I pochi soldi di Mr Li. Inchiesta CorSera in edicola.

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Come già riportato ieri, il Corriere della Sera Economia in edicola oggi, 16 ottobre 2017, riporta un'inchiesta su Yonghong Li dal titolo:"Più rosso che nero. I (pochi) soldi di Yonghong Li.

Ecco l'inchiesta integrale, di seguito:

Per avere la squadra ha presentato carte che indicano un patrimonio personale di mezzo miliardo, ma le sostanze dell’uomo d’affari di Hong Kong risultano già in pegno a enti e istituzioni. Il ruolo di China Huarong.


E' appena arrivato ed è già a caccia di soldi. E a corto di classifica. Tra un anno esatto suonerà il gong dei debiti e LI Yonghong non ha ancora ben chiaro chi è il Milan, dove può arrivare. E i milanisti chi è il cinese, da dove arriva il denaro. Non è un mistero che Mister Li sia un mistero.Quasi come le sue miniere di fosfati. O le partecipazioni in aziende cinesi quotate, presentate come credenziali sul tavolo delle trattative ma nel frattempo evaporate in tutto o in parte. O i costosissimi bond del Milan parcheggiati alla Borsa di Vienna che in cinque mesi non hanno registrato un solo scambio. E che il 15 ottobre 2018 andranno rimborsati insieme a buona parte del debito.
L’arrivo del quarantottenne finanziere del Guangdong residente a Hong Kong dal ‘94 ha scompaginato regole consolidate del calcio e della ragionieristica. Come si fa a spendere 200 milioni per la campagna acquisti dopo che ti hanno prestato centinaia di milioni al tasso dell’11%, cioè più di quanto pagherebbe di interessi un qualsiasi pensionato da 1.500 euro al mese per l’acquisto del frigorifero? Sul faraonico calciomercato e sulla sua consistenza patrimoniale il povero Li è stato messo in croce quest’estate da James Pallotta che, tra l’altro, di gestione di debiti se ne intende con la sua Roma. Silvio Berlusconi, poi, non ha avuto parole di incoraggiamento, anzi. E intanto è stata rinviata (ma non è una sorpresa) l’approvazione del bilancio al 30 giugno, un esercizio di soli sei mesi, più rosso che nero come del resto sarà anche il prossimo bilancio.

Il punto, a sei mesi dal più faticoso closing della storia calcistica, è che il presidente-minatore è attaccato all’ossigeno dell’hedge fund Elliott di Paul Singer, tifoso dell’Arsenal. Poi tra un anno tireremo le somme e magari nel frattempo il Milan avrà conquistato la qualificazione in Champions, i milanisti avranno capito chi è davvero Yonghong, lui avrà trovato i diamanti nelle sue presunte miniere e fatto luce sulla rete di controversi affari («Ha illustrato tutto ai legali e alle controparti nella trattativa, ma è riservato, rispettate il suo understatement», dicono al Milan, glorioso club noto in tutto il mondo e insolito rifugio per chi vuole esercitare l’understatement).
Intanto, debiti o non debiti, nell’acquisto del Milan — fanno sempre notare gli uomini di Li in rossonero — il businessman cinese ci ha messo centinaia di milioni «suoi» sui 740 totali di valutazione del club, cifra che tra l’altro avrebbe causato una strage di Dom Perignon in casa Fininvest. È questo delle risorse personali il valido argomento di chi non vede nulla di anomalo in un’operazione che ha una fisiolo- gica componente di leva finanziaria. Se poi Li ha dovuto indebitarsi (300 milioni) a tassi elevati con l’hedge fund Elliott e non con una banca tradizionale, sarebbe stato solo per dribblare la stretta cinese sull’esportazione di capitali e accelerare il closing. Una sorta di prestito ponte, insomma. Ma anche uno «scherzetto» che da solo costerà 50 milioni extra tra interessi e sconti e tutto ilMilan in pegno a Elliott.
Tant’è che ora trapelano indiscrezioni su nuovi soci o (più probabil-
mente) su trattative con banche internazionali per rifinanziare il debito e togliersi il cappio al collo prima che ceda lo sgabello. Sul tavolo del negoziato il proprietario del Milan e l’amministratore delegato Marco Fassone piazzano un piano industriale particolarmente aggressivo, potenzialmente miracoloso sulle attese di ricavi in Cina (183 milioni nel 2018-2019). Intanto l’aumento di capitale estivo da 49 milioni è sta- to sottoscritto per 27 ma il consiglio ha una delega triennale per altri 60 milioni che mister Li non avrà difficoltà a farsi prestare.


