Stavo riflettendo ieri sera, sopito il nervosismo latente.
Dall'anno scorso sono tante le partite dove ho avuto la voglia (ed ho) di spegnere la tv e dedicarmi ad altro.
Mi è capitato con Allegri, poi con Seedorf e poi con Inzaghi.
In tutti i casi ho visto partite dove la squadra era in balia degli avversari, scollata, giocatori indolenti o scoraggiati. O entrambe le cose.
Mi soffermo continuamente a riflettere sui limiti della rosa, sui limiti tecnici di chi allena, sulla difficoltà ambientali e su una società assente.
Ma ho visto allenatori mediocri fare buoni campionati con squadre altrettanto mediocri.
E ho visto anche allenatori bravi fallire dove pareva impossibile, situazioni dove c'era frattura tra società ed allenatore ma le cose andavano bene. Altre dove un mondo perfetto non funzionava. Chimiche e alchimie difficili da interpretare.
Poi ricordo un tale March, esperto organizzativo, che studiavo all'università.
Sosteneva che le organizzazioni si mettono d'accordo sui mezzi e non necessariamente sugli obiettivi.
Quanto più un gruppo diviene coeso assumendo un fine comune ed un senso di appartenenza si possono raggiungere certi difficili obiettivi. In caso contrario tutti saranno parte dello stesso gruppo ma la prestazione individuale sarà destinata primariamente ad un obiettivo individuale: arrivare a fine contratto e andarsene, mero ottenimento dello stipendio, giocarsi la riconferma, etc.
Essere parte di questa squadra sta diventando un mezzo comune senza obiettivi comuni e coesione (dunque).
Un allenatore che non capisce questo ma pensa di risolvere le cose con un semplice modulo così o cosà non va da nessuna parte.
Prima chi era inserito in squadra era assorbito nel gruppo, ora viene disperso e fagocitato velocemente nel niente.
Per questo eccelle chi ha un forte senso di responsabilità tra i giocatori.
Per questo con facilità un giovane è destinato al naufragio.