire, tra una stagione e un’altra. Credo che il calcio sia l’unico sport che si gioca per 11 mesi, a volte anche 11 mesi e mezzo. A dire la verità io non ho mai fatto niente perché il mio corpo necessitava di riposo. L’unica stagione in cui ho fatto qualcosa è stata nel 1996 quando è nato mio figlio e avevo fatto l’Europeo in Inghilterra, ho fatto 15 giorni e sono arrivato il primo giorno di ritiro che non stavo in piedi. La mia grande forza era quella di riuscire a resettare tutto, di pensare alla vacanza, non pensare alla stagione appena trascorsa e neanche a quella che sarebbe arrivata e avere un recupero fisico e mentale di un certo livello”.



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"Ma di cosa parla questo? Calcio? Mi confermate che l'abbiamo già buttato fuori da tempo?"
"Certo capo!"
"Bene, a che punto siamo con le iniziative per il mese dell'orgoglio omosessuale? Possiamo colorare i giocatori bianchi con i colori dell'arcobaleno per la tournée negli Steits?"
 

gabri65

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Paolo Maldini intervistato da Akos:"Quando ho fatto il dirigente, avendo avuto 25 anni di esperienza e ricordando quello che ho provato nei momenti difficili che sono stati tanti, ho cercato di mettere a frutto questa esperienza e cercare di supportare quelli che sono ragazzi molto giovani. Ancora senza una struttura vera e propria per affrontare determinati pesi che ti porti dietro facendo questa professione. Si vede sempre la cosa bella, ma non si vede il punto di vista della pressione. Secondo me c’è ancora molto da lavorare lì ed è ancora un terreno inespresso, perché le tante proprietà straniere non conoscono bene l’argomento e non vogliono neanche affrontare quel tipo di problema perché non hanno neanche gli strumenti per poterlo fare. Sappiamo benissimo qual è l’importanza di un supporto, anche a livello morale ai giocatori, sia prima che dopo le partite che durante gli allenamenti, è anche importante vedere come si allenano per riuscire a capire con hi stiamo parlando. Dico sempre che sono cose non tangibili, ma che fanno le fortune dei club. E le cose non tangibili, difficilmente si possono spiegare in un foglio Excel ai nuovi proprietari, sono fuori dalla portata o dalla possibilità di controllo di un proprietario. Sembra che tu abbia una formula magica, ma non lo è, è qualcosa che ti ha portato ad avere successo se lo hai avuto. Successo non vuol dire solamente vincere, vuol dire anche cercare di fare il massimo delle tue possibilità”.

"La mia carriera al Milan? Non lo considererei come un percorso monotono, ma anzi pieno di diciamo alti e bassi e pieno di soddisfazioni. Credo che la fortuna di un calciatore che gioca in una squadra sia quella di trovare un club che abbia le tue stesse ambizioni e che abbia comunque la possibilità di farti arrivare al tuo livello massimo. Io ho avuto la fortuna di avere oltre al talento una squadra che mirava ai massimi obiettivi: questo credo che sia stato il segreto numero uno per poter fare una carriera così lunga all’interno di un club”.

Soprattutto in certe squadre, e il Milan era una di queste, gli anni di giovanili erano improntati sulla l’acquisizione di capacità tecniche, quindi si cercava di fare molta tecnica, pochissima tattica, poi lo sviluppo anche di certe situazioni che si incontravano in campo. Io ho iniziato giocando da ala destra e ala sinistra per poi dopo verso i 14 anni retrocedere a retrocedere a terzino destro. Praticamente l’ultima parte delle giovanili nella Primavera giocavo da terzino destro. Io credo che sia comunque uno schema che funziona ancora oggi, anche se si tende a dare più nozioni tattiche a ragazzi che sinceramente hanno bisogno di sviluppare tutt’altro”.

