Ziliani:"Ibra da cacciare, Theo demente, Cardinale...".

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Ancora bordate da parte di Paolo Ziliani a Cardinale, Ibrahimovic e Theo Hernandez. Ecco quanto scritto dal giornalista:

Però abbiamo vinto la Supercoppa". Il Milan va incontro all'annunciato affondamento del Titanic ma il comandante Ibra avvisa che la cena è stata ottima: bilancio positivo insomma
Lo scempio è compiuto: a metà febbraio il Milan è fuori dalla lotta scudetto (dove non è mai entrato), fuori dalla Champions e l'anno prossimo se andrà bene farà l'Europa League o la Conference. Un danno sportivo e economico ingente: ma per Ibra che in estate aveva promesso ai tifosi un Milan "dominante" il bicchiere è mezzo pieno. Lo sfascio di un glorioso club scientificamente messo in atto da una manica di inetti e incompetenti

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. Che sarebbe un po’ come se il condannato al patibolo dicesse al boia: “Però avevo aiutato una vecchietta ad attraversare la strada”.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. È riuscito a dire anche questo ieri sera Zlatan Ibrahimovic nell’immediato dopo partita di Milan-Feyenoord 1-1, la partita che ha sancito la clamorosa uscita del Milan dalla Champions League. Ha tirato in ballo il trofeo vinto a gennaio a Riad in virtù - lo ricorderete - di una irripetibile congiunzione astrale, Zlatan Ibrahimovic: come a dire che il bilancio del Milan non era poi così male come qualcuno frettolosamente potrebbe pensare. L’ha detto davvero. E l’ha fatto pochi minuti dopo che il Milan era stato spazzato via dal più importante torneo in cui un top club (tale era il Milan prima dell’avvento di Red Bird e della sua corte dei miracoli capitanata appunto da Zlatan Ibrahimovic) è chiamato a giocare. Con un danno enorme sotto il profilo sportivo (per chi non l’avesse realizzato: è come se il Milan fosse stato eliminato ai gironi nel vecchio format con l’aggravante che il nuovo format non lo manda più in Europa League a battersi per il trofeo UEFA di serie B, ma lo manda direttamente a casa e senza passare dal via) e un danno ancora più ingente sotto l’unico profilo che ai nuovi proprietari sta a cuore, quello economico: perchè non solo il Milan vede sfumare gli 11 milioni più bruscolini che il passaggio agli ottavi - che sembrava cosa fatta addirittura al penultimo match della fase eliminatoria - prevedeva, ma vede sfumare ogni altro possibile incasso da botteghino e da premi-UEFA in caso di continuazione del percorso. Il tutto incastonato in un quadro reso ancor più rovinoso dal pessimo andamento del Milan in campionato: non solo la squadra allestita dai Cardinale’s boys non è mai stata in lotta per lo scudetto come la storia del Milan esigerebbe, ma al 99 % (e sottraggo l’1 % nel caso avvenga un anticipato ritorno della cometa di Halley) non si qualificherà alla Champions League della stagione prossima. Detto in soldoni (e in questo caso non è un modo di dire): si tratta di un danno sull’ordine degli 80-90 milioni che andrà ad aggiungersi alle decine di milioni buttati a mare oggi e che fungerà da pesantissima zavorra portando la bagnarola rossonera e i suoi comandanti Schettino all’inabissamento non solo sportivo ma anche finanziario.

“Ibra che vuole fare la storia ma non sa fare la squadra”. È questo il titolo con cui ieri avevo presentato il mio articolo di presentazione della giornata: come sempre tirandomi addosso la rabbia e l’insofferenza di una parte di tifoseria rossonera che mi accusa di essere tenero (?) con gli altri top club e duro solo col Milan. Avevo invece semplicemente detto, e col senno di prima perchè col senno di poi sono capaci tutti, la sola cosa importante che andava detta: rimarcando come Ibrahimovic, il dirigente che di fatto ha preso il posto di Paolo Maldini alla guida del club, sia capace di dire unicamente trombonate lanciando proclami ridicoli come quello coniato in estate sul Milan “dominante” che avremmo visto all’opera. Un Milan che da agosto ad oggi è stato invece dominato da tutti, dal Parma, dalla Dinamo Zagabria e dal Feyenoord che lo hanno battuto e persino dal Como, dal Bruges e dalla Stella Rossa che in qualche modo, miracolosamente, il Milan era riuscito a battere sempre per il rotto della cuffia e per grazia ricevuta.

Ma oltre all’inettitudine tecnica conclamata (per dirne una: solo uno staff di incapaci poteva pensare di sostituire un centravanti della bravura, dell’affidabilità e del calibro di Giroud con un centravanti come Morata che ha ormai il sacro terrore di entrare nelle aree avversarie; e per fortuna che Ibra almeno di centravanti dovrebbe intendersene), di Ibrahimovic avevo voluto sottolineare, per l’ennesima volta, il suo inesistente spessore etico-morale emerso drammaticamente, per l’ennesima volta, nella dichiarazione fatta a proposito di Rafa Leao: “Tutti parlano di Leao - aveva detto nella conferenza-stampa di vigilia -, dicono a lui come deve giocare. Ma come gli spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Già. Leao. Quello dell’ammutinamento contro Fonseca nel cooling-break di Lazio-Milan, a campionato appena iniziato, una ribellione platealmente esibita in stretta collaborazione con Theo Hernandez.

Già, Theo Hernandez. Un altro al quale, secondo la visione che Ibra ha del calcio, non devi dire nulla, men che meno insegnare nulla, perchè “come glielo spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Proprio come ieri: col Milan che in vantaggio 1-0, a San Siro, con mezza partita ancora da giocare, l’handicap dello 0-1 dell’andata annullato e le possibilità ancora intatte di riuscire a fare un altro gol (se hai Leao e Joao Felix, Pulisic e Gimenez, una partita per 2-0 ogni tanto la puoi anche vincere) e di passare il turno, ha improvvisamente dato di matto alla fine del primo tempo, manco il Milan stesse perdendo 0-2 e la disperazione si tagliasse a fette, con l’aggressione a metà campo ai danni di Anis Moussa che gli procurava un giallo già pesante (era diffidato e avrebbe saltato il match d’andata degli ottavi in caso di passaggio del turno) e col “numero” a inizio secondo tempo, la specialità di casa-Hernandez, la goffa e plateale simulazione cui l’arbitro non abboccava e che puniva con il secondo giallo, quindi con l’espulsione, decretando in tempo reale la fine di ogni speranza del Milan di scampare al naufragio.

Solo un demente in piena bonaccia avrebbe potuto innescare la miccia che mutava il clima in burrasca: non era certo interesse del Milan, ma Theo Hernandez - che del Milan è stato capitano ed è uno dei giocatori storici, uno dei più esperti - l’ha fatto. E siccome quest’anno il francese ha fatto più danni della grandine dando vita a una stagione che più disastrosa in fatto di danni procurati alla squadra non avrebbe potuto essere, sarebbe stato il caso - nell’intervallo - che Conceiçao lo mandasse sotto la doccia a raffreddare i bollori onde evitare guai peggiori. E però, il comandante in capo Ibrahimovic alla vigilia era stato chiaro: come devono giocare Leao e Theo sono loro che te lo spiegano, non puoi dirglielo tu. Loro sono i più forti al mondo, non proviamoci nemmeno. Infatti Fonseca ci aveva provato e oggi allena l’Olimpique Lione. Conceiçao dev’essersi detto: messaggio ricevuto. E così, quando Theo Hernandez è sbucato per la seconda volta dal tunnel degli spogliatoi, è apparso chiaro a tutti che la fine del Milan era segnata.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”, ha detto ieri Zlatan Ibrahimovic. E seriamente, non per scherzo. Ora, ricapitolando: la Champions League del Milan è stata un fallimento. Il campionato è stato un fallimento. Il tutto a febbraio, con quattro mesi di agonia ancora da completare. In tutto questo sfascio, questo guitto che gioca a spacciarsi per Dio (una bestemmia continuata: il giudice sportivo dovrebbe squalificarlo per blasfemia ogni settimana) ha la faccia tosta di presentarsi davanti alle tv e di raccontare a milioni di sportivi, a milioni di tifosi del Milan che sì, insomma, non c’è da fare tragedie perchè il Milan dopotutto ha vinto la Supercoppa.

Se il Milan fosse una società seria, oggi la proprietà convocherebbe capitan Ibra e la sua Armata Brancaleone nei propri uffici e direbbe loro di raccogliere le proprie cose e di andarsene. In estate la corte dei miracoli composta dai prodi Ibrahimovic, Furlani, Moncada e Scaroni aveva promesso al colto e all’inclita un Milan dominante; quello che avevano costruito si è rivelato invece, come tutti avevano già capito, un Milan penoso, così sconclusionato da essere completamente buttato a mare dai nostri eroi nel mercato di gennaio. Purtroppo, non è svuotando la stiva col cucchiaino che tieni la barca a galla: ormai l’acqua entra da tutte le parti e il danno è fatto, sei destinato a colare a picco. Miseramente. Com’è successo ieri a quel che resta del Milan nel proprio mare, a San Siro, sotto gli occhi dei suoi tifosi sgomenti, contro una delle squadre più deboli di tutta la Champions, debole ma non scombiccherata come il Milan plasmato da Dio Ibra.

Ho detto: se il Milan fosse una società seria caccerebbe seduta stante Ibra & company. Purtroppo non lo è. Perchè se Ibrahimovic è lì è perchè qualcuno ce lo ha messo; e a mettercelo in sostituzione di Paolo Maldini (!) è stato Gerry Cardinale, uno cui occorrerebbe misurare il QI. Il quale Cardinale chissà come se la passa oggi. Ha comprato il Milan facendosi prestare i soldi dalla vecchia proprietà (il fondo Elliott), che quindi incombe sulla sua testa come una gigantesca spada di Damocle: e in men che non si dica gli uomini che ha scelto per guidare il club hanno portato il Milan a un gigantesco fallimento sportivo con annesso, ingente, inenarrabile danno economico. Se andrà bene, il Milan giocherà un altr’anno nella serie B (Europa League) o nella Serie C (Conference) europea. Trattato fino ad oggi da Red Bird come un’Udinese o un Genoa qualsiasi - detto con tutto il rispetto per Udinese e Genoa -, l’anno prossimo con meno risorse e con la corte dei miracoli ancora operativa (Cardinale si è detto entusiasta del trust di cervelli cui ha affidato le sorti del club), il Milan inizierà la fase B del “periodo Red Bird”: sarà trattato cioè come se fosse la Solbiatese (detto con tutto il rispetto per la Solbiatese). La parola d’ordine: risparmiare, risparmiare, risparmiare. E lasciare che Ibra & company scovino altri Morata e altri Emerson Royal in giro per l’Europa, ma meno forti e costosi di Morata e Emerson Royal perchè adesso ci sono meno soldi e campioni del genere sarebbero un lusso di cui non ci si può più permettere.

C’era una volta il Milan: storia di una caduta. Prossimamente su Netflix. Sconsigliato ai tifosi rossoneri deboli di cuore.

