Van Basten:"Mai feeling con Sacchi. Non era onesto".

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Marco Van Basten, intervistato da 7 del Corsera domani in edicola, si racconta:"A Milano mi sentivo come se fossi parte della famiglia. Insieme abbia- mo vissuto una vita intera. Mi avete visto nascere, come giocatore e come uomo. Mi avete visto crescere. E purtroppo avete visto la mia fine. Sacchi? Non c’è mai stato feeling personale tra me e lui. Non mi ha mai dato l’impressione di essere onesto nei rapporti umani. Quando non era contento di come ci allenavamo, se la prendeva con i giovani, con i più deboli, che magari invece erano in testa a tirare il gruppo. Ero convinto che sarei durato per sempre, dicevo ai miei compagni che avrei smesso a 38 anni. Depressione dopo l'addio al calcio? All’inizio non capivo. Ero troppo concentrato sul mio stare male. Mi chiedevo perché quella sofferenza dovesse toccare proprio a me. Non ho mai avuto una risposta. Quando compresi che anche la mia carriera di allenatore era arrivata al capolinea, tornai e un ragazzo mi provocò. Sei van Basten, mi disse passandomi la palla, fammi vedere cosa sai fare. Ma io ormai non potevo più muovere la caviglia. Chi era? Sono sicuro che lo conoscete. Si chiamava Zlatan, di cognome Ibrahimovic".
 

Milanforever26

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Marco Van Basten, intervistato da 7 del Corsera domani in edicola, si racconta:"A Milano mi sentivo come se fossi parte della famiglia. Insieme abbia- mo vissuto una vita intera. Mi avete visto nascere, come giocatore e come uomo. Mi avete visto crescere. E purtroppo avete visto la mia fine. Sacchi? Non c’è mai stato feeling personale tra me e lui. Non mi ha mai dato l’impressione di essere onesto nei rapporti umani. Quando non era contento di come ci allenavamo, se la prendeva con i giovani, con i più deboli, che magari invece erano in testa a tirare il gruppo. Ero convinto che sarei durato per sempre, dicevo ai miei compagni che avrei smesso a 38 anni. Depressione dopo l'addio al calcio? All’inizio non capivo. Ero troppo concentrato sul mio stare male. Mi chiedevo perché quella sofferenza dovesse toccare proprio a me. Non ho mai avuto una risposta. Quando compresi che anche la mia carriera di allenatore era arrivata al capolinea, tornai e un ragazzo mi provocò. Sei van Basten, mi disse passandomi la palla, fammi vedere cosa sai fare. Ma io ormai non potevo più muovere la caviglia. Chi era? Sono sicuro che lo conoscete. Si chiamava Zlatan, di cognome Ibrahimovic".

Per me rimarrà sempre il più grande giocatore di ogni tempo..
 
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Marco Van Basten, intervistato da 7 del Corsera domani in edicola, si racconta:"A Milano mi sentivo come se fossi parte della famiglia. Insieme abbia- mo vissuto una vita intera. