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Matteo Gabbia intervistato da Cronache di Spogliatoio. Le parole del difensore, riportate dal portale:
"È stata un’emozione fantastica quella di poter entrare allo stadio quando ero piccolo, era il mio sogno vivere la partita da tifoso con i miei nonni e mio cugino. È stato speciale, lo porterò sempre nei miei ricordi. Non ho una partita che mi ricordo perché ero davvero molto piccolo, ma ci sono diversi momenti impressi nella mia mente: la cosa che mi emozionava tantissimo ogni volta era quando passavi i tornelli, iniziavi ad entrare nello stadio e vedevi il campo. Si iniziava a sentire quell’odore di erba del campo, era qualcosa di fantastico e unico”.
La prima partita di cui hai ricordi? “È stato un Milan-Fiorentina dove il Milan vinse con diversi gol di scarto, e me lo ricordo perché i tifosi della Fiorentina tirarono delle uova contro il pullman con cui io e i miei nonni andavamo allo stadio, è un ricordo che c’entra poco con la partita, io ero molto piccolo e questa cosa al momento mi ha fatto anche sorridere. È stata una cosa simpatica”.
La prima maglia del Milan? “La prima maglia da bambino la conservo ancora a casa, per me è come un cimelio. Ci sono molto affezionato: me la regalarono i miei genitori, era una maglia di Shevchenko. Ogni volta che era pulita o non troppo sporca la mettevo per giocare nel cortile di casa mia o all’oratorio. Era sempre bello indossare la maglia del Milan”.
Ricordi in che occasione ti è stata regalata? “Sì, mi è stata regalata per il compleanno. Ero contento. Magari a differenza di altri bambini che volevano un gioco quella maglia mi rese stra felice”.
Hai parlato anche dei tuoi nonni, che forse sono stati il fulcro della tua fede milanista. Andavi con loro allo stadio? “Con i miei nonni mi ricordo i pre partita, quando si giocava la sera e quindi io e mio cugino ci ritrovavamo prima a casa dei miei nonni e mangiavamo un toast, poi arrivava il pullman all’incrocio e andavamo a San Siro. Era qualcosa di stupendo, erano tempi diversi: i bambini potevano entrare con molta più facilità, lo stadio era sempre stra pieno e il Milan era tra le squadre più grandi al mondo. Era un sogno poter andare allo stadio e vivere una cosa così bella con la propria famiglia”.
Quale successo ti ricordi maggiormente? “Mi ricordo bene la finale del 2007, fortunatamente mi ricordo meno quella di Istanbul di due anni prima perché ero piccolo, avevo solo sei anni. Quella di Atene me la ricordo molto bene: eravamo a casa e ci vedemmo la partita tutti insieme e fu davvero molto emozionante. Fu una rivincita, è stato bello. Speriamo che questi momenti possano tornare nel minor tempo possibile”.
Com’è ora il dibattito sul calcio in famiglia? “Sono cambiate tante cose, inizialmente parlavamo in maniera molto diversa, da tifosi. Adesso essendo in prima persona in questo ambiente ci sono cose che sono cambiate, ma le cose che dico sono sempre le stesse. Mia nonna mi dà tanti consigli perché mi vuole bene, mi fa da mangiare cose fantastiche sempre perché mi vuole bene (ride, ndr) e io sono contento di andare lì e di passare del tempo con lei, sono immagini e figure molto importanti nella mia vita”.
Sei cresciuto nel mondo Milan, cosa vuol dire per un ragazzo crescere qui e giocare con questa maglia? “Io penso che per un ragazzo, soprattutto molto giovane come potevo essere io a 14 anni, crescere nel Milan è sia un sogno che una responsabilità. Bisogna avere l’intelligenza di capire che ogni giorno va meritato di essere in una società così gloriosa e prestigiosa. Il fatto di aver fatto le trafile giovanili e di essere ora in Prima Squadra è un motivo di orgoglio per aver fatto ed essere migliorato in tutti gli step. Spero che la mia crescita possa continuare nel miglior modo possibile, con questa maglia sempre addosso e spero che possa essere il più lunga e rosea possibile”.
Cos’è che ti ha dato il Milan come valori? “Penso che essere in una società come il Milan ti trasmetta molto sia dal punto di vista calcistico, come può essere la costanza, la precisione e la puntualità, ma penso che essere in un ambiente così con persone molto valide come tutti gli allenatori che ci sono nel settore giovanile, penso che ti insegnino molto come condivisione, ti facciano capire che la condivisione è importante e che ognuno è importante. Ci sono dei valori che vanno rispettati e se c’è una cosa che il Milan ti insegna è proprio il rispetto per tutte le persone che ne fanno parte”.