"Berlusconi? Milanello è stato costruito negli anni 60, il primo centro al mondo, e il Milan una delle prime squadre che ha creduto in un progetto simile: già ai tempi c’era l’idea di un luogo chiuso, isolato e dedicato. Quando è arrivato Berlusconi ha portato un’organizzazione aziendale che ha elevato tutto e tutti al massimo livello, sia dal punto di vista calcistico che da quello organizzativo e di rispetto dei ruoli. La sua prima scelta, quella di chiamare un visionario come Sacchi, ha aperto il mondo del calcio ad altri mondi: sono arrivati preparatori dall’atletica. Le varie conoscenze si sono unite”.

Sacchi faceva lavorare tantissimo fisicamente, ed è il segreto delle squadre vincenti: quando lavori più degli altri hai dei vantaggi. E siccome c’era meno conoscenza, credo di essere andato quasi sempre in over-training. Avevo 20 anni, pensandoci adesso non si conosceva l’importanza del riposo, del giorno di scarico: la tua testa era abituata a soffrire sempre, ma dal punto di vista fisico avevi alti e bassi. Spesso arrivavi in campo senza gamba: non è un caso aver vinto solo un campionato in 4 anni nell’era Sacchi, anche se eravamo focalizzati sulle coppe europee. Il numero di allenamenti era uguale, erano però più lunghi (2 ore, 2 ore e mezza) e l’intensità era al massimo, con due doppi allenamenti a settimana. Una cosa che adesso è rara. Era una sperimentazione, basata sul principio del lavoro, ma dal punto di vista fisico a volte non avevamo performance fisiche ottimali”.

"Baresi? Franco ha smesso nel 95, una attenzione così spasmodica non c’era ancora ma Franco senza senza dubbio è stato un un grande esempio per me. Io avevo un carattere molto riservato e quindi era perfetto come lui si comportava dal mio punto di vista, poche parole tanti fatti. Ma così era Mauro Tassotti, con un carattere diverso, così erano tanti giocatori come Evani, Icardi. Diciamo che all’interno di quelle squadre c’erano giocatori molto divertenti, coi quali divertirti, e giocatori con una mentalità vincente: stava a te giovano capire quale gruppo seguire”.

"Van Basten? Senza gli infortuni van Basten sarebbe stato l’attaccante più forte di tutti i tempi? Beh già lo si può considerare. Marco al di là dei numeri, del fatto che fosse potesse calciare di destro e sinistro, del fatto che era alto 1,88, che fosse veloce, che fosse cattivo aveva anche questa capacità di essere bello nei suoi gesti tecnici. Marco già con quello che ha fatto, ha smesso a 28 anni praticamente, è da considerare tra i primi cinque attaccanti di sempre”.

"Capello e Ancelotti? Se Sacchi è stato il peggiore di tutti, Capello e Ancelotti sono stati molto simili. C’è sempre da considerare le varie stagioni, cioè quando giochi la Champions League fino alla fine non hai praticamente mai tempo per riposare, quindi quello che cambia è forse la gestione del tempo libero. Dare importanza al riposo credo che si astata una cosa fondamentale soprattutto nell’era di Ancelotti. Il segreto, secondo me, è richiedere tanto, ma dare anche tanta libertà dopo: giorni liberi, dare la possibilità di recuperare. Mi hanno sempre chiesto cosa facessi io durante le vacanze, perché ti danno dei programmi da seguire, tra una stagione e un’altra. Credo che il calcio sia l’unico sport che si gioca per 11 mesi, a volte anche 11 mesi e mezzo. A dire la verità io non ho mai fatto niente perché il mio corpo necessitava di riposo. L’unica stagione in cui ho fatto qualcosa è stata nel 1996 quando è nato mio figlio e avevo fatto l’Europeo in Inghilterra, ho fatto 15 giorni e sono arrivato il primo giorno di ritiro che non stavo in piedi. La mia grande forza era quella di riuscire a resettare tutto, di pensare alla vacanza, non pensare alla stagione appena trascorsa e neanche a quella che sarebbe arrivata e avere un recupero fisico e mentale di un certo livello”.



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