Poi però, stringi stringi, anche su gran parte delle dichiarate risorse personali di Li ci sarebbe il cappello della China Huarong, un gruppo pubblico di asset management che avrebbe anticipato con triangolazioni offshore parte dei capitali destinati a Fininvest. Dunque si torna al punto: il mitico «impero» dell’uomo venuto (a Milanello) da Hong Kong. Patrimonio personale di oltre 500 milioni, è stato detto e mai smentito. E in effetti dal documento riservato che lo stesso manager presentava e con cui si accreditava nella trattativa («Mr Li and his family’s assets list») ne esce una somma di asset valutati mezzo miliardo di euro. Valutati da chi, però, non si sa. E 500 milioni di patrimonio «statico», poco redditizio e probabilmente già in garanzia a Huarong, non lasciano alcun margine di manovra a chi, dopo averlo pagato 740 milioni, vuole gestire un club che brucia tra i 5 e i 10 milioni di euro al mese. E poi le sue miniere di fosfati sembrano essere come l’araba fenice.
Fino al 2015 era azionista di maggioranza nella quotata Duolun, ma anche lì (con la minuscola) era tutto in pegno. Un altro asset citato nel curriculum? L’11,4% della Zhuhai Zhongfu (packaging) quotata a Shenzhen che avrebbe un valore di circa 115 milioni. Non viene precisato, però, che è un’azienda passata per una gravissima crisi, da anni non distribuisce dividendi, ha rischiato il default per il mancato pagamento di bond e il delisting per le continue perdite. Il valore oggi è quasi la metà. E poi non viene specificato che in realtà Li ha già venduto da due anni buona parte di quella partecipazione dichiarata. Chissà poi se era sua, perché quell’esatto pacchetto di azioni viene attribuito, secondo alcuni prospetti basati sulle comunicazioni alla Borsa di Shenzen, a un certo Jin Zhong Liu, numero uno della società di packaging e forse anche prestanome di Li.
Rifinanziamento è adesso la parola d’ordine. Anche per smontare i 128 milioni dei bond «viennesi» al 7,7% che sono finiti in pancia (con il carico a 360 gradi di pegni e garanzie che di fatto stoppa ogni via d’accesso alternativa al credito) a un veicolo di Elliott (Project Redblack) finanziato da due impalpabili società del Delaware (Genio e King George Investments). Nel frattempo forse si ca- pirà chi è davvero lo schivo presidente del Milan, Li Yonghong. O per chi lavo-
 

Super_Lollo

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Come già riportato ieri, il Corriere della Sera Economia in edicola oggi, 16 ottobre 2017, riporta un'inchiesta su Yonghong Li dal titolo:"Più rosso che nero. I (pochi) soldi di Yonghong Li.

Ecco l'inchiesta integrale, di seguito:

Per avere la squadra ha presentato carte che indicano un patrimonio personale di mezzo miliardo, ma le sostanze dell’uomo d’affari di Hong Kong risultano già in pegno a enti e istituzioni. Il ruolo di China Huarong.


E' appena arrivato ed è già a caccia di soldi. E a corto di classifica. Tra un anno esatto suonerà il gong dei debiti e LI Yonghong non ha ancora ben chiaro chi è il Milan, dove può arrivare. E i milanisti chi è il cinese, da dove arriva il denaro. Non è un mistero che Mister Li sia un mistero.Quasi come le sue miniere di fosfati. O le partecipazioni in aziende cinesi quotate, presentate come credenziali sul tavolo delle trattative ma nel frattempo evaporate in tutto o in parte. O i costosissimi bond del Milan parcheggiati alla Borsa di Vienna che in cinque mesi non hanno registrato un solo scambio. E che il 15 ottobre 2018 andranno rimborsati insieme a buona parte del debito.
L’arrivo del quarantottenne finanziere del Guangdong residente a Hong Kong dal ‘94 ha scompaginato regole consolidate del calcio e della ragionieristica. Come si fa a spendere 200 milioni per la campagna acquisti dopo che ti hanno prestato centinaia di milioni al tasso dell’11%, cioè più di quanto pagherebbe di interessi un qualsiasi pensionato da 1.500 euro al mese per l’acquisto del frigorifero? Sul faraonico calciomercato e sulla sua consistenza patrimoniale il povero Li è stato messo in croce quest’estate da James Pallotta che, tra l’altro, di gestione di debiti se ne intende con la sua Roma. Silvio Berlusconi, poi, non ha avuto parole di incoraggiamento, anzi. E intanto è stata rinviata (ma non è una sorpresa) l’approvazione del bilancio al 30 giugno, un esercizio di soli sei mesi, più rosso che nero come del resto sarà anche il prossimo bilancio.

Il punto, a sei mesi dal più faticoso closing della storia calcistica, è che il presidente-minatore è attaccato all’ossigeno dell’hedge fund Elliott di Paul Singer, tifoso dell’Arsenal. Poi tra un anno tireremo le somme e magari nel frattempo il Milan avrà conquistato la qualificazione in Champions, i milanisti avranno capito chi è davvero Yonghong, lui avrà trovato i diamanti nelle sue presunte miniere e fatto luce sulla rete di controversi affari («Ha illustrato tutto ai legali e alle controparti nella trattativa, ma è riservato, rispettate il suo understatement», dicono al Milan, glorioso club noto in tutto il mondo e insolito rifugio per chi vuole esercitare l’understatement).
Intanto, debiti o non debiti, nell’acquisto del Milan — fanno sempre notare gli uomini di Li in rossonero — il businessman cinese ci ha messo centinaia di milioni «suoi» sui 740 totali di valutazione del club, cifra che tra l’altro avrebbe causato una strage di Dom Perignon in casa Fininvest. È questo delle risorse personali il valido argomento di chi non vede nulla di anomalo in un’operazione che ha una fisiolo- gica componente di leva finanziaria. Se poi Li ha dovuto indebitarsi (300 milioni) a tassi elevati con l’hedge fund Elliott e non con una banca tradizionale, sarebbe stato solo per dribblare la stretta cinese sull’esportazione di capitali e accelerare il closing. Una sorta di prestito ponte, insomma. Ma anche uno «scherzetto» che da solo costerà 50 milioni extra tra interessi e sconti e tutto ilMilan in pegno a Elliott.
Tant’è che ora trapelano indiscrezioni su nuovi soci o (più probabil-
mente) su trattative con banche internazionali per rifinanziare il debito e togliersi il cappio al collo prima che ceda lo sgabello. Sul tavolo del negoziato il proprietario del Milan e l’amministratore delegato Marco Fassone piazzano un piano industriale particolarmente aggressivo, potenzialmente miracoloso sulle attese di ricavi in Cina (183 milioni nel 2018-2019). Intanto l’aumento di capitale estivo da 49 milioni è sta- to sottoscritto per 27 ma il consiglio ha una delega triennale per altri 60 milioni che mister Li non avrà difficoltà a farsi prestare.


Poi però, stringi stringi, anche su gran parte delle dichiarate risorse personali di Li ci sarebbe il cappello della China Huarong, un gruppo pubblico di asset management che avrebbe anticipato con triangolazioni offshore parte dei capitali destinati a Fininvest. Dunque si torna al punto: il mitico «impero» dell’uomo venuto (a Milanello) da Hong Kong. Patrimonio personale di oltre 500 milioni, è stato detto e mai smentito. E in effetti dal documento riservato che lo stesso manager presentava e con cui si accreditava nella trattativa («Mr Li and his family’s assets list») ne esce una somma di asset valutati mezzo miliardo di euro. Valutati da chi, però, non si sa. E 500 milioni di patrimonio «statico», poco redditizio e probabilmente già in garanzia a Huarong, non lasciano alcun margine di manovra a chi, dopo averlo pagato 740 milioni, vuole gestire un club che brucia tra i 5 e i 10 milioni di euro al mese. E poi le sue miniere di fosfati sembrano essere come l’araba fenice.
Fino al 2015 era azionista di maggioranza nella quotata Duolun, ma anche lì (con la minuscola) era tutto in pegno. Un altro asset citato nel curriculum? L’11,4% della Zhuhai Zhongfu (packaging) quotata a Shenzhen che avrebbe un valore di circa 115 milioni. Non viene precisato, però, che è un’azienda passata per una gravissima crisi, da anni non distribuisce dividendi, ha rischiato il default per il mancato pagamento di bond e il delisting per le continue perdite. Il valore oggi è quasi la metà. E poi non viene specificato che in realtà Li ha già venduto da due anni buona parte di quella partecipazione dichiarata. Chissà poi se era sua, perché quell’esatto pacchetto di azioni viene attribuito, secondo alcuni prospetti basati sulle comunicazioni alla Borsa di Shenzen, a un certo Jin Zhong Liu, numero uno della società di packaging e forse anche prestanome di Li.
Rifinanziamento è adesso la parola d’ordine. Anche per smontare i 128 milioni dei bond «viennesi» al 7,7% che sono finiti in pancia (con il carico a 360 gradi di pegni e garanzie che di fatto stoppa ogni via d’accesso alternativa al credito) a un veicolo di Elliott (Project Redblack) finanziato da due impalpabili società del Delaware (Genio e King George Investments). Nel frattempo forse si ca- pirà chi è davvero lo schivo presidente del Milan, Li Yonghong. O per chi lavo-

Continuo a non capire questo accanimento , ha 1 anno ha detto più volte che a gennaio / Febbraio sistemerà con 6 mesi di anticipo le cose... cosa deve fare di più ?

Ora è di moda insultare il milan in ogni modo e vuoi che ogni giornalaio non ci si butti a capofitto ?
 
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Uno che ha il suo destino che dipende da questa stagione sarebbe già intervenuto 2-3 settimane fa. L'alternativa è che non possa permettersi di intervenire, e questo per noi sarebbe gravissimo. Vorrebbe dire che è già alla canna del gas, il problema è che si è affidato alle persone sbagliate, Fassone che capisce meno di zero di calcio (ma anche con sponsorizzazioni, diritti tv, mercato cinese sta raccogliendo pochino) e un ds che ha vinto solo in Lega Pro.
Ragazzi, questi sono i fatti! I soldi non servono a niente se non sai gestirli, in questo momento il Milan è a centro classifica e pieno di equivoci tattici. Il Napoli con un allenatore che viene dalla campagna e 11 titolari sempre gli stessi domina il campionato e arrichisce il suo patron.
 