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jumpy65

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Ma questo astio verso di noi da dove nasce? C'è qualcuno che paga questi dementi per scrivete certe cose. Questo addirittura viene a fare i conti in tasca valutando perdite per l'anno prossimo su risultati a fine anno che vedremo tra 14 partite. Non 2, 14 partite. E se proprio vogliamo fare i conti 80/90 milioni da dove arrivano? Di solito per la champions se ne conteggiano 50. O lui calcola che arrivi in semifinale o giù di lì? E visto che ha ripetuto per 24 volte la supercoppa, questa ha portato 10 milioni non preventivati. Non contano?
Poi ha scritto le solite idiozie su cardinale che non mi va neanche di commentare perché altrimenti parte l'insulto
 
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Ancora bordate da parte di Paolo Ziliani a Cardinale, Ibrahimovic e Theo Hernandez. Ecco quanto scritto dal giornalista:

Però abbiamo vinto la Supercoppa". Il Milan va incontro all'annunciato affondamento del Titanic ma il comandante Ibra avvisa che la cena è stata ottima: bilancio positivo insomma
Lo scempio è compiuto: a metà febbraio il Milan è fuori dalla lotta scudetto (dove non è mai entrato), fuori dalla Champions e l'anno prossimo se andrà bene farà l'Europa League o la Conference. Un danno sportivo e economico ingente: ma per Ibra che in estate aveva promesso ai tifosi un Milan "dominante" il bicchiere è mezzo pieno. Lo sfascio di un glorioso club scientificamente messo in atto da una manica di inetti e incompetenti

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. Che sarebbe un po’ come se il condannato al patibolo dicesse al boia: “Però avevo aiutato una vecchietta ad attraversare la strada”.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. È riuscito a dire anche questo ieri sera Zlatan Ibrahimovic nell’immediato dopo partita di Milan-Feyenoord 1-1, la partita che ha sancito la clamorosa uscita del Milan dalla Champions League. Ha tirato in ballo il trofeo vinto a gennaio a Riad in virtù - lo ricorderete - di una irripetibile congiunzione astrale, Zlatan Ibrahimovic: come a dire che il bilancio del Milan non era poi così male come qualcuno frettolosamente potrebbe pensare. L’ha detto davvero. E l’ha fatto pochi minuti dopo che il Milan era stato spazzato via dal più importante torneo in cui un top club (tale era il Milan prima dell’avvento di Red Bird e della sua corte dei miracoli capitanata appunto da Zlatan Ibrahimovic) è chiamato a giocare. Con un danno enorme sotto il profilo sportivo (per chi non l’avesse realizzato: è come se il Milan fosse stato eliminato ai gironi nel vecchio format con l’aggravante che il nuovo format non lo manda più in Europa League a battersi per il trofeo UEFA di serie B, ma lo manda direttamente a casa e senza passare dal via) e un danno ancora più ingente sotto l’unico profilo che ai nuovi proprietari sta a cuore, quello economico: perchè non solo il Milan vede sfumare gli 11 milioni più bruscolini che il passaggio agli ottavi - che sembrava cosa fatta addirittura al penultimo match della fase eliminatoria - prevedeva, ma vede sfumare ogni altro possibile incasso da botteghino e da premi-UEFA in caso di continuazione del percorso. Il tutto incastonato in un quadro reso ancor più rovinoso dal pessimo andamento del Milan in campionato: non solo la squadra allestita dai Cardinale’s boys non è mai stata in lotta per lo scudetto come la storia del Milan esigerebbe, ma al 99 % (e sottraggo l’1 % nel caso avvenga un anticipato ritorno della cometa di Halley) non si qualificherà alla Champions League della stagione prossima. Detto in soldoni (e in questo caso non è un modo di dire): si tratta di un danno sull’ordine degli 80-90 milioni che andrà ad aggiungersi alle decine di milioni buttati a mare oggi e che fungerà da pesantissima zavorra portando la bagnarola rossonera e i suoi comandanti Schettino all’inabissamento non solo sportivo ma anche finanziario.

“Ibra che vuole fare la storia ma non sa fare la squadra”. È questo il titolo con cui ieri avevo presentato il mio articolo di presentazione della giornata: come sempre tirandomi addosso la rabbia e l’insofferenza di una parte di tifoseria rossonera che mi accusa di essere tenero (?) con gli altri top club e duro solo col Milan. Avevo invece semplicemente detto, e col senno di prima perchè col senno di poi sono capaci tutti, la sola cosa importante che andava detta: rimarcando come Ibrahimovic, il dirigente che di fatto ha preso il posto di Paolo Maldini alla guida del club, sia capace di dire unicamente trombonate lanciando proclami ridicoli come quello coniato in estate sul Milan “dominante” che avremmo visto all’opera. Un Milan che da agosto ad oggi è stato invece dominato da tutti, dal Parma, dalla Dinamo Zagabria e dal Feyenoord che lo hanno battuto e persino dal Como, dal Bruges e dalla Stella Rossa che in qualche modo, miracolosamente, il Milan era riuscito a battere sempre per il rotto della cuffia e per grazia ricevuta.

Ma oltre all’inettitudine tecnica conclamata (per dirne una: solo uno staff di incapaci poteva pensare di sostituire un centravanti della bravura, dell’affidabilità e del calibro di Giroud con un centravanti come Morata che ha ormai il sacro terrore di entrare nelle aree avversarie; e per fortuna che Ibra almeno di centravanti dovrebbe intendersene), di Ibrahimovic avevo voluto sottolineare, per l’ennesima volta, il suo inesistente spessore etico-morale emerso drammaticamente, per l’ennesima volta, nella dichiarazione fatta a proposito di Rafa Leao: “Tutti parlano di Leao - aveva detto nella conferenza-stampa di vigilia -, dicono a lui come deve giocare. Ma come gli spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Già. Leao. Quello dell’ammutinamento contro Fonseca nel cooling-break di Lazio-Milan, a campionato appena iniziato, una ribellione platealmente esibita in stretta collaborazione con Theo Hernandez.

Già, Theo Hernandez. Un altro al quale, secondo la visione che Ibra ha del calcio, non devi dire nulla, men che meno insegnare nulla, perchè “come glielo spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Proprio come ieri: col Milan che in vantaggio 1-0, a San Siro, con mezza partita ancora da giocare, l’handicap dello 0-1 dell’andata annullato e le possibilità ancora intatte di riuscire a fare un altro gol (se hai Leao e Joao Felix, Pulisic e Gimenez, una partita per 2-0 ogni tanto la puoi anche vincere) e di passare il turno, ha improvvisamente dato di matto alla fine del primo tempo, manco il Milan stesse perdendo 0-2 e la disperazione si tagliasse a fette, con l’aggressione a metà campo ai danni di Anis Moussa che gli procurava un giallo già pesante (era diffidato e avrebbe saltato il match d’andata degli ottavi in caso di passaggio del turno) e col “numero” a inizio secondo tempo, la specialità di casa-Hernandez, la goffa e plateale simulazione cui l’arbitro non abboccava e che puniva con il secondo giallo, quindi con l’espulsione, decretando in tempo reale la fine di ogni speranza del Milan di scampare al naufragio.

Solo un demente in piena bonaccia avrebbe potuto innescare la miccia che mutava il clima in burrasca: non era certo interesse del Milan, ma Theo Hernandez - che del Milan è stato capitano ed è uno dei giocatori storici, uno dei più esperti - l’ha fatto. E siccome quest’anno il francese ha fatto più danni della grandine dando vita a una stagione che più disastrosa in fatto di danni procurati alla squadra non avrebbe potuto essere, sarebbe stato il caso - nell’intervallo - che Conceiçao lo mandasse sotto la doccia a raffreddare i bollori onde evitare guai peggiori. E però, il comandante in capo Ibrahimovic alla vigilia era stato chiaro: come devono giocare Leao e Theo sono loro che te lo spiegano, non puoi dirglielo tu. Loro sono i più forti al mondo, non proviamoci nemmeno. Infatti Fonseca ci aveva provato e oggi allena l’Olimpique Lione. Conceiçao dev’essersi detto: messaggio ricevuto. E così, quando Theo Hernandez è sbucato per la seconda volta dal tunnel degli spogliatoi, è apparso chiaro a tutti che la fine del Milan era segnata.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”, ha detto ieri Zlatan Ibrahimovic. E seriamente, non per scherzo. Ora, ricapitolando: la Champions League del Milan è stata un fallimento. Il campionato è stato un fallimento. Il tutto a febbraio, con quattro mesi di agonia ancora da completare. In tutto questo sfascio, questo guitto che gioca a spacciarsi per Dio (una bestemmia continuata: il giudice sportivo dovrebbe squalificarlo per blasfemia ogni settimana) ha la faccia tosta di presentarsi davanti alle tv e di raccontare a milioni di sportivi, a milioni di tifosi del Milan che sì, insomma, non c’è da fare tragedie perchè il Milan dopotutto ha vinto la Supercoppa.

Se il Milan fosse una società seria, oggi la proprietà convocherebbe capitan Ibra e la sua Armata Brancaleone nei propri uffici e direbbe loro di raccogliere le proprie cose e di andarsene. In estate la corte dei miracoli composta dai prodi Ibrahimovic, Furlani, Moncada e Scaroni aveva promesso al colto e all’inclita un Milan dominante; quello che avevano costruito si è rivelato invece, come tutti avevano già capito, un Milan penoso, così sconclusionato da essere completamente buttato a mare dai nostri eroi nel mercato di gennaio. Purtroppo, non è svuotando la stiva col cucchiaino che tieni la barca a galla: ormai l’acqua entra da tutte le parti e il danno è fatto, sei destinato a colare a picco. Miseramente. Com’è successo ieri a quel che resta del Milan nel proprio mare, a San Siro, sotto gli occhi dei suoi tifosi sgomenti, contro una delle squadre più deboli di tutta la Champions, debole ma non scombiccherata come il Milan plasmato da Dio Ibra.

Ho detto: se il Milan fosse una società seria caccerebbe seduta stante Ibra & company. Purtroppo non lo è. Perchè se Ibrahimovic è lì è perchè qualcuno ce lo ha messo; e a mettercelo in sostituzione di Paolo Maldini (!) è stato Gerry Cardinale, uno cui occorrerebbe misurare il QI. Il quale Cardinale chissà come se la passa oggi. Ha comprato il Milan facendosi prestare i soldi dalla vecchia proprietà (il fondo Elliott), che quindi incombe sulla sua testa come una gigantesca spada di Damocle: e in men che non si dica gli uomini che ha scelto per guidare il club hanno portato il Milan a un gigantesco fallimento sportivo con annesso, ingente, inenarrabile danno economico. Se andrà bene, il Milan giocherà un altr’anno nella serie B (Europa League) o nella Serie C (Conference) europea. Trattato fino ad oggi da Red Bird come un’Udinese o un Genoa qualsiasi - detto con tutto il rispetto per Udinese e Genoa -, l’anno prossimo con meno risorse e con la corte dei miracoli ancora operativa (Cardinale si è detto entusiasta del trust di cervelli cui ha affidato le sorti del club), il Milan inizierà la fase B del “periodo Red Bird”: sarà trattato cioè come se fosse la Solbiatese (detto con tutto il rispetto per la Solbiatese). La parola d’ordine: risparmiare, risparmiare, risparmiare. E lasciare che Ibra & company scovino altri Morata e altri Emerson Royal in giro per l’Europa, ma meno forti e costosi di Morata e Emerson Royal perchè adesso ci sono meno soldi e campioni del genere sarebbero un lusso di cui non ci si può più permettere.

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Adesso siamo agli insulti?? Io farei partire qualche querela,ora basta davvero. Ma che roba è? Questo non è più calcio.
 
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Ancora bordate da parte di Paolo Ziliani a Cardinale, Ibrahimovic e Theo Hernandez. Ecco quanto scritto dal giornalista:

Però abbiamo vinto la Supercoppa". Il Milan va incontro all'annunciato affondamento del Titanic ma il comandante Ibra avvisa che la cena è stata ottima: bilancio positivo insomma
Lo scempio è compiuto: a metà febbraio il Milan è fuori dalla lotta scudetto (dove non è mai entrato), fuori dalla Champions e l'anno prossimo se andrà bene farà l'Europa League o la Conference. Un danno sportivo e economico ingente: ma per Ibra che in estate aveva promesso ai tifosi un Milan "dominante" il bicchiere è mezzo pieno. Lo sfascio di un glorioso club scientificamente messo in atto da una manica di inetti e incompetenti

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. Che sarebbe un po’ come se il condannato al patibolo dicesse al boia: “Però avevo aiutato una vecchietta ad attraversare la strada”.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. È riuscito a dire anche questo ieri sera Zlatan Ibrahimovic nell’immediato dopo partita di Milan-Feyenoord 1-1, la partita che ha sancito la clamorosa uscita del Milan dalla Champions League. Ha tirato in ballo il trofeo vinto a gennaio a Riad in virtù - lo ricorderete - di una irripetibile congiunzione astrale, Zlatan Ibrahimovic: come a dire che il bilancio del Milan non era poi così male come qualcuno frettolosamente potrebbe pensare. L’ha detto davvero. E l’ha fatto pochi minuti dopo che il Milan era stato spazzato via dal più importante torneo in cui un top club (tale era il Milan prima dell’avvento di Red Bird e della sua corte dei miracoli capitanata appunto da Zlatan Ibrahimovic) è chiamato a giocare. Con un danno enorme sotto il profilo sportivo (per chi non l’avesse realizzato: è come se il Milan fosse stato eliminato ai gironi nel vecchio format con l’aggravante che il nuovo format non lo manda più in Europa League a battersi per il trofeo UEFA di serie B, ma lo manda direttamente a casa e senza passare dal via) e un danno ancora più ingente sotto l’unico profilo che ai nuovi proprietari sta a cuore, quello economico: perchè non solo il Milan vede sfumare gli 11 milioni più bruscolini che il passaggio agli ottavi - che sembrava cosa fatta addirittura al penultimo match della fase eliminatoria - prevedeva, ma vede sfumare ogni altro possibile incasso da botteghino e da premi-UEFA in caso di continuazione del percorso. Il tutto incastonato in un quadro reso ancor più rovinoso dal pessimo andamento del Milan in campionato: non solo la squadra allestita dai Cardinale’s boys non è mai stata in lotta per lo scudetto come la storia del Milan esigerebbe, ma al 99 % (e sottraggo l’1 % nel caso avvenga un anticipato ritorno della cometa di Halley) non si qualificherà alla Champions League della stagione prossima. Detto in soldoni (e in questo caso non è un modo di dire): si tratta di un danno sull’ordine degli 80-90 milioni che andrà ad aggiungersi alle decine di milioni buttati a mare oggi e che fungerà da pesantissima zavorra portando la bagnarola rossonera e i suoi comandanti Schettino all’inabissamento non solo sportivo ma anche finanziario.

“Ibra che vuole fare la storia ma non sa fare la squadra”. È questo il titolo con cui ieri avevo presentato il mio articolo di presentazione della giornata: come sempre tirandomi addosso la rabbia e l’insofferenza di una parte di tifoseria rossonera che mi accusa di essere tenero (?) con gli altri top club e duro solo col Milan. Avevo invece semplicemente detto, e col senno di prima perchè col senno di poi sono capaci tutti, la sola cosa importante che andava detta: rimarcando come Ibrahimovic, il dirigente che di fatto ha preso il posto di Paolo Maldini alla guida del club, sia capace di dire unicamente trombonate lanciando proclami ridicoli come quello coniato in estate sul Milan “dominante” che avremmo visto all’opera. Un Milan che da agosto ad oggi è stato invece dominato da tutti, dal Parma, dalla Dinamo Zagabria e dal Feyenoord che lo hanno battuto e persino dal Como, dal Bruges e dalla Stella Rossa che in qualche modo, miracolosamente, il Milan era riuscito a battere sempre per il rotto della cuffia e per grazia ricevuta.

Ma oltre all’inettitudine tecnica conclamata (per dirne una: solo uno staff di incapaci poteva pensare di sostituire un centravanti della bravura, dell’affidabilità e del calibro di Giroud con un centravanti come Morata che ha ormai il sacro terrore di entrare nelle aree avversarie; e per fortuna che Ibra almeno di centravanti dovrebbe intendersene), di Ibrahimovic avevo voluto sottolineare, per l’ennesima volta, il suo inesistente spessore etico-morale emerso drammaticamente, per l’ennesima volta, nella dichiarazione fatta a proposito di Rafa Leao: “Tutti parlano di Leao - aveva detto nella conferenza-stampa di vigilia -, dicono a lui come deve giocare. Ma come gli spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Già. Leao. Quello dell’ammutinamento contro Fonseca nel cooling-break di Lazio-Milan, a campionato appena iniziato, una ribellione platealmente esibita in stretta collaborazione con Theo Hernandez.

Già, Theo Hernandez. Un altro al quale, secondo la visione che Ibra ha del calcio, non devi dire nulla, men che meno insegnare nulla, perchè “come glielo spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Proprio come ieri: col Milan che in vantaggio 1-0, a San Siro, con mezza partita ancora da giocare, l’handicap dello 0-1 dell’andata annullato e le possibilità ancora intatte di riuscire a fare un altro gol (se hai Leao e Joao Felix, Pulisic e Gimenez, una partita per 2-0 ogni tanto la puoi anche vincere) e di passare il turno, ha improvvisamente dato di matto alla fine del primo tempo, manco il Milan stesse perdendo 0-2 e la disperazione si tagliasse a fette, con l’aggressione a metà campo ai danni di Anis Moussa che gli procurava un giallo già pesante (era diffidato e avrebbe saltato il match d’andata degli ottavi in caso di passaggio del turno) e col “numero” a inizio secondo tempo, la specialità di casa-Hernandez, la goffa e plateale simulazione cui l’arbitro non abboccava e che puniva con il secondo giallo, quindi con l’espulsione, decretando in tempo reale la fine di ogni speranza del Milan di scampare al naufragio.

Solo un demente in piena bonaccia avrebbe potuto innescare la miccia che mutava il clima in burrasca: non era certo interesse del Milan, ma Theo Hernandez - che del Milan è stato capitano ed è uno dei giocatori storici, uno dei più esperti - l’ha fatto. E siccome quest’anno il francese ha fatto più danni della grandine dando vita a una stagione che più disastrosa in fatto di danni procurati alla squadra non avrebbe potuto essere, sarebbe stato il caso - nell’intervallo - che Conceiçao lo mandasse sotto la doccia a raffreddare i bollori onde evitare guai peggiori. E però, il comandante in capo Ibrahimovic alla vigilia era stato chiaro: come devono giocare Leao e Theo sono loro che te lo spiegano, non puoi dirglielo tu. Loro sono i più forti al mondo, non proviamoci nemmeno. Infatti Fonseca ci aveva provato e oggi allena l’Olimpique Lione. Conceiçao dev’essersi detto: messaggio ricevuto. E così, quando Theo Hernandez è sbucato per la seconda volta dal tunnel degli spogliatoi, è apparso chiaro a tutti che la fine del Milan era segnata.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”, ha detto ieri Zlatan Ibrahimovic. E seriamente, non per scherzo. Ora, ricapitolando: la Champions League del Milan è stata un fallimento. Il campionato è stato un fallimento. Il tutto a febbraio, con quattro mesi di agonia ancora da completare. In tutto questo sfascio, questo guitto che gioca a spacciarsi per Dio (una bestemmia continuata: il giudice sportivo dovrebbe squalificarlo per blasfemia ogni settimana) ha la faccia tosta di presentarsi davanti alle tv e di raccontare a milioni di sportivi, a milioni di tifosi del Milan che sì, insomma, non c’è da fare tragedie perchè il Milan dopotutto ha vinto la Supercoppa.

Se il Milan fosse una società seria, oggi la proprietà convocherebbe capitan Ibra e la sua Armata Brancaleone nei propri uffici e direbbe loro di raccogliere le proprie cose e di andarsene. In estate la corte dei miracoli composta dai prodi Ibrahimovic, Furlani, Moncada e Scaroni aveva promesso al colto e all’inclita un Milan dominante; quello che avevano costruito si è rivelato invece, come tutti avevano già capito, un Milan penoso, così sconclusionato da essere completamente buttato a mare dai nostri eroi nel mercato di gennaio. Purtroppo, non è svuotando la stiva col cucchiaino che tieni la barca a galla: ormai l’acqua entra da tutte le parti e il danno è fatto, sei destinato a colare a picco. Miseramente. Com’è successo ieri a quel che resta del Milan nel proprio mare, a San Siro, sotto gli occhi dei suoi tifosi sgomenti, contro una delle squadre più deboli di tutta la Champions, debole ma non scombiccherata come il Milan plasmato da Dio Ibra.

Ho detto: se il Milan fosse una società seria caccerebbe seduta stante Ibra & company. Purtroppo non lo è. Perchè se Ibrahimovic è lì è perchè qualcuno ce lo ha messo; e a mettercelo in sostituzione di Paolo Maldini (!) è stato Gerry Cardinale, uno cui occorrerebbe misurare il QI. Il quale Cardinale chissà come se la passa oggi. Ha comprato il Milan facendosi prestare i soldi dalla vecchia proprietà (il fondo Elliott), che quindi incombe sulla sua testa come una gigantesca spada di Damocle: e in men che non si dica gli uomini che ha scelto per guidare il club hanno portato il Milan a un gigantesco fallimento sportivo con annesso, ingente, inenarrabile danno economico. Se andrà bene, il Milan giocherà un altr’anno nella serie B (Europa League) o nella Serie C (Conference) europea. Trattato fino ad oggi da Red Bird come un’Udinese o un Genoa qualsiasi - detto con tutto il rispetto per Udinese e Genoa -, l’anno prossimo con meno risorse e con la corte dei miracoli ancora operativa (Cardinale si è detto entusiasta del trust di cervelli cui ha affidato le sorti del club), il Milan inizierà la fase B del “periodo Red Bird”: sarà trattato cioè come se fosse la Solbiatese (detto con tutto il rispetto per la Solbiatese). La parola d’ordine: risparmiare, risparmiare, risparmiare. E lasciare che Ibra & company scovino altri Morata e altri Emerson Royal in giro per l’Europa, ma meno forti e costosi di Morata e Emerson Royal perchè adesso ci sono meno soldi e campioni del genere sarebbero un lusso di cui non ci si può più permettere.

C’era una volta il Milan: storia di una caduta. Prossimamente su Netflix. Sconsigliato ai tifosi rossoneri deboli di cuore.
Pensare che bastava battere i dopolavoristi dello Zagabria per evitare ste sceneggiate.

Come è bello il calcio
 

Zenos

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Ancora bordate da parte di Paolo Ziliani a Cardinale, Ibrahimovic e Theo Hernandez. Ecco quanto scritto dal giornalista:

Però abbiamo vinto la Supercoppa". Il Milan va incontro all'annunciato affondamento del Titanic ma il comandante Ibra avvisa che la cena è stata ottima: bilancio positivo insomma
Lo scempio è compiuto: a metà febbraio il Milan è fuori dalla lotta scudetto (dove non è mai entrato), fuori dalla Champions e l'anno prossimo se andrà bene farà l'Europa League o la Conference. Un danno sportivo e economico ingente: ma per Ibra che in estate aveva promesso ai tifosi un Milan "dominante" il bicchiere è mezzo pieno. Lo sfascio di un glorioso club scientificamente messo in atto da una manica di inetti e incompetenti

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. Che sarebbe un po’ come se il condannato al patibolo dicesse al boia: “Però avevo aiutato una vecchietta ad attraversare la strada”.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. È riuscito a dire anche questo ieri sera Zlatan Ibrahimovic nell’immediato dopo partita di Milan-Feyenoord 1-1, la partita che ha sancito la clamorosa uscita del Milan dalla Champions League. Ha tirato in ballo il trofeo vinto a gennaio a Riad in virtù - lo ricorderete - di una irripetibile congiunzione astrale, Zlatan Ibrahimovic: come a dire che il bilancio del Milan non era poi così male come qualcuno frettolosamente potrebbe pensare. L’ha detto davvero. E l’ha fatto pochi minuti dopo che il Milan era stato spazzato via dal più importante torneo in cui un top club (tale era il Milan prima dell’avvento di Red Bird e della sua corte dei miracoli capitanata appunto da Zlatan Ibrahimovic) è chiamato a giocare. Con un danno enorme sotto il profilo sportivo (per chi non l’avesse realizzato: è come se il Milan fosse stato eliminato ai gironi nel vecchio format con l’aggravante che il nuovo format non lo manda più in Europa League a battersi per il trofeo UEFA di serie B, ma lo manda direttamente a casa e senza passare dal via) e un danno ancora più ingente sotto l’unico profilo che ai nuovi proprietari sta a cuore, quello economico: perchè non solo il Milan vede sfumare gli 11 milioni più bruscolini che il passaggio agli ottavi - che sembrava cosa fatta addirittura al penultimo match della fase eliminatoria - prevedeva, ma vede sfumare ogni altro possibile incasso da botteghino e da premi-UEFA in caso di continuazione del percorso. Il tutto incastonato in un quadro reso ancor più rovinoso dal pessimo andamento del Milan in campionato: non solo la squadra allestita dai Cardinale’s boys non è mai stata in lotta per lo scudetto come la storia del Milan esigerebbe, ma al 99 % (e sottraggo l’1 % nel caso avvenga un anticipato ritorno della cometa di Halley) non si qualificherà alla Champions League della stagione prossima. Detto in soldoni (e in questo caso non è un modo di dire): si tratta di un danno sull’ordine degli 80-90 milioni che andrà ad aggiungersi alle decine di milioni buttati a mare oggi e che fungerà da pesantissima zavorra portando la bagnarola rossonera e i suoi comandanti Schettino all’inabissamento non solo sportivo ma anche finanziario.

“Ibra che vuole fare la storia ma non sa fare la squadra”. È questo il titolo con cui ieri avevo presentato il mio articolo di presentazione della giornata: come sempre tirandomi addosso la rabbia e l’insofferenza di una parte di tifoseria rossonera che mi accusa di essere tenero (?) con gli altri top club e duro solo col Milan. Avevo invece semplicemente detto, e col senno di prima perchè col senno di poi sono capaci tutti, la sola cosa importante che andava detta: rimarcando come Ibrahimovic, il dirigente che di fatto ha preso il posto di Paolo Maldini alla guida del club, sia capace di dire unicamente trombonate lanciando proclami ridicoli come quello coniato in estate sul Milan “dominante” che avremmo visto all’opera. Un Milan che da agosto ad oggi è stato invece dominato da tutti, dal Parma, dalla Dinamo Zagabria e dal Feyenoord che lo hanno battuto e persino dal Como, dal Bruges e dalla Stella Rossa che in qualche modo, miracolosamente, il Milan era riuscito a battere sempre per il rotto della cuffia e per grazia ricevuta.

Ma oltre all’inettitudine tecnica conclamata (per dirne una: solo uno staff di incapaci poteva pensare di sostituire un centravanti della bravura, dell’affidabilità e del calibro di Giroud con un centravanti come Morata che ha ormai il sacro terrore di entrare nelle aree avversarie; e per fortuna che Ibra almeno di centravanti dovrebbe intendersene), di Ibrahimovic avevo voluto sottolineare, per l’ennesima volta, il suo inesistente spessore etico-morale emerso drammaticamente, per l’ennesima volta, nella dichiarazione fatta a proposito di Rafa Leao: “Tutti parlano di Leao - aveva detto nella conferenza-stampa di vigilia -, dicono a lui come deve giocare. Ma come gli spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Già. Leao. Quello dell’ammutinamento contro Fonseca nel cooling-break di Lazio-Milan, a campionato appena iniziato, una ribellione platealmente esibita in stretta collaborazione con Theo Hernandez.

Già, Theo Hernandez. Un altro al quale, secondo la visione che Ibra ha del calcio, non devi dire nulla, men che meno insegnare nulla, perchè “come glielo spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Proprio come ieri: col Milan che in vantaggio 1-0, a San Siro, con mezza partita ancora da giocare, l’handicap dello 0-1 dell’andata annullato e le possibilità ancora intatte di riuscire a fare un altro gol (se hai Leao e Joao Felix, Pulisic e Gimenez, una partita per 2-0 ogni tanto la puoi anche vincere) e di passare il turno, ha improvvisamente dato di matto alla fine del primo tempo, manco il Milan stesse perdendo 0-2 e la disperazione si tagliasse a fette, con l’aggressione a metà campo ai danni di Anis Moussa che gli procurava un giallo già pesante (era diffidato e avrebbe saltato il match d’andata degli ottavi in caso di passaggio del turno) e col “numero” a inizio secondo tempo, la specialità di casa-Hernandez, la goffa e plateale simulazione cui l’arbitro non abboccava e che puniva con il secondo giallo, quindi con l’espulsione, decretando in tempo reale la fine di ogni speranza del Milan di scampare al naufragio.

Solo un demente in piena bonaccia avrebbe potuto innescare la miccia che mutava il clima in burrasca: non era certo interesse del Milan, ma Theo Hernandez - che del Milan è stato capitano ed è uno dei giocatori storici, uno dei più esperti - l’ha fatto. E siccome quest’anno il francese ha fatto più danni della grandine dando vita a una stagione che più disastrosa in fatto di danni procurati alla squadra non avrebbe potuto essere, sarebbe stato il caso - nell’intervallo - che Conceiçao lo mandasse sotto la doccia a raffreddare i bollori onde evitare guai peggiori. E però, il comandante in capo Ibrahimovic alla vigilia era stato chiaro: come devono giocare Leao e Theo sono loro che te lo spiegano, non puoi dirglielo tu. Loro sono i più forti al mondo, non proviamoci nemmeno. Infatti Fonseca ci aveva provato e oggi allena l’Olimpique Lione. Conceiçao dev’essersi detto: messaggio ricevuto. E così, quando Theo Hernandez è sbucato per la seconda volta dal tunnel degli spogliatoi, è apparso chiaro a tutti che la fine del Milan era segnata.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”, ha detto ieri Zlatan Ibrahimovic. E seriamente, non per scherzo. Ora, ricapitolando: la Champions League del Milan è stata un fallimento. Il campionato è stato un fallimento. Il tutto a febbraio, con quattro mesi di agonia ancora da completare. In tutto questo sfascio, questo guitto che gioca a spacciarsi per Dio (una bestemmia continuata: il giudice sportivo dovrebbe squalificarlo per blasfemia ogni settimana) ha la faccia tosta di presentarsi davanti alle tv e di raccontare a milioni di sportivi, a milioni di tifosi del Milan che sì, insomma, non c’è da fare tragedie perchè il Milan dopotutto ha vinto la Supercoppa.

Se il Milan fosse una società seria, oggi la proprietà convocherebbe capitan Ibra e la sua Armata Brancaleone nei propri uffici e direbbe loro di raccogliere le proprie cose e di andarsene. In estate la corte dei miracoli composta dai prodi Ibrahimovic, Furlani, Moncada e Scaroni aveva promesso al colto e all’inclita un Milan dominante; quello che avevano costruito si è rivelato invece, come tutti avevano già capito, un Milan penoso, così sconclusionato da essere completamente buttato a mare dai nostri eroi nel mercato di gennaio. Purtroppo, non è svuotando la stiva col cucchiaino che tieni la barca a galla: ormai l’acqua entra da tutte le parti e il danno è fatto, sei destinato a colare a picco. Miseramente. Com’è successo ieri a quel che resta del Milan nel proprio mare, a San Siro, sotto gli occhi dei suoi tifosi sgomenti, contro una delle squadre più deboli di tutta la Champions, debole ma non scombiccherata come il Milan plasmato da Dio Ibra.

Ho detto: se il Milan fosse una società seria caccerebbe seduta stante Ibra & company. Purtroppo non lo è. Perchè se Ibrahimovic è lì è perchè qualcuno ce lo ha messo; e a mettercelo in sostituzione di Paolo Maldini (!) è stato Gerry Cardinale, uno cui occorrerebbe misurare il QI. Il quale Cardinale chissà come se la passa oggi. Ha comprato il Milan facendosi prestare i soldi dalla vecchia proprietà (il fondo Elliott), che quindi incombe sulla sua testa come una gigantesca spada di Damocle: e in men che non si dica gli uomini che ha scelto per guidare il club hanno portato il Milan a un gigantesco fallimento sportivo con annesso, ingente, inenarrabile danno economico. Se andrà bene, il Milan giocherà un altr’anno nella serie B (Europa League) o nella Serie C (Conference) europea. Trattato fino ad oggi da Red Bird come un’Udinese o un Genoa qualsiasi - detto con tutto il rispetto per Udinese e Genoa -, l’anno prossimo con meno risorse e con la corte dei miracoli ancora operativa (Cardinale si è detto entusiasta del trust di cervelli cui ha affidato le sorti del club), il Milan inizierà la fase B del “periodo Red Bird”: sarà trattato cioè come se fosse la Solbiatese (detto con tutto il rispetto per la Solbiatese). La parola d’ordine: risparmiare, risparmiare, risparmiare. E lasciare che Ibra & company scovino altri Morata e altri Emerson Royal in giro per l’Europa, ma meno forti e costosi di Morata e Emerson Royal perchè adesso ci sono meno soldi e campioni del genere sarebbero un lusso di cui non ci si può più permettere.

C’era una volta il Milan: storia di una caduta. Prossimamente su Netflix. Sconsigliato ai tifosi rossoneri deboli di cuore.

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Perfettamente d'accordo.
 
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Ancora bordate da parte di Paolo Ziliani a Cardinale, Ibrahimovic e Theo Hernandez. Ecco quanto scritto dal giornalista:

Però abbiamo vinto la Supercoppa". Il Milan va incontro all'annunciato affondamento del Titanic ma il comandante Ibra avvisa che la cena è stata ottima: bilancio positivo insomma
Lo scempio è compiuto: a metà febbraio il Milan è fuori dalla lotta scudetto (dove non è mai entrato), fuori dalla Champions e l'anno prossimo se andrà bene farà l'Europa League o la Conference. Un danno sportivo e economico ingente: ma per Ibra che in estate aveva promesso ai tifosi un Milan "dominante" il bicchiere è mezzo pieno. Lo sfascio di un glorioso club scientificamente messo in atto da una manica di inetti e incompetenti

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. Che sarebbe un po’ come se il condannato al patibolo dicesse al boia: “Però avevo aiutato una vecchietta ad attraversare la strada”.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. È riuscito a dire anche questo ieri sera Zlatan Ibrahimovic nell’immediato dopo partita di Milan-Feyenoord 1-1, la partita che ha sancito la clamorosa uscita del Milan dalla Champions League. Ha tirato in ballo il trofeo vinto a gennaio a Riad in virtù - lo ricorderete - di una irripetibile congiunzione astrale, Zlatan Ibrahimovic: come a dire che il bilancio del Milan non era poi così male come qualcuno frettolosamente potrebbe pensare. L’ha detto davvero. E l’ha fatto pochi minuti dopo che il Milan era stato spazzato via dal più importante torneo in cui un top club (tale era il Milan prima dell’avvento di Red Bird e della sua corte dei miracoli capitanata appunto da Zlatan Ibrahimovic) è chiamato a giocare. Con un danno enorme sotto il profilo sportivo (per chi non l’avesse realizzato: è come se il Milan fosse stato eliminato ai gironi nel vecchio format con l’aggravante che il nuovo format non lo manda più in Europa League a battersi per il trofeo UEFA di serie B, ma lo manda direttamente a casa e senza passare dal via) e un danno ancora più ingente sotto l’unico profilo che ai nuovi proprietari sta a cuore, quello economico: perchè non solo il Milan vede sfumare gli 11 milioni più bruscolini che il passaggio agli ottavi - che sembrava cosa fatta addirittura al penultimo match della fase eliminatoria - prevedeva, ma vede sfumare ogni altro possibile incasso da botteghino e da premi-UEFA in caso di continuazione del percorso. Il tutto incastonato in un quadro reso ancor più rovinoso dal pessimo andamento del Milan in campionato: non solo la squadra allestita dai Cardinale’s boys non è mai stata in lotta per lo scudetto come la storia del Milan esigerebbe, ma al 99 % (e sottraggo l’1 % nel caso avvenga un anticipato ritorno della cometa di Halley) non si qualificherà alla Champions League della stagione prossima. Detto in soldoni (e in questo caso non è un modo di dire): si tratta di un danno sull’ordine degli 80-90 milioni che andrà ad aggiungersi alle decine di milioni buttati a mare oggi e che fungerà da pesantissima zavorra portando la bagnarola rossonera e i suoi comandanti Schettino all’inabissamento non solo sportivo ma anche finanziario.

“Ibra che vuole fare la storia ma non sa fare la squadra”. È questo il titolo con cui ieri avevo presentato il mio articolo di presentazione della giornata: come sempre tirandomi addosso la rabbia e l’insofferenza di una parte di tifoseria rossonera che mi accusa di essere tenero (?) con gli altri top club e duro solo col Milan. Avevo invece semplicemente detto, e col senno di prima perchè col senno di poi sono capaci tutti, la sola cosa importante che andava detta: rimarcando come Ibrahimovic, il dirigente che di fatto ha preso il posto di Paolo Maldini alla guida del club, sia capace di dire unicamente trombonate lanciando proclami ridicoli come quello coniato in estate sul Milan “dominante” che avremmo visto all’opera. Un Milan che da agosto ad oggi è stato invece dominato da tutti, dal Parma, dalla Dinamo Zagabria e dal Feyenoord che lo hanno battuto e persino dal Como, dal Bruges e dalla Stella Rossa che in qualche modo, miracolosamente, il Milan era riuscito a battere sempre per il rotto della cuffia e per grazia ricevuta.

Ma oltre all’inettitudine tecnica conclamata (per dirne una: solo uno staff di incapaci poteva pensare di sostituire un centravanti della bravura, dell’affidabilità e del calibro di Giroud con un centravanti come Morata che ha ormai il sacro terrore di entrare nelle aree avversarie; e per fortuna che Ibra almeno di centravanti dovrebbe intendersene), di Ibrahimovic avevo voluto sottolineare, per l’ennesima volta, il suo inesistente spessore etico-morale emerso drammaticamente, per l’ennesima volta, nella dichiarazione fatta a proposito di Rafa Leao: “Tutti parlano di Leao - aveva detto nella conferenza-stampa di vigilia -, dicono a lui come deve giocare. Ma come gli spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Già. Leao. Quello dell’ammutinamento contro Fonseca nel cooling-break di Lazio-Milan, a campionato appena iniziato, una ribellione platealmente esibita in stretta collaborazione con Theo Hernandez.

Già, Theo Hernandez. Un altro al quale, secondo la visione che Ibra ha del calcio, non devi dire nulla, men che meno insegnare nulla, perchè “come glielo spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Proprio come ieri: col Milan che in vantaggio 1-0, a San Siro, con mezza partita ancora da giocare, l’handicap dello 0-1 dell’andata annullato e le possibilità ancora intatte di riuscire a fare un altro gol (se hai Leao e Joao Felix, Pulisic e Gimenez, una partita per 2-0 ogni tanto la puoi anche vincere) e di passare il turno, ha improvvisamente dato di matto alla fine del primo tempo, manco il Milan stesse perdendo 0-2 e la disperazione si tagliasse a fette, con l’aggressione a metà campo ai danni di Anis Moussa che gli procurava un giallo già pesante (era diffidato e avrebbe saltato il match d’andata degli ottavi in caso di passaggio del turno) e col “numero” a inizio secondo tempo, la specialità di casa-Hernandez, la goffa e plateale simulazione cui l’arbitro non abboccava e che puniva con il secondo giallo, quindi con l’espulsione, decretando in tempo reale la fine di ogni speranza del Milan di scampare al naufragio.

Solo un demente in piena bonaccia avrebbe potuto innescare la miccia che mutava il clima in burrasca: non era certo interesse del Milan, ma Theo Hernandez - che del Milan è stato capitano ed è uno dei giocatori storici, uno dei più esperti - l’ha fatto. E siccome quest’anno il francese ha fatto più danni della grandine dando vita a una stagione che più disastrosa in fatto di danni procurati alla squadra non avrebbe potuto essere, sarebbe stato il caso - nell’intervallo - che Conceiçao lo mandasse sotto la doccia a raffreddare i bollori onde evitare guai peggiori. E però, il comandante in capo Ibrahimovic alla vigilia era stato chiaro: come devono giocare Leao e Theo sono loro che te lo spiegano, non puoi dirglielo tu. Loro sono i più forti al mondo, non proviamoci nemmeno. Infatti Fonseca ci aveva provato e oggi allena l’Olimpique Lione. Conceiçao dev’essersi detto: messaggio ricevuto. E così, quando Theo Hernandez è sbucato per la seconda volta dal tunnel degli spogliatoi, è apparso chiaro a tutti che la fine del Milan era segnata.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”, ha detto ieri Zlatan Ibrahimovic. E seriamente, non per scherzo. Ora, ricapitolando: la Champions League del Milan è stata un fallimento. Il campionato è stato un fallimento. Il tutto a febbraio, con quattro mesi di agonia ancora da completare. In tutto questo sfascio, questo guitto che gioca a spacciarsi per Dio (una bestemmia continuata: il giudice sportivo dovrebbe squalificarlo per blasfemia ogni settimana) ha la faccia tosta di presentarsi davanti alle tv e di raccontare a milioni di sportivi, a milioni di tifosi del Milan che sì, insomma, non c’è da fare tragedie perchè il Milan dopotutto ha vinto la Supercoppa.

Se il Milan fosse una società seria, oggi la proprietà convocherebbe capitan Ibra e la sua Armata Brancaleone nei propri uffici e direbbe loro di raccogliere le proprie cose e di andarsene. In estate la corte dei miracoli composta dai prodi Ibrahimovic, Furlani, Moncada e Scaroni aveva promesso al colto e all’inclita un Milan dominante; quello che avevano costruito si è rivelato invece, come tutti avevano già capito, un Milan penoso, così sconclusionato da essere completamente buttato a mare dai nostri eroi nel mercato di gennaio. Purtroppo, non è svuotando la stiva col cucchiaino che tieni la barca a galla: ormai l’acqua entra da tutte le parti e il danno è fatto, sei destinato a colare a picco. Miseramente. Com’è successo ieri a quel che resta del Milan nel proprio mare, a San Siro, sotto gli occhi dei suoi tifosi sgomenti, contro una delle squadre più deboli di tutta la Champions, debole ma non scombiccherata come il Milan plasmato da Dio Ibra.

Ho detto: se il Milan fosse una società seria caccerebbe seduta stante Ibra & company. Purtroppo non lo è. Perchè se Ibrahimovic è lì è perchè qualcuno ce lo ha messo; e a mettercelo in sostituzione di Paolo Maldini (!) è stato Gerry Cardinale, uno cui occorrerebbe misurare il QI. Il quale Cardinale chissà come se la passa oggi. Ha comprato il Milan facendosi prestare i soldi dalla vecchia proprietà (il fondo Elliott), che quindi incombe sulla sua testa come una gigantesca spada di Damocle: e in men che non si dica gli uomini che ha scelto per guidare il club hanno portato il Milan a un gigantesco fallimento sportivo con annesso, ingente, inenarrabile danno economico. Se andrà bene, il Milan giocherà un altr’anno nella serie B (Europa League) o nella Serie C (Conference) europea. Trattato fino ad oggi da Red Bird come un’Udinese o un Genoa qualsiasi - detto con tutto il rispetto per Udinese e Genoa -, l’anno prossimo con meno risorse e con la corte dei miracoli ancora operativa (Cardinale si è detto entusiasta del trust di cervelli cui ha affidato le sorti del club), il Milan inizierà la fase B del “periodo Red Bird”: sarà trattato cioè come se fosse la Solbiatese (detto con tutto il rispetto per la Solbiatese). La parola d’ordine: risparmiare, risparmiare, risparmiare. E lasciare che Ibra & company scovino altri Morata e altri Emerson Royal in giro per l’Europa, ma meno forti e costosi di Morata e Emerson Royal perchè adesso ci sono meno soldi e campioni del genere sarebbero un lusso di cui non ci si può più permettere.

C’era una volta il Milan: storia di una caduta. Prossimamente su Netflix. Sconsigliato ai tifosi rossoneri deboli di cuore.

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La tocca piano Ziliani. Ma posso dire che ha ragione?
 

malos

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Ancora bordate da parte di Paolo Ziliani a Cardinale, Ibrahimovic e Theo Hernandez. Ecco quanto scritto dal giornalista:

Però abbiamo vinto la Supercoppa". Il Milan va incontro all'annunciato affondamento del Titanic ma il comandante Ibra avvisa che la cena è stata ottima: bilancio positivo insomma
Lo scempio è compiuto: a metà febbraio il Milan è fuori dalla lotta scudetto (dove non è mai entrato), fuori dalla Champions e l'anno prossimo se andrà bene farà l'Europa League o la Conference. Un danno sportivo e economico ingente: ma per Ibra che in estate aveva promesso ai tifosi un Milan "dominante" il bicchiere è mezzo pieno. Lo sfascio di un glorioso club scientificamente messo in atto da una manica di inetti e incompetenti

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. Che sarebbe un po’ come se il condannato al patibolo dicesse al boia: “Però avevo aiutato una vecchietta ad attraversare la strada”.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. È riuscito a dire anche questo ieri sera Zlatan Ibrahimovic nell’immediato dopo partita di Milan-Feyenoord 1-1, la partita che ha sancito la clamorosa uscita del Milan dalla Champions League. Ha tirato in ballo il trofeo vinto a gennaio a Riad in virtù - lo ricorderete - di una irripetibile congiunzione astrale, Zlatan Ibrahimovic: come a dire che il bilancio del Milan non era poi così male come qualcuno frettolosamente potrebbe pensare. L’ha detto davvero. E l’ha fatto pochi minuti dopo che il Milan era stato spazzato via dal più importante torneo in cui un top club (tale era il Milan prima dell’avvento di Red Bird e della sua corte dei miracoli capitanata appunto da Zlatan Ibrahimovic) è chiamato a giocare. Con un danno enorme sotto il profilo sportivo (per chi non l’avesse realizzato: è come se il Milan fosse stato eliminato ai gironi nel vecchio format con l’aggravante che il nuovo format non lo manda più in Europa League a battersi per il trofeo UEFA di serie B, ma lo manda direttamente a casa e senza passare dal via) e un danno ancora più ingente sotto l’unico profilo che ai nuovi proprietari sta a cuore, quello economico: perchè non solo il Milan vede sfumare gli 11 milioni più bruscolini che il passaggio agli ottavi - che sembrava cosa fatta addirittura al penultimo match della fase eliminatoria - prevedeva, ma vede sfumare ogni altro possibile incasso da botteghino e da premi-UEFA in caso di continuazione del percorso. Il tutto incastonato in un quadro reso ancor più rovinoso dal pessimo andamento del Milan in campionato: non solo la squadra allestita dai Cardinale’s boys non è mai stata in lotta per lo scudetto come la storia del Milan esigerebbe, ma al 99 % (e sottraggo l’1 % nel caso avvenga un anticipato ritorno della cometa di Halley) non si qualificherà alla Champions League della stagione prossima. Detto in soldoni (e in questo caso non è un modo di dire): si tratta di un danno sull’ordine degli 80-90 milioni che andrà ad aggiungersi alle decine di milioni buttati a mare oggi e che fungerà da pesantissima zavorra portando la bagnarola rossonera e i suoi comandanti Schettino all’inabissamento non solo sportivo ma anche finanziario.

“Ibra che vuole fare la storia ma non sa fare la squadra”. È questo il titolo con cui ieri avevo presentato il mio articolo di presentazione della giornata: come sempre tirandomi addosso la rabbia e l’insofferenza di una parte di tifoseria rossonera che mi accusa di essere tenero (?) con gli altri top club e duro solo col Milan. Avevo invece semplicemente detto, e col senno di prima perchè col senno di poi sono capaci tutti, la sola cosa importante che andava detta: rimarcando come Ibrahimovic, il dirigente che di fatto ha preso il posto di Paolo Maldini alla guida del club, sia capace di dire unicamente trombonate lanciando proclami ridicoli come quello coniato in estate sul Milan “dominante” che avremmo visto all’opera. Un Milan che da agosto ad oggi è stato invece dominato da tutti, dal Parma, dalla Dinamo Zagabria e dal Feyenoord che lo hanno battuto e persino dal Como, dal Bruges e dalla Stella Rossa che in qualche modo, miracolosamente, il Milan era riuscito a battere sempre per il rotto della cuffia e per grazia ricevuta.

Ma oltre all’inettitudine tecnica conclamata (per dirne una: solo uno staff di incapaci poteva pensare di sostituire un centravanti della bravura, dell’affidabilità e del calibro di Giroud con un centravanti come Morata che ha ormai il sacro terrore di entrare nelle aree avversarie; e per fortuna che Ibra almeno di centravanti dovrebbe intendersene), di Ibrahimovic avevo voluto sottolineare, per l’ennesima volta, il suo inesistente spessore etico-morale emerso drammaticamente, per l’ennesima volta, nella dichiarazione fatta a proposito di Rafa Leao: “Tutti parlano di Leao - aveva detto nella conferenza-stampa di vigilia -, dicono a lui come deve giocare. Ma come gli spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Già. Leao. Quello dell’ammutinamento contro Fonseca nel cooling-break di Lazio-Milan, a campionato appena iniziato, una ribellione platealmente esibita in stretta collaborazione con Theo Hernandez.

Già, Theo Hernandez. Un altro al quale, secondo la visione che Ibra ha del calcio, non devi dire nulla, men che meno insegnare nulla, perchè “come glielo spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Proprio come ieri: col Milan che in vantaggio 1-0, a San Siro, con mezza partita ancora da giocare, l’handicap dello 0-1 dell’andata annullato e le possibilità ancora intatte di riuscire a fare un altro gol (se hai Leao e Joao Felix, Pulisic e Gimenez, una partita per 2-0 ogni tanto la puoi anche vincere) e di passare il turno, ha improvvisamente dato di matto alla fine del primo tempo, manco il Milan stesse perdendo 0-2 e la disperazione si tagliasse a fette, con l’aggressione a metà campo ai danni di Anis Moussa che gli procurava un giallo già pesante (era diffidato e avrebbe saltato il match d’andata degli ottavi in caso di passaggio del turno) e col “numero” a inizio secondo tempo, la specialità di casa-Hernandez, la goffa e plateale simulazione cui l’arbitro non abboccava e che puniva con il secondo giallo, quindi con l’espulsione, decretando in tempo reale la fine di ogni speranza del Milan di scampare al naufragio.

Solo un demente in piena bonaccia avrebbe potuto innescare la miccia che mutava il clima in burrasca: non era certo interesse del Milan, ma Theo Hernandez - che del Milan è stato capitano ed è uno dei giocatori storici, uno dei più esperti - l’ha fatto. E siccome quest’anno il francese ha fatto più danni della grandine dando vita a una stagione che più disastrosa in fatto di danni procurati alla squadra non avrebbe potuto essere, sarebbe stato il caso - nell’intervallo - che Conceiçao lo mandasse sotto la doccia a raffreddare i bollori onde evitare guai peggiori. E però, il comandante in capo Ibrahimovic alla vigilia era stato chiaro: come devono giocare Leao e Theo sono loro che te lo spiegano, non puoi dirglielo tu. Loro sono i più forti al mondo, non proviamoci nemmeno. Infatti Fonseca ci aveva provato e oggi allena l’Olimpique Lione. Conceiçao dev’essersi detto: messaggio ricevuto. E così, quando Theo Hernandez è sbucato per la seconda volta dal tunnel degli spogliatoi, è apparso chiaro a tutti che la fine del Milan era segnata.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”, ha detto ieri Zlatan Ibrahimovic. E seriamente, non per scherzo. Ora, ricapitolando: la Champions League del Milan è stata un fallimento. Il campionato è stato un fallimento. Il tutto a febbraio, con quattro mesi di agonia ancora da completare. In tutto questo sfascio, questo guitto che gioca a spacciarsi per Dio (una bestemmia continuata: il giudice sportivo dovrebbe squalificarlo per blasfemia ogni settimana) ha la faccia tosta di presentarsi davanti alle tv e di raccontare a milioni di sportivi, a milioni di tifosi del Milan che sì, insomma, non c’è da fare tragedie perchè il Milan dopotutto ha vinto la Supercoppa.

Se il Milan fosse una società seria, oggi la proprietà convocherebbe capitan Ibra e la sua Armata Brancaleone nei propri uffici e direbbe loro di raccogliere le proprie cose e di andarsene. In estate la corte dei miracoli composta dai prodi Ibrahimovic, Furlani, Moncada e Scaroni aveva promesso al colto e all’inclita un Milan dominante; quello che avevano costruito si è rivelato invece, come tutti avevano già capito, un Milan penoso, così sconclusionato da essere completamente buttato a mare dai nostri eroi nel mercato di gennaio. Purtroppo, non è svuotando la stiva col cucchiaino che tieni la barca a galla: ormai l’acqua entra da tutte le parti e il danno è fatto, sei destinato a colare a picco. Miseramente. Com’è successo ieri a quel che resta del Milan nel proprio mare, a San Siro, sotto gli occhi dei suoi tifosi sgomenti, contro una delle squadre più deboli di tutta la Champions, debole ma non scombiccherata come il Milan plasmato da Dio Ibra.

Ho detto: se il Milan fosse una società seria caccerebbe seduta stante Ibra & company. Purtroppo non lo è. Perchè se Ibrahimovic è lì è perchè qualcuno ce lo ha messo; e a mettercelo in sostituzione di Paolo Maldini (!) è stato Gerry Cardinale, uno cui occorrerebbe misurare il QI. Il quale Cardinale chissà come se la passa oggi. Ha comprato il Milan facendosi prestare i soldi dalla vecchia proprietà (il fondo Elliott), che quindi incombe sulla sua testa come una gigantesca spada di Damocle: e in men che non si dica gli uomini che ha scelto per guidare il club hanno portato il Milan a un gigantesco fallimento sportivo con annesso, ingente, inenarrabile danno economico. Se andrà bene, il Milan giocherà un altr’anno nella serie B (Europa League) o nella Serie C (Conference) europea. Trattato fino ad oggi da Red Bird come un’Udinese o un Genoa qualsiasi - detto con tutto il rispetto per Udinese e Genoa -, l’anno prossimo con meno risorse e con la corte dei miracoli ancora operativa (Cardinale si è detto entusiasta del trust di cervelli cui ha affidato le sorti del club), il Milan inizierà la fase B del “periodo Red Bird”: sarà trattato cioè come se fosse la Solbiatese (detto con tutto il rispetto per la Solbiatese). La parola d’ordine: risparmiare, risparmiare, risparmiare. E lasciare che Ibra & company scovino altri Morata e altri Emerson Royal in giro per l’Europa, ma meno forti e costosi di Morata e Emerson Royal perchè adesso ci sono meno soldi e campioni del genere sarebbero un lusso di cui non ci si può più permettere.

C’era una volta il Milan: storia di una caduta. Prossimamente su Netflix. Sconsigliato ai tifosi rossoneri deboli di cuore.

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Tutto giusto.
 