Un aneddoto sulla sua prima convocazione: “Qua al Milan c’è un personaggio che tutti noi chiamiamo Rambo, uno della sicurezza. È simpaticissimo e buonissimo, fa molto ridere. Ma ti mette sempre un po’ in soggezione: era la mia prima partita con la Prima Squadra, ero stato convocato ed ero molto timido, non sapevo come pormi con le persone che avevo di fianco. Inizia il ritrovo per poi partire e andare allo stadio, io mi presento 20 minuti prima. Lui mi guarda e mi fa: “Tu chi sei, cosa ci fai qua? Non devi salire nel pullman” Io tutto preoccupato gli rispondo: “Guarda, oggi sono convocato” e lui: “No tranquillo, stavo scherzando. Oggi puoi andare”. (ride, ndr). In quel momento lì mi ha messo in un imbarazzo incredibile, ma adesso ho un buonissimo rapporto. Mi ha aiutato tanto anche in quest’ultimo periodo in cui sono qua con più continuità. Tutte le persone che lavorano a Milanello sono speciali, penso che il rispetto vada dato a tutti, dai giardinieri al Mister”.
Hai momenti particolari legati a Mister e compagni che porterai sempre con te? “Ho tanti momenti che mi porto dentro, che sicuramente mi hanno aiutato nei momenti in cui ho giocato sia di più che di meno. Ho conosciuto tante persone, Borini, Biglia, Kjaer, Romagnoli, Calabria… Tantissimi giocatori che in molti momenti mi hanno aiutato, mi hanno dato un consiglio, mi hanno detto come affrontare una determinata situazione. Credo che il gruppo in questa squadra sia un qualcosa di fantastico e credo che poi si veda la domenica”.
Da centrocampista a difensore, il suo ruolo: “È stata una cosa molto utile, ma non nego di aver avuto delle difficoltà. Ero un ragazzo ed accettare il fatto di cambiare ruolo, da centrocampista che a me piaceva molto, a difensore non è stato facile. Ho avuto momenti in cui magari non ero sicuro, infatti alcuni allenatori del Settore Giovanile mi hanno spronato tanto a cambiare ruolo. Con Filippo Galli magari tante volte ho discusso dicendo che non mi piaceva e non ero convinto, ma lui ha sempre creduto in me e mi ha detto: “Guarda, secondo me questo è il tuo futuro”. È stato così, aveva ragione. Sicuramente mi ha aiutato tanto per capire certe situazioni di gioco e per sveltirmi dal punto di vista tecnico. È un percorso che mi ha fatto crescere, sono contento di averlo fatto”.
Cosa ti ricordi del tuo esordio? “È stata una giornata dove avevo molto speranza, ero molto speranzoso. Avevo capito che ci fosse la possibilità di fare i primi minuti in Prima Squadra e quindi ero molto euforico. Mi ricordo che a fine primo tempo Locatelli, che giocava come play davanti alla difesa, mi disse: “Matte stai pronto perché altri 15-20 e poi esco”. In quel momento ho capito che avrei avuto la mia occasione. Quando sono entrato in campo è stato bellissimo, un sogno che si realizzava. Ovviamente mi sarebbe piaciuto fare la prima a San Siro però poi sono stato contento che sia arrivata dopo. In quel momento lì ero un po’ dispiaciuto perché non sai cosa potrebbe succedere, però è stato un momento fantastico. Subito dopo la partita ho chiamato i miei genitori, gli ho fatto vedere che ero felice e che avevo raggiunto il mio sogno”.
Quando entri col Torino ti scivolano addirittura i parastinchi di mano, eri così emozionato? “Non me lo aspettavo minimamente, perché c’era stato quel momento in cui il mister aveva chiamato Musacchio e quindi in teoria sapevo che non sarei dovuto entrare. Poi Mateo ha detto di aver avuto un problema al polpaccio, allora il Mister si è girato e mi ha detto: “Dai Matteo, entra tu”. Era inverno, io ero vestito completamente. In tre secondi ho tolto tutto, ho tolto il giubbotto senza neanche aprirlo (ride, ndr), ho tolto i pantaloni: volevo fare il più veloce possibile per dare una mano alla squadra e non lasciarla con un uomo in meno. Penso che ci fosse un angolo a sfavore, per non lasciarli con un uomo in meno ho cercato di fare il più veloce possibile, era una cosa non tanto dettata dall’emozione ma dal volermi mettere subito in campo per aiutare i miei compagni. È stato fantastico. Poi fortunatamente c’era ancora il pubblico, è stata un’emozione ancora maggiore”.