Ruuddil23

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Come già riportato ieri, il Corriere della Sera Economia in edicola oggi, 16 ottobre 2017, riporta un'inchiesta su Yonghong Li dal titolo:"Più rosso che nero. I (pochi) soldi di Yonghong Li.

Ecco l'inchiesta integrale, di seguito:

Per avere la squadra ha presentato carte che indicano un patrimonio personale di mezzo miliardo, ma le sostanze dell’uomo d’affari di Hong Kong risultano già in pegno a enti e istituzioni. Il ruolo di China Huarong.


E' appena arrivato ed è già a caccia di soldi. E a corto di classifica. Tra un anno esatto suonerà il gong dei debiti e LI Yonghong non ha ancora ben chiaro chi è il Milan, dove può arrivare. E i milanisti chi è il cinese, da dove arriva il denaro. Non è un mistero che Mister Li sia un mistero.Quasi come le sue miniere di fosfati. O le partecipazioni in aziende cinesi quotate, presentate come credenziali sul tavolo delle trattative ma nel frattempo evaporate in tutto o in parte. O i costosissimi bond del Milan parcheggiati alla Borsa di Vienna che in cinque mesi non hanno registrato un solo scambio. E che il 15 ottobre 2018 andranno rimborsati insieme a buona parte del debito.
L’arrivo del quarantottenne finanziere del Guangdong residente a Hong Kong dal ‘94 ha scompaginato regole consolidate del calcio e della ragionieristica. Come si fa a spendere 200 milioni per la campagna acquisti dopo che ti hanno prestato centinaia di milioni al tasso dell’11%, cioè più di quanto pagherebbe di interessi un qualsiasi pensionato da 1.500 euro al mese per l’acquisto del frigorifero? Sul faraonico calciomercato e sulla sua consistenza patrimoniale il povero Li è stato messo in croce quest’estate da James Pallotta che, tra l’altro, di gestione di debiti se ne intende con la sua Roma. Silvio Berlusconi, poi, non ha avuto parole di incoraggiamento, anzi. E intanto è stata rinviata (ma non è una sorpresa) l’approvazione del bilancio al 30 giugno, un esercizio di soli sei mesi, più rosso che nero come del resto sarà anche il prossimo bilancio.

Il punto, a sei mesi dal più faticoso closing della storia calcistica, è che il presidente-minatore è attaccato all’ossigeno dell’hedge fund Elliott di Paul Singer, tifoso dell’Arsenal. Poi tra un anno tireremo le somme e magari nel frattempo il Milan avrà conquistato la qualificazione in Champions, i milanisti avranno capito chi è davvero Yonghong, lui avrà trovato i diamanti nelle sue presunte miniere e fatto luce sulla rete di controversi affari («Ha illustrato tutto ai legali e alle controparti nella trattativa, ma è riservato, rispettate il suo understatement», dicono al Milan, glorioso club noto in tutto il mondo e insolito rifugio per chi vuole esercitare l’understatement).
Intanto, debiti o non debiti, nell’acquisto del Milan — fanno sempre notare gli uomini di Li in rossonero — il businessman cinese ci ha messo centinaia di milioni «suoi» sui 740 totali di valutazione del club, cifra che tra l’altro avrebbe causato una strage di Dom Perignon in casa Fininvest. È questo delle risorse personali il valido argomento di chi non vede nulla di anomalo in un’operazione che ha una fisiolo- gica componente di leva finanziaria. Se poi Li ha dovuto indebitarsi (300 milioni) a tassi elevati con l’hedge fund Elliott e non con una banca tradizionale, sarebbe stato solo per dribblare la stretta cinese sull’esportazione di capitali e accelerare il closing. Una sorta di prestito ponte, insomma. Ma anche uno «scherzetto» che da solo costerà 50 milioni extra tra interessi e sconti e tutto ilMilan in pegno a Elliott.
Tant’è che ora trapelano indiscrezioni su nuovi soci o (più probabil-
mente) su trattative con banche internazionali per rifinanziare il debito e togliersi il cappio al collo prima che ceda lo sgabello. Sul tavolo del negoziato il proprietario del Milan e l’amministratore delegato Marco Fassone piazzano un piano industriale particolarmente aggressivo, potenzialmente miracoloso sulle attese di ricavi in Cina (183 milioni nel 2018-2019). Intanto l’aumento di capitale estivo da 49 milioni è sta- to sottoscritto per 27 ma il consiglio ha una delega triennale per altri 60 milioni che mister Li non avrà difficoltà a farsi prestare.