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Ancora bordate da parte di Paolo Ziliani a Cardinale, Ibrahimovic e Theo Hernandez. Ecco quanto scritto dal giornalista:

Però abbiamo vinto la Supercoppa". Il Milan va incontro all'annunciato affondamento del Titanic ma il comandante Ibra avvisa che la cena è stata ottima: bilancio positivo insomma
Lo scempio è compiuto: a metà febbraio il Milan è fuori dalla lotta scudetto (dove non è mai entrato), fuori dalla Champions e l'anno prossimo se andrà bene farà l'Europa League o la Conference. Un danno sportivo e economico ingente: ma per Ibra che in estate aveva promesso ai tifosi un Milan "dominante" il bicchiere è mezzo pieno. Lo sfascio di un glorioso club scientificamente messo in atto da una manica di inetti e incompetenti

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. Che sarebbe un po’ come se il condannato al patibolo dicesse al boia: “Però avevo aiutato una vecchietta ad attraversare la strada”.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. È riuscito a dire anche questo ieri sera Zlatan Ibrahimovic nell’immediato dopo partita di Milan-Feyenoord 1-1, la partita che ha sancito la clamorosa uscita del Milan dalla Champions League. Ha tirato in ballo il trofeo vinto a gennaio a Riad in virtù - lo ricorderete - di una irripetibile congiunzione astrale, Zlatan Ibrahimovic: come a dire che il bilancio del Milan non era poi così male come qualcuno frettolosamente potrebbe pensare. L’ha detto davvero. E l’ha fatto pochi minuti dopo che il Milan era stato spazzato via dal più importante torneo in cui un top club (tale era il Milan prima dell’avvento di Red Bird e della sua corte dei miracoli capitanata appunto da Zlatan Ibrahimovic) è chiamato a giocare. Con un danno enorme sotto il profilo sportivo (per chi non l’avesse realizzato: è come se il Milan fosse stato eliminato ai gironi nel vecchio format con l’aggravante che il nuovo format non lo manda più in Europa League a battersi per il trofeo UEFA di serie B, ma lo manda direttamente a casa e senza passare dal via) e un danno ancora più ingente sotto l’unico profilo che ai nuovi proprietari sta a cuore, quello economico: perchè non solo il Milan vede sfumare gli 11 milioni più bruscolini che il passaggio agli ottavi - che sembrava cosa fatta addirittura al penultimo match della fase eliminatoria - prevedeva, ma vede sfumare ogni altro possibile incasso da botteghino e da premi-UEFA in caso di continuazione del percorso. Il tutto incastonato in un quadro reso ancor più rovinoso dal pessimo andamento del Milan in campionato: non solo la squadra allestita dai Cardinale’s boys non è mai stata in lotta per lo scudetto come la storia del Milan esigerebbe, ma al 99 % (e sottraggo l’1 % nel caso avvenga un anticipato ritorno della cometa di Halley) non si qualificherà alla Champions League della stagione prossima. Detto in soldoni (e in questo caso non è un modo di dire): si tratta di un danno sull’ordine degli 80-90 milioni che andrà ad aggiungersi alle decine di milioni buttati a mare oggi e che fungerà da pesantissima zavorra portando la bagnarola rossonera e i suoi comandanti Schettino all’inabissamento non solo sportivo ma anche finanziario.

“Ibra che vuole fare la storia ma non sa fare la squadra”. È questo il titolo con cui ieri avevo presentato il mio articolo di presentazione della giornata: come sempre tirandomi addosso la rabbia e l’insofferenza di una parte di tifoseria rossonera che mi accusa di essere tenero (?) con gli altri top club e duro solo col Milan. Avevo invece semplicemente detto, e col senno di prima perchè col senno di poi sono capaci tutti, la sola cosa importante che andava detta: rimarcando come Ibrahimovic, il dirigente che di fatto ha preso il posto di Paolo Maldini alla guida del club, sia capace di dire unicamente trombonate lanciando proclami ridicoli come quello coniato in estate sul Milan “dominante” che avremmo visto all’opera. Un Milan che da agosto ad oggi è stato invece dominato da tutti, dal Parma, dalla Dinamo Zagabria e dal Feyenoord che lo hanno battuto e persino dal Como, dal Bruges e dalla Stella Rossa che in qualche modo, miracolosamente, il Milan era riuscito a battere sempre per il rotto della cuffia e per grazia ricevuta.

Ma oltre all’inettitudine tecnica conclamata (per dirne una: solo uno staff di incapaci poteva pensare di sostituire un centravanti della bravura, dell’affidabilità e del calibro di Giroud con un centravanti come Morata che ha ormai il sacro terrore di entrare nelle aree avversarie; e per fortuna che Ibra almeno di centravanti dovrebbe intendersene), di Ibrahimovic avevo voluto sottolineare, per l’ennesima volta, il suo inesistente spessore etico-morale emerso drammaticamente, per l’ennesima volta, nella dichiarazione fatta a proposito di Rafa Leao: “Tutti parlano di Leao - aveva detto nella conferenza-stampa di vigilia -, dicono a lui come deve giocare. Ma come gli spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Già. Leao. Quello dell’ammutinamento contro Fonseca nel cooling-break di Lazio-Milan, a campionato appena iniziato, una ribellione platealmente esibita in stretta collaborazione con Theo Hernandez.

Già, Theo Hernandez. Un altro al quale, secondo la visione che Ibra ha del calcio, non devi dire nulla, men che meno insegnare nulla, perchè “come glielo spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Proprio come ieri: col Milan che in vantaggio 1-0, a San Siro, con mezza partita ancora da giocare, l’handicap dello 0-1 dell’andata annullato e le possibilità ancora intatte di riuscire a fare un altro gol (se hai Leao e Joao Felix, Pulisic e Gimenez, una partita per 2-0 ogni tanto la puoi anche vincere) e di passare il turno, ha improvvisamente dato di matto alla fine del primo tempo, manco il Milan stesse perdendo 0-2 e la disperazione si tagliasse a fette, con l’aggressione a metà campo ai danni di Anis Moussa che gli procurava un giallo già pesante (era diffidato e avrebbe saltato il match d’andata degli ottavi in caso di passaggio del turno) e col “numero” a inizio secondo tempo, la specialità di casa-Hernandez, la goffa e plateale simulazione cui l’arbitro non abboccava e che puniva con il secondo giallo, quindi con l’espulsione, decretando in tempo reale la fine di ogni speranza del Milan di scampare al naufragio.

Solo un demente in piena bonaccia avrebbe potuto innescare la miccia che mutava il clima in burrasca: non era certo interesse del Milan, ma Theo Hernandez - che del Milan è stato capitano ed è uno dei giocatori storici, uno dei più esperti - l’ha fatto. E siccome quest’anno il francese ha fatto più danni della grandine dando vita a una stagione che più disastrosa in fatto di danni procurati alla squadra non avrebbe potuto essere, sarebbe stato il caso - nell’intervallo - che Conceiçao lo mandasse sotto la doccia a raffreddare i bollori onde evitare guai peggiori. E però, il comandante in capo Ibrahimovic alla vigilia era stato chiaro: come devono giocare Leao e Theo sono loro che te lo spiegano, non puoi dirglielo tu. Loro sono i più forti al mondo, non proviamoci nemmeno. Infatti Fonseca ci aveva provato e oggi allena l’Olimpique Lione. Conceiçao dev’essersi detto: messaggio ricevuto. E così, quando Theo Hernandez è sbucato per la seconda volta dal tunnel degli spogliatoi, è apparso chiaro a tutti che la fine del Milan era segnata.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”, ha detto ieri Zlatan Ibrahimovic. E seriamente, non per scherzo. Ora, ricapitolando: la Champions League del Milan è stata un fallimento. Il campionato è stato un fallimento. Il tutto a febbraio, con quattro mesi di agonia ancora da completare. In tutto questo sfascio, questo guitto che gioca a spacciarsi per Dio (una bestemmia continuata: il giudice sportivo dovrebbe squalificarlo per blasfemia ogni settimana) ha la faccia tosta di presentarsi davanti alle tv e di raccontare a milioni di sportivi, a milioni di tifosi del Milan che sì, insomma, non c’è da fare tragedie perchè il Milan dopotutto ha vinto la Supercoppa.

Se il Milan fosse una società seria, oggi la proprietà convocherebbe capitan Ibra e la sua Armata Brancaleone nei propri uffici e direbbe loro di raccogliere le proprie cose e di andarsene. In estate la corte dei miracoli composta dai prodi Ibrahimovic, Furlani, Moncada e Scaroni aveva promesso al colto e all’inclita un Milan dominante; quello che avevano costruito si è rivelato invece, come tutti avevano già capito, un Milan penoso, così sconclusionato da essere completamente buttato a mare dai nostri eroi nel mercato di gennaio. Purtroppo, non è svuotando la stiva col cucchiaino che tieni la barca a galla: ormai l’acqua entra da tutte le parti e il danno è fatto, sei destinato a colare a picco. Miseramente. Com’è successo ieri a quel che resta del Milan nel proprio mare, a San Siro, sotto gli occhi dei suoi tifosi sgomenti, contro una delle squadre più deboli di tutta la Champions, debole ma non scombiccherata come il Milan plasmato da Dio Ibra.

Ho detto: se il Milan fosse una società seria caccerebbe seduta stante Ibra & company. Purtroppo non lo è. Perchè se Ibrahimovic è lì è perchè qualcuno ce lo ha messo; e a mettercelo in sostituzione di Paolo Maldini (!) è stato Gerry Cardinale, uno cui occorrerebbe misurare il QI. Il quale Cardinale chissà come se la passa oggi. Ha comprato il Milan facendosi prestare i soldi dalla vecchia proprietà (il fondo Elliott), che quindi incombe sulla sua testa come una gigantesca spada di Damocle: e in men che non si dica gli uomini che ha scelto per guidare il club hanno portato il Milan a un gigantesco fallimento sportivo con annesso, ingente, inenarrabile danno economico. Se andrà bene, il Milan giocherà un altr’anno nella serie B (Europa League) o nella Serie C (Conference) europea. Trattato fino ad oggi da Red Bird come un’Udinese o un Genoa qualsiasi - detto con tutto il rispetto per Udinese e Genoa -, l’anno prossimo con meno risorse e con la corte dei miracoli ancora operativa (Cardinale si è detto entusiasta del trust di cervelli cui ha affidato le sorti del club), il Milan inizierà la fase B del “periodo Red Bird”: sarà trattato cioè come se fosse la Solbiatese (detto con tutto il rispetto per la Solbiatese). La parola d’ordine: risparmiare, risparmiare, risparmiare. E lasciare che Ibra & company scovino altri Morata e altri Emerson Royal in giro per l’Europa, ma meno forti e costosi di Morata e Emerson Royal perchè adesso ci sono meno soldi e campioni del genere sarebbero un lusso di cui non ci si può più permettere.

C’era una volta il Milan: storia di una caduta. Prossimamente su Netflix. Sconsigliato ai tifosi rossoneri deboli di cuore.

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i toni sono da ultras becero ferito e contestatore, però se si entra nel merito del discorso, difficile dargli torto su gran parte del discorso che ha fatto.
 
