Paolo Maldini, intervistato da Fabio Fazio su Rai 3 a Che Tempo Che Fa, è tornato, tra le altre, anche sulla cessione del Milan ai cinesi. Ecco le parole dell'ex capitano rossonero:"La nuova proprietà del Milan? Ho avuto degli incontri. Quando li ho visti ho pensato che passare da Berlusconi a loro era un bel salto, e infatti… Non c’erano le condizioni. Scherzi a parte, dobbiamo essere pronti a investitori stranieri".
Gattuso è un allenatore, ed il suo obiettivo un giorno sarebbe allenare il Milan di prima squadra, come è legittimo e naturale che sia. Magari avrebbe già queste capacità, come presumiamo le avesse già Zidane, per allenare il Real, quando faceva il secondo ad Ancelotti in quella posizione, ma ha preferito seguire il piano di crescita propostogli dal club, accettando con consapevole umiltà di crescere ed imparare in un nuovo ambito professionale, onde essere degno in futuro dell'onore cui aspira. Una scelta saggia e lodevole, specie se corroborata, dal lato del club, da un impegno all'analisi del suo percorso di crescita e ad una corretta valutazione di esso ai fini delle successive decisioni. Non si vede perché Maldini non avrebbe potuto accettare analogo percorso professionale per i ruoli di dirigenti del club, decisamente più lontani dal suo background professionale rispetto a quello di allenatore. Non vi sono effettivamente motivazioni razionali e di senso alla base di questo rifiuto, sicché è legittimo presumere un suo effettivo disinteresse ad impegni in ambito calcistico post carriera, peraltro confermato dai rifiuti di analoghe proposte fatte in passato da altri clubs (Paris Saint Germain su tutti, con Leonardo). La vicenda dovrebbe concludersi qui, i rilievi nei confronti della nuova proprietà, poiché indimostrati, paiono ad oggi essere alquanto vacui; rimane invece forte la sensazione di una persona, Maldini, prigioniera del proprio mito tecnico, con un autocompiacimento quasi estetico che pare del tutto fuori luogo quando le porte del rettangolo verde si chiudono per sempre, ed occorre dimostrare, a quasi cinquanta anni di età, di avere altro sotto quella miracolosa, intangibile, e da tempo riposta maglia rossonera numero tre.