Poi però, stringi stringi, anche su gran parte delle dichiarate risorse personali di Li ci sarebbe il cappello della China Huarong, un gruppo pubblico di asset management che avrebbe anticipato con triangolazioni offshore parte dei capitali destinati a Fininvest. Dunque si torna al punto: il mitico «impero» dell’uomo venuto (a Milanello) da Hong Kong. Patrimonio personale di oltre 500 milioni, è stato detto e mai smentito. E in effetti dal documento riservato che lo stesso manager presentava e con cui si accreditava nella trattativa («Mr Li and his family’s assets list») ne esce una somma di asset valutati mezzo miliardo di euro. Valutati da chi, però, non si sa. E 500 milioni di patrimonio «statico», poco redditizio e probabilmente già in garanzia a Huarong, non lasciano alcun margine di manovra a chi, dopo averlo pagato 740 milioni, vuole gestire un club che brucia tra i 5 e i 10 milioni di euro al mese. E poi le sue miniere di fosfati sembrano essere come l’araba fenice.
Fino al 2015 era azionista di maggioranza nella quotata Duolun, ma anche lì (con la minuscola) era tutto in pegno. Un altro asset citato nel curriculum? L’11,4% della Zhuhai Zhongfu (packaging) quotata a Shenzhen che avrebbe un valore di circa 115 milioni. Non viene precisato, però, che è un’azienda passata per una gravissima crisi, da anni non distribuisce dividendi, ha rischiato il default per il mancato pagamento di bond e il delisting per le continue perdite. Il valore oggi è quasi la metà. E poi non viene specificato che in realtà Li ha già venduto da due anni buona parte di quella partecipazione dichiarata. Chissà poi se era sua, perché quell’esatto pacchetto di azioni viene attribuito, secondo alcuni prospetti basati sulle comunicazioni alla Borsa di Shenzen, a un certo Jin Zhong Liu, numero uno della società di packaging e forse anche prestanome di Li.
Rifinanziamento è adesso la parola d’ordine. Anche per smontare i 128 milioni dei bond «viennesi» al 7,7% che sono finiti in pancia (con il carico a 360 gradi di pegni e garanzie che di fatto stoppa ogni via d’accesso alternativa al credito) a un veicolo di Elliott (Project Redblack) finanziato da due impalpabili società del Delaware (Genio e King George Investments). Nel frattempo forse si ca- pirà chi è davvero lo schivo presidente del Milan, Li Yonghong. O per chi lavo-

Al momento resto più preoccupato delle questioni di campo ma una situazione societaria del genere non può lasciare tranquilli. E a proposito di campo, possibile che in una situazione così "drammatica" non si senta nemmeno una voce della proprietà? Nemmeno Han Li ha detto una parola, sconcertante.
 

Casnop

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Come già riportato ieri, il Corriere della Sera Economia in edicola oggi, 16 ottobre 2017, riporta un'inchiesta su Yonghong Li dal titolo:"Più rosso che nero. I (pochi) soldi di Yonghong Li.

Ecco l'inchiesta integrale, di seguito:

Per avere la squadra ha presentato carte che indicano un patrimonio personale di mezzo miliardo, ma le sostanze dell’uomo d’affari di Hong Kong risultano già in pegno a enti e istituzioni. Il ruolo di China Huarong.


E' appena arrivato ed è già a caccia di soldi. E a corto di classifica. Tra un anno esatto suonerà il gong dei debiti e LI Yonghong non ha ancora ben chiaro chi è il Milan, dove può arrivare. E i milanisti chi è il cinese, da dove arriva il denaro. Non è un mistero che Mister Li sia un mistero.Quasi come le sue miniere di fosfati. O le partecipazioni in aziende cinesi quotate, presentate come credenziali sul tavolo delle trattative ma nel frattempo evaporate in tutto o in parte. O i costosissimi bond del Milan parcheggiati alla Borsa di Vienna che in cinque mesi non hanno registrato un solo scambio. E che il 15 ottobre 2018 andranno rimborsati insieme a buona parte del debito.
L’arrivo del quarantottenne finanziere del Guangdong residente a Hong Kong dal ‘94 ha scompaginato regole consolidate del calcio e della ragionieristica. Come si fa a spendere 200 milioni per la campagna acquisti dopo che ti hanno prestato centinaia di milioni al tasso dell’11%, cioè più di quanto pagherebbe di interessi un qualsiasi pensionato da 1.500 euro al mese per l’acquisto del frigorifero? Sul faraonico calciomercato e sulla sua consistenza patrimoniale il povero Li è stato messo in croce quest’estate da James Pallotta che, tra l’altro, di gestione di debiti se ne intende con la sua Roma. Silvio Berlusconi, poi, non ha avuto parole di incoraggiamento, anzi. E intanto è stata rinviata (ma non è una sorpresa) l’approvazione del bilancio al 30 giugno, un esercizio di soli sei mesi, più rosso che nero come del resto sarà anche il prossimo bilancio.