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"È stata un’emozione fantastica quella di poter entrare allo stadio quando ero piccolo, era il mio sogno vivere la partita da tifoso con i miei nonni e mio cugino. È stato speciale, lo porterò sempre nei miei ricordi. Non ho una partita che mi ricordo perché ero davvero molto piccolo, ma ci sono diversi momenti impressi nella mia mente: la cosa che mi emozionava tantissimo ogni volta era quando passavi i tornelli, iniziavi ad entrare nello stadio e vedevi il campo. Si iniziava a sentire quell’odore di erba del campo, era qualcosa di fantastico e unico”.
La prima partita di cui hai ricordi? “È stato un Milan-Fiorentina dove il Milan vinse con diversi gol di scarto, e me lo ricordo perché i tifosi della Fiorentina tirarono delle uova contro il pullman con cui io e i miei nonni andavamo allo stadio, è un ricordo che c’entra poco con la partita, io ero molto piccolo e questa cosa al momento mi ha fatto anche sorridere. È stata una cosa simpatica”.
La prima maglia del Milan? “La prima maglia da bambino la conservo ancora a casa, per me è come un cimelio. Ci sono molto affezionato: me la regalarono i miei genitori, era una maglia di Shevchenko. Ogni volta che era pulita o non troppo sporca la mettevo per giocare nel cortile di casa mia o all’oratorio. Era sempre bello indossare la maglia del Milan”.
Ricordi in che occasione ti è stata regalata? “Sì, mi è stata regalata per il compleanno. Ero contento. Magari a differenza di altri bambini che volevano un gioco quella maglia mi rese stra felice”.
Hai parlato anche dei tuoi nonni, che forse sono stati il fulcro della tua fede milanista. Andavi con loro allo stadio? “Con i miei nonni mi ricordo i pre partita, quando si giocava la sera e quindi io e mio cugino ci ritrovavamo prima a casa dei miei nonni e mangiavamo un toast, poi arrivava il pullman all’incrocio e andavamo a San Siro. Era qualcosa di stupendo, erano tempi diversi: i bambini potevano entrare con molta più facilità, lo stadio era sempre stra pieno e il Milan era tra le squadre più grandi al mondo. Era un sogno poter andare allo stadio e vivere una cosa così bella con la propria famiglia”.
Quale successo ti ricordi maggiormente? “Mi ricordo bene la finale del 2007, fortunatamente mi ricordo meno quella di Istanbul di due anni prima perché ero piccolo, avevo solo sei anni. Quella di Atene me la ricordo molto bene: eravamo a casa e ci vedemmo la partita tutti insieme e fu davvero molto emozionante. Fu una rivincita, è stato bello. Speriamo che questi momenti possano tornare nel minor tempo possibile”.
Com’è ora il dibattito sul calcio in famiglia? “Sono cambiate tante cose, inizialmente parlavamo in maniera molto diversa, da tifosi. Adesso essendo in prima persona in questo ambiente ci sono cose che sono cambiate, ma le cose che dico sono sempre le stesse. Mia nonna mi dà tanti consigli perché mi vuole bene, mi fa da mangiare cose fantastiche sempre perché mi vuole bene (ride, ndr) e io sono contento di andare lì e di passare del tempo con lei, sono immagini e figure molto importanti nella mia vita”.
Sei cresciuto nel mondo Milan, cosa vuol dire per un ragazzo crescere qui e giocare con questa maglia? “Io penso che per un ragazzo, soprattutto molto giovane come potevo essere io a 14 anni, crescere nel Milan è sia un sogno che una responsabilità. Bisogna avere l’intelligenza di capire che ogni giorno va meritato di essere in una società così gloriosa e prestigiosa. Il fatto di aver fatto le trafile giovanili e di essere ora in Prima Squadra è un motivo di orgoglio per aver fatto ed essere migliorato in tutti gli step. Spero che la mia crescita possa continuare nel miglior modo possibile, con questa maglia sempre addosso e spero che possa essere il più lunga e rosea possibile”.
Cos’è che ti ha dato il Milan come valori? “Penso che essere in una società come il Milan ti trasmetta molto sia dal punto di vista calcistico, come può essere la costanza, la precisione e la puntualità, ma penso che essere in un ambiente così con persone molto valide come tutti gli allenatori che ci sono nel settore giovanile, penso che ti insegnino molto come condivisione, ti facciano capire che la condivisione è importante e che ognuno è importante. Ci sono dei valori che vanno rispettati e se c’è una cosa che il Milan ti insegna è proprio il rispetto per tutte le persone che ne fanno parte”.