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Ancora bordate da parte di Paolo Ziliani a Cardinale, Ibrahimovic e Theo Hernandez. Ecco quanto scritto dal giornalista:

Però abbiamo vinto la Supercoppa". Il Milan va incontro all'annunciato affondamento del Titanic ma il comandante Ibra avvisa che la cena è stata ottima: bilancio positivo insomma
Lo scempio è compiuto: a metà febbraio il Milan è fuori dalla lotta scudetto (dove non è mai entrato), fuori dalla Champions e l'anno prossimo se andrà bene farà l'Europa League o la Conference. Un danno sportivo e economico ingente: ma per Ibra che in estate aveva promesso ai tifosi un Milan "dominante" il bicchiere è mezzo pieno. Lo sfascio di un glorioso club scientificamente messo in atto da una manica di inetti e incompetenti

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. Che sarebbe un po’ come se il condannato al patibolo dicesse al boia: “Però avevo aiutato una vecchietta ad attraversare la strada”.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”. È riuscito a dire anche questo ieri sera Zlatan Ibrahimovic nell’immediato dopo partita di Milan-Feyenoord 1-1, la partita che ha sancito la clamorosa uscita del Milan dalla Champions League. Ha tirato in ballo il trofeo vinto a gennaio a Riad in virtù - lo ricorderete - di una irripetibile congiunzione astrale, Zlatan Ibrahimovic: come a dire che il bilancio del Milan non era poi così male come qualcuno frettolosamente potrebbe pensare. L’ha detto davvero. E l’ha fatto pochi minuti dopo che il Milan era stato spazzato via dal più importante torneo in cui un top club (tale era il Milan prima dell’avvento di Red Bird e della sua corte dei miracoli capitanata appunto da Zlatan Ibrahimovic) è chiamato a giocare. Con un danno enorme sotto il profilo sportivo (per chi non l’avesse realizzato: è come se il Milan fosse stato eliminato ai gironi nel vecchio format con l’aggravante che il nuovo format non lo manda più in Europa League a battersi per il trofeo UEFA di serie B, ma lo manda direttamente a casa e senza passare dal via) e un danno ancora più ingente sotto l’unico profilo che ai nuovi proprietari sta a cuore, quello economico: perchè non solo il Milan vede sfumare gli 11 milioni più bruscolini che il passaggio agli ottavi - che sembrava cosa fatta addirittura al penultimo match della fase eliminatoria - prevedeva, ma vede sfumare ogni altro possibile incasso da botteghino e da premi-UEFA in caso di continuazione del percorso. Il tutto incastonato in un quadro reso ancor più rovinoso dal pessimo andamento del Milan in campionato: non solo la squadra allestita dai Cardinale’s boys non è mai stata in lotta per lo scudetto come la storia del Milan esigerebbe, ma al 99 % (e sottraggo l’1 % nel caso avvenga un anticipato ritorno della cometa di Halley) non si qualificherà alla Champions League della stagione prossima. Detto in soldoni (e in questo caso non è un modo di dire): si tratta di un danno sull’ordine degli 80-90 milioni che andrà ad aggiungersi alle decine di milioni buttati a mare oggi e che fungerà da pesantissima zavorra portando la bagnarola rossonera e i suoi comandanti Schettino all’inabissamento non solo sportivo ma anche finanziario.

“Ibra che vuole fare la storia ma non sa fare la squadra”. È questo il titolo con cui ieri avevo presentato il mio articolo di presentazione della giornata: come sempre tirandomi addosso la rabbia e l’insofferenza di una parte di tifoseria rossonera che mi accusa di essere tenero (?) con gli altri top club e duro solo col Milan. Avevo invece semplicemente detto, e col senno di prima perchè col senno di poi sono capaci tutti, la sola cosa importante che andava detta: rimarcando come Ibrahimovic, il dirigente che di fatto ha preso il posto di Paolo Maldini alla guida del club, sia capace di dire unicamente trombonate lanciando proclami ridicoli come quello coniato in estate sul Milan “dominante” che avremmo visto all’opera. Un Milan che da agosto ad oggi è stato invece dominato da tutti, dal Parma, dalla Dinamo Zagabria e dal Feyenoord che lo hanno battuto e persino dal Como, dal Bruges e dalla Stella Rossa che in qualche modo, miracolosamente, il Milan era riuscito a battere sempre per il rotto della cuffia e per grazia ricevuta.

Ma oltre all’inettitudine tecnica conclamata (per dirne una: solo uno staff di incapaci poteva pensare di sostituire un centravanti della bravura, dell’affidabilità e del calibro di Giroud con un centravanti come Morata che ha ormai il sacro terrore di entrare nelle aree avversarie; e per fortuna che Ibra almeno di centravanti dovrebbe intendersene), di Ibrahimovic avevo voluto sottolineare, per l’ennesima volta, il suo inesistente spessore etico-morale emerso drammaticamente, per l’ennesima volta, nella dichiarazione fatta a proposito di Rafa Leao: “Tutti parlano di Leao - aveva detto nella conferenza-stampa di vigilia -, dicono a lui come deve giocare. Ma come gli spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Già. Leao. Quello dell’ammutinamento contro Fonseca nel cooling-break di Lazio-Milan, a campionato appena iniziato, una ribellione platealmente esibita in stretta collaborazione con Theo Hernandez.

Già, Theo Hernandez. Un altro al quale, secondo la visione che Ibra ha del calcio, non devi dire nulla, men che meno insegnare nulla, perchè “come glielo spieghi a uno dei più forti al mondo come giocare? Come deve giocare è lui che te lo spiega”. Proprio come ieri: col Milan che in vantaggio 1-0, a San Siro, con mezza partita ancora da giocare, l’handicap dello 0-1 dell’andata annullato e le possibilità ancora intatte di riuscire a fare un altro gol (se hai Leao e Joao Felix, Pulisic e Gimenez, una partita per 2-0 ogni tanto la puoi anche vincere) e di passare il turno, ha improvvisamente dato di matto alla fine del primo tempo, manco il Milan stesse perdendo 0-2 e la disperazione si tagliasse a fette, con l’aggressione a metà campo ai danni di Anis Moussa che gli procurava un giallo già pesante (era diffidato e avrebbe saltato il match d’andata degli ottavi in caso di passaggio del turno) e col “numero” a inizio secondo tempo, la specialità di casa-Hernandez, la goffa e plateale simulazione cui l’arbitro non abboccava e che puniva con il secondo giallo, quindi con l’espulsione, decretando in tempo reale la fine di ogni speranza del Milan di scampare al naufragio.

Solo un demente in piena bonaccia avrebbe potuto innescare la miccia che mutava il clima in burrasca: non era certo interesse del Milan, ma Theo Hernandez - che del Milan è stato capitano ed è uno dei giocatori storici, uno dei più esperti - l’ha fatto. E siccome quest’anno il francese ha fatto più danni della grandine dando vita a una stagione che più disastrosa in fatto di danni procurati alla squadra non avrebbe potuto essere, sarebbe stato il caso - nell’intervallo - che Conceiçao lo mandasse sotto la doccia a raffreddare i bollori onde evitare guai peggiori. E però, il comandante in capo Ibrahimovic alla vigilia era stato chiaro: come devono giocare Leao e Theo sono loro che te lo spiegano, non puoi dirglielo tu. Loro sono i più forti al mondo, non proviamoci nemmeno. Infatti Fonseca ci aveva provato e oggi allena l’Olimpique Lione. Conceiçao dev’essersi detto: messaggio ricevuto. E così, quando Theo Hernandez è sbucato per la seconda volta dal tunnel degli spogliatoi, è apparso chiaro a tutti che la fine del Milan era segnata.

“Però abbiamo vinto la Supercoppa”, ha detto ieri Zlatan Ibrahimovic. E seriamente, non per scherzo. Ora, ricapitolando: la Champions League del Milan è stata un fallimento. Il campionato è stato un fallimento. Il tutto a febbraio, con quattro mesi di agonia ancora da completare. In tutto questo sfascio, questo guitto che gioca a spacciarsi per Dio (una bestemmia continuata: il giudice sportivo dovrebbe squalificarlo per blasfemia ogni settimana) ha la faccia tosta di presentarsi davanti alle tv e di raccontare a milioni di sportivi, a milioni di tifosi del Milan che sì, insomma, non c’è da fare tragedie perchè il Milan dopotutto ha vinto la Supercoppa.

Se il Milan fosse una società seria, oggi la proprietà convocherebbe capitan Ibra e la sua Armata Brancaleone nei propri uffici e direbbe loro di raccogliere le proprie cose e di andarsene. In estate la corte dei miracoli composta dai prodi Ibrahimovic, Furlani, Moncada e Scaroni aveva promesso al colto e all’inclita un Milan dominante; quello che avevano costruito si è rivelato invece, come tutti avevano già capito, un Milan penoso, così sconclusionato da essere completamente buttato a mare dai nostri eroi nel mercato di gennaio. Purtroppo, non è svuotando la stiva col cucchiaino che tieni la barca a galla: ormai l’acqua entra da tutte le parti e il danno è fatto, sei destinato a colare a picco. Miseramente. Com’è successo ieri a quel che resta del Milan nel proprio mare, a San Siro, sotto gli occhi dei suoi tifosi sgomenti, contro una delle squadre più deboli di tutta la Champions, debole ma non scombiccherata come il Milan plasmato da Dio Ibra.

Ho detto: se il Milan fosse una società seria caccerebbe seduta stante Ibra & company. Purtroppo non lo è. Perchè se Ibrahimovic è lì è perchè qualcuno ce lo ha messo; e a mettercelo in sostituzione di Paolo Maldini (!) è stato Gerry Cardinale, uno cui occorrerebbe misurare il QI. Il quale Cardinale chissà come se la passa oggi. Ha comprato il Milan facendosi prestare i soldi dalla vecchia proprietà (il fondo Elliott), che quindi incombe sulla sua testa come una gigantesca spada di Damocle: e in men che non si dica gli uomini che ha scelto per guidare il club hanno portato il Milan a un gigantesco fallimento sportivo con annesso, ingente, inenarrabile danno economico. Se andrà bene, il Milan giocherà un altr’anno nella serie B (Europa League) o nella Serie C (Conference) europea. Trattato fino ad oggi da Red Bird come un’Udinese o un Genoa qualsiasi - detto con tutto il rispetto per Udinese e Genoa -, l’anno prossimo con meno risorse e con la corte dei miracoli ancora operativa (Cardinale si è detto entusiasta del trust di cervelli cui ha affidato le sorti del club), il Milan inizierà la fase B del “periodo Red Bird”: sarà trattato cioè come se fosse la Solbiatese (detto con tutto il rispetto per la Solbiatese). La parola d’ordine: risparmiare, risparmiare, risparmiare. E lasciare che Ibra & company scovino altri Morata e altri Emerson Royal in giro per l’Europa, ma meno forti e costosi di Morata e Emerson Royal perchè adesso ci sono meno soldi e campioni del genere sarebbero un lusso di cui non ci si può più permettere.

C’era una volta il Milan: storia di una caduta. Prossimamente su Netflix. Sconsigliato ai tifosi rossoneri deboli di cuore.

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Santo subito. Il cooling break è stato la madre di tutti i problemi. Li una società mette le cose in chiaro e se necessario va giù duro.

Addirittura La colpa è stata data a Fonseca chi era costui per mettere fuori i nostri 2 gioiellini.

Oggi non ci dobbiamo lamentare è solo ed esclusivamente colpa nostra,anche di noi tifosi.
 

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