Il punto, a sei mesi dal più faticoso closing della storia calcistica, è che il presidente-minatore è attaccato all’ossigeno dell’hedge fund Elliott di Paul Singer, tifoso dell’Arsenal. Poi tra un anno tireremo le somme e magari nel frattempo il Milan avrà conquistato la qualificazione in Champions, i milanisti avranno capito chi è davvero Yonghong, lui avrà trovato i diamanti nelle sue presunte miniere e fatto luce sulla rete di controversi affari («Ha illustrato tutto ai legali e alle controparti nella trattativa, ma è riservato, rispettate il suo understatement», dicono al Milan, glorioso club noto in tutto il mondo e insolito rifugio per chi vuole esercitare l’understatement).
Intanto, debiti o non debiti, nell’acquisto del Milan — fanno sempre notare gli uomini di Li in rossonero — il businessman cinese ci ha messo centinaia di milioni «suoi» sui 740 totali di valutazione del club, cifra che tra l’altro avrebbe causato una strage di Dom Perignon in casa Fininvest. È questo delle risorse personali il valido argomento di chi non vede nulla di anomalo in un’operazione che ha una fisiolo- gica componente di leva finanziaria. Se poi Li ha dovuto indebitarsi (300 milioni) a tassi elevati con l’hedge fund Elliott e non con una banca tradizionale, sarebbe stato solo per dribblare la stretta cinese sull’esportazione di capitali e accelerare il closing. Una sorta di prestito ponte, insomma. Ma anche uno «scherzetto» che da solo costerà 50 milioni extra tra interessi e sconti e tutto ilMilan in pegno a Elliott.
Tant’è che ora trapelano indiscrezioni su nuovi soci o (più probabil-
mente) su trattative con banche internazionali per rifinanziare il debito e togliersi il cappio al collo prima che ceda lo sgabello. Sul tavolo del negoziato il proprietario del Milan e l’amministratore delegato Marco Fassone piazzano un piano industriale particolarmente aggressivo, potenzialmente miracoloso sulle attese di ricavi in Cina (183 milioni nel 2018-2019). Intanto l’aumento di capitale estivo da 49 milioni è sta- to sottoscritto per 27 ma il consiglio ha una delega triennale per altri 60 milioni che mister Li non avrà difficoltà a farsi prestare.


Poi però, stringi stringi, anche su gran parte delle dichiarate risorse personali di Li ci sarebbe il cappello della China Huarong, un gruppo pubblico di asset management che avrebbe anticipato con triangolazioni offshore parte dei capitali destinati a Fininvest. Dunque si torna al punto: il mitico «impero» dell’uomo venuto (a Milanello) da Hong Kong. Patrimonio personale di oltre 500 milioni, è stato detto e mai smentito. E in effetti dal documento riservato che lo stesso manager presentava e con cui si accreditava nella trattativa («Mr Li and his family’s assets list») ne esce una somma di asset valutati mezzo miliardo di euro. Valutati da chi, però, non si sa. E 500 milioni di patrimonio «statico», poco redditizio e probabilmente già in garanzia a Huarong, non lasciano alcun margine di manovra a chi, dopo averlo pagato 740 milioni, vuole gestire un club che brucia tra i 5 e i 10 milioni di euro al mese. E poi le sue miniere di fosfati sembrano essere come l’araba fenice.
Fino al 2015 era azionista di maggioranza nella quotata Duolun, ma anche lì (con la minuscola) era tutto in pegno. Un altro asset citato nel curriculum? L’11,4% della Zhuhai Zhongfu (packaging) quotata a Shenzhen che avrebbe un valore di circa 115 milioni. Non viene precisato, però, che è un’azienda passata per una gravissima crisi, da anni non distribuisce dividendi, ha rischiato il default per il mancato pagamento di bond e il delisting per le continue perdite. Il valore oggi è quasi la metà. E poi non viene specificato che in realtà Li ha già venduto da due anni buona parte di quella partecipazione dichiarata. Chissà poi se era sua, perché quell’esatto pacchetto di azioni viene attribuito, secondo alcuni prospetti basati sulle comunicazioni alla Borsa di Shenzen, a un certo Jin Zhong Liu, numero uno della società di packaging e forse anche prestanome di Li.
Rifinanziamento è adesso la parola d’ordine. Anche per smontare i 128 milioni dei bond «viennesi» al 7,7% che sono finiti in pancia (con il carico a 360 gradi di pegni e garanzie che di fatto stoppa ogni via d’accesso alternativa al credito) a un veicolo di Elliott (Project Redblack) finanziato da due impalpabili società del Delaware (Genio e King George Investments). Nel frattempo forse si ca- pirà chi è davvero lo schivo presidente del Milan, Li Yonghong. O per chi lavo-
Mal comune, mezzo gaudio, dicevano i nostri antichi. Da indiscrezioni giornalistiche, Sole 24 Ore, emerge che Suning si era impegnata a rinegoziare il debito contratto da Thohir con Goldman Sachs nel 2014. Dal bilancio dell’Inter al 30 giugno 2016 emerge che i debiti bancari ammontano a 210 milioni e prevedono ancora il pagamento di 15 rate trimestrali da 3 milioni per un totale di 45 milioni, più una maxirata finale da 184 milioni da saldare entro il 30 giugno 2019. Per ora Suning ha deciso di non intaccare la struttura del finanziamento di Goldman Sachs (sceso nel frattempo a 210 milioni). Sempre nel bilancio 2016 si precisava però che erano “in fase avanzata” le trattative per la stipula con un’altra banca di un nuovo contratto di finanziamento da 300 milioni finalizzato anche a chiudere la posizione con Goldman.
Ricordiamo che nell’ambito dell’operazione di rifinanziamento orchestrata da Thohir i contratti di sponsorizzazione, i crediti derivanti dalla vendita dei “media rights”, i contratti relativi a Inter Channel e il marchio sono stati infatti conferiti a Inter Media and Communication Srl (IMC), società data in pegno a garanzia del debito.
Orbene, cambiamo i nomi, aggiungiamo le pittoresche miniere di fosfati di Mr. Li, ed abbiamo riprodotto pari pari i termini della posizione finanziaria del Milan. Il Corriere della Sera, bontà sua, ritiene di non dover farci una inchiesta. La potenza di Suning fa miracoli, fa sparire i debiti, evidentemente. :)
 

krull

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Io sono molto preoccupato. Più da queste questioni proprietarie che dal campo (sul quale ormai ho perso ogni speranza). Troppa tranquillità. Qua c'è una montagna di debiti da scalare e nessuno ci getterà una corda per tirarci su ma solo per impiccarci
 
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Bah, dico solo che questo articolo perde di qualsiasi credibilità nel momento in cui fa capire che Li è un pezzente (potrebbe anche essere) per poi tirare in ballo Huarong.
SE (?) Huarong è dentro, mi pare evidente che il nostro attuale Presidente sia colui che hanno mandato avanti a nome loro.
 
V

vanbasten

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Come già riportato ieri, il Corriere della Sera Economia in edicola oggi, 16 ottobre 2017, riporta un'inchiesta su Yonghong Li dal titolo:"Più rosso che nero. I (pochi) soldi di Yonghong Li.

Ecco l'inchiesta integrale, di seguito:

Per avere la squadra ha presentato carte che indicano un patrimonio personale di mezzo miliardo, ma le sostanze dell’uomo d’affari di Hong Kong risultano già in pegno a enti e istituzioni. Il ruolo di China Huarong.


E' appena arrivato ed è già a caccia di soldi. E a corto di classifica. Tra un anno esatto suonerà il gong dei debiti e LI Yonghong non ha ancora ben chiaro chi è il Milan, dove può arrivare. E i milanisti chi è il cinese, da dove arriva il denaro. Non è un mistero che Mister Li sia un mistero.Quasi come le sue miniere di fosfati. O le partecipazioni in aziende cinesi quotate, presentate come credenziali sul tavolo delle trattative ma nel frattempo evaporate in tutto o in parte. O i costosissimi bond del Milan parcheggiati alla Borsa di Vienna che in cinque mesi non hanno registrato un solo scambio. E che il 15 ottobre 2018 andranno rimborsati insieme a buona parte del debito.
L’arrivo del quarantottenne finanziere del Guangdong residente a Hong Kong dal ‘94 ha scompaginato regole consolidate del calcio e della ragionieristica. Come si fa a spendere 200 milioni per la campagna acquisti dopo che ti hanno prestato centinaia di milioni al tasso dell’11%, cioè più di quanto pagherebbe di interessi un qualsiasi pensionato da 1.500 euro al mese per l’acquisto del frigorifero? Sul faraonico calciomercato e sulla sua consistenza patrimoniale il povero Li è stato messo in croce quest’estate da James Pallotta che, tra l’altro, di gestione di debiti se ne intende con la sua Roma. Silvio Berlusconi, poi, non ha avuto parole di incoraggiamento, anzi. E intanto è stata rinviata (ma non è una sorpresa) l’approvazione del bilancio al 30 giugno, un esercizio di soli sei mesi, più rosso che nero come del resto sarà anche il prossimo bilancio.