Un aneddoto sulla sua prima convocazione: “Qua al Milan c’è un personaggio che tutti noi chiamiamo Rambo, uno della sicurezza. È simpaticissimo e buonissimo, fa molto ridere. Ma ti mette sempre un po’ in soggezione: era la mia prima partita con la Prima Squadra, ero stato convocato ed ero molto timido, non sapevo come pormi con le persone che avevo di fianco. Inizia il ritrovo per poi partire e andare allo stadio, io mi presento 20 minuti prima. Lui mi guarda e mi fa: “Tu chi sei, cosa ci fai qua? Non devi salire nel pullman” Io tutto preoccupato gli rispondo: “Guarda, oggi sono convocato” e lui: “No tranquillo, stavo scherzando. Oggi puoi andare”. (ride, ndr). In quel momento lì mi ha messo in un imbarazzo incredibile, ma adesso ho un buonissimo rapporto. Mi ha aiutato tanto anche in quest’ultimo periodo in cui sono qua con più continuità. Tutte le persone che lavorano a Milanello sono speciali, penso che il rispetto vada dato a tutti, dai giardinieri al Mister”.
Hai momenti particolari legati a Mister e compagni che porterai sempre con te? “Ho tanti momenti che mi porto dentro, che sicuramente mi hanno aiutato nei momenti in cui ho giocato sia di più che di meno. Ho conosciuto tante persone, Borini, Biglia, Kjaer, Romagnoli, Calabria… Tantissimi giocatori che in molti momenti mi hanno aiutato, mi hanno dato un consiglio, mi hanno detto come affrontare una determinata situazione. Credo che il gruppo in questa squadra sia un qualcosa di fantastico e credo che poi si veda la domenica”.
Da centrocampista a difensore, il suo ruolo: “È stata una cosa molto utile, ma non nego di aver avuto delle difficoltà. Ero un ragazzo ed accettare il fatto di cambiare ruolo, da centrocampista che a me piaceva molto, a difensore non è stato facile. Ho avuto momenti in cui magari non ero sicuro, infatti alcuni allenatori del Settore Giovanile mi hanno spronato tanto a cambiare ruolo. Con Filippo Galli magari tante volte ho discusso dicendo che non mi piaceva e non ero convinto, ma lui ha sempre creduto in me e mi ha detto: “Guarda, secondo me questo è il tuo futuro”. È stato così, aveva ragione. Sicuramente mi ha aiutato tanto per capire certe situazioni di gioco e per sveltirmi dal punto di vista tecnico. È un percorso che mi ha fatto crescere, sono contento di averlo fatto”.
Cosa ti ricordi del tuo esordio? “È stata una giornata dove avevo molto speranza, ero molto speranzoso. Avevo capito che ci fosse la possibilità di fare i primi minuti in Prima Squadra e quindi ero molto euforico. Mi ricordo che a fine primo tempo Locatelli, che giocava come play davanti alla difesa, mi disse: “Matte stai pronto perché altri 15-20 e poi esco”. In quel momento ho capito che avrei avuto la mia occasione. Quando sono entrato in campo è stato bellissimo, un sogno che si realizzava. Ovviamente mi sarebbe piaciuto fare la prima a San Siro però poi sono stato contento che sia arrivata dopo. In quel momento lì ero un po’ dispiaciuto perché non sai cosa potrebbe succedere, però è stato un momento fantastico. Subito dopo la partita ho chiamato i miei genitori, gli ho fatto vedere che ero felice e che avevo raggiunto il mio sogno”.
Quando entri col Torino ti scivolano addirittura i parastinchi di mano, eri così emozionato? “Non me lo aspettavo minimamente, perché c’era stato quel momento in cui il mister aveva chiamato Musacchio e quindi in teoria sapevo che non sarei dovuto entrare. Poi Mateo ha detto di aver avuto un problema al polpaccio, allora il Mister si è girato e mi ha detto: “Dai Matteo, entra tu”. Era inverno, io ero vestito completamente. In tre secondi ho tolto tutto, ho tolto il giubbotto senza neanche aprirlo (ride, ndr), ho tolto i pantaloni: volevo fare il più veloce possibile per dare una mano alla squadra e non lasciarla con un uomo in meno. Penso che ci fosse un angolo a sfavore, per non lasciarli con un uomo in meno ho cercato di fare il più veloce possibile, era una cosa non tanto dettata dall’emozione ma dal volermi mettere subito in campo per aiutare i miei compagni. È stato fantastico. Poi fortunatamente c’era ancora il pubblico, è stata un’emozione ancora maggiore”.
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