Il punto, a sei mesi dal più faticoso closing della storia calcistica, è che il presidente-minatore è attaccato all’ossigeno dell’hedge fund Elliott di Paul Singer, tifoso dell’Arsenal. Poi tra un anno tireremo le somme e magari nel frattempo il Milan avrà conquistato la qualificazione in Champions, i milanisti avranno capito chi è davvero Yonghong, lui avrà trovato i diamanti nelle sue presunte miniere e fatto luce sulla rete di controversi affari («Ha illustrato tutto ai legali e alle controparti nella trattativa, ma è riservato, rispettate il suo understatement», dicono al Milan, glorioso club noto in tutto il mondo e insolito rifugio per chi vuole esercitare l’understatement).
Intanto, debiti o non debiti, nell’acquisto del Milan — fanno sempre notare gli uomini di Li in rossonero — il businessman cinese ci ha messo centinaia di milioni «suoi» sui 740 totali di valutazione del club, cifra che tra l’altro avrebbe causato una strage di Dom Perignon in casa Fininvest. È questo delle risorse personali il valido argomento di chi non vede nulla di anomalo in un’operazione che ha una fisiolo- gica componente di leva finanziaria. Se poi Li ha dovuto indebitarsi (300 milioni) a tassi elevati con l’hedge fund Elliott e non con una banca tradizionale, sarebbe stato solo per dribblare la stretta cinese sull’esportazione di capitali e accelerare il closing. Una sorta di prestito ponte, insomma. Ma anche uno «scherzetto» che da solo costerà 50 milioni extra tra interessi e sconti e tutto ilMilan in pegno a Elliott.
Tant’è che ora trapelano indiscrezioni su nuovi soci o (più probabil-
mente) su trattative con banche internazionali per rifinanziare il debito e togliersi il cappio al collo prima che ceda lo sgabello. Sul tavolo del negoziato il proprietario del Milan e l’amministratore delegato Marco Fassone piazzano un piano industriale particolarmente aggressivo, potenzialmente miracoloso sulle attese di ricavi in Cina (183 milioni nel 2018-2019). Intanto l’aumento di capitale estivo da 49 milioni è sta- to sottoscritto per 27 ma il consiglio ha una delega triennale per altri 60 milioni che mister Li non avrà difficoltà a farsi prestare.


Poi però, stringi stringi, anche su gran parte delle dichiarate risorse personali di Li ci sarebbe il cappello della China Huarong, un gruppo pubblico di asset management che avrebbe anticipato con triangolazioni offshore parte dei capitali destinati a Fininvest. Dunque si torna al punto: il mitico «impero» dell’uomo venuto (a Milanello) da Hong Kong. Patrimonio personale di oltre 500 milioni, è stato detto e mai smentito. E in effetti dal documento riservato che lo stesso manager presentava e con cui si accreditava nella trattativa («Mr Li and his family’s assets list») ne esce una somma di asset valutati mezzo miliardo di euro. Valutati da chi, però, non si sa. E 500 milioni di patrimonio «statico», poco redditizio e probabilmente già in garanzia a Huarong, non lasciano alcun margine di manovra a chi, dopo averlo pagato 740 milioni, vuole gestire un club che brucia tra i 5 e i 10 milioni di euro al mese. E poi le sue miniere di fosfati sembrano essere come l’araba fenice.
Fino al 2015 era azionista di maggioranza nella quotata Duolun, ma anche lì (con la minuscola) era tutto in pegno. Un altro asset citato nel curriculum? L’11,4% della Zhuhai Zhongfu (packaging) quotata a Shenzhen che avrebbe un valore di circa 115 milioni. Non viene precisato, però, che è un’azienda passata per una gravissima crisi, da anni non distribuisce dividendi, ha rischiato il default per il mancato pagamento di bond e il delisting per le continue perdite. Il valore oggi è quasi la metà. E poi non viene specificato che in realtà Li ha già venduto da due anni buona parte di quella partecipazione dichiarata. Chissà poi se era sua, perché quell’esatto pacchetto di azioni viene attribuito, secondo alcuni prospetti basati sulle comunicazioni alla Borsa di Shenzen, a un certo Jin Zhong Liu, numero uno della società di packaging e forse anche prestanome di Li.
Rifinanziamento è adesso la parola d’ordine. Anche per smontare i 128 milioni dei bond «viennesi» al 7,7% che sono finiti in pancia (con il carico a 360 gradi di pegni e garanzie che di fatto stoppa ogni via d’accesso alternativa al credito) a un veicolo di Elliott (Project Redblack) finanziato da due impalpabili società del Delaware (Genio e King George Investments). Nel frattempo forse si ca- pirà chi è davvero lo schivo presidente del Milan, Li Yonghong. O per chi lavo-

eh niente non finiamo la stagione per mancanza di fondi.
 

krull

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Bah, dico solo che questo articolo perde di qualsiasi credibilità nel momento in cui fa capire che Li è un pezzente (potrebbe anche essere) per poi tirare in ballo Huarong.
SE (?) Huarong è dentro, mi pare evidente che il nostro attuale Presidente sia colui che hanno mandato avanti a nome loro.

Dipende da come Huarong è dentro. Sicuri che in realtà non abbia semplicemente prestato denaro a Li? Perchè questo nessuno lo sa...
 
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Dipende da come Huarong è dentro. Sicuri che in realtà non abbia semplicemente prestato denaro a Li? Perchè questo nessuno lo sa...

Se presti soldi a qualcuno, è perchè sai che in qualche modo può ridarteli con gli interessi, detta brevemente e semplicemente.
Dato che Li sembra non essere particolarmente ricco, l'unico scenario in cui vedo un coinvolgimento di Huarong è quello che ho scritto nel post precedente.
Casomai Elliott sembra aver prestato soldi per avere un "ritorno", tra le due.
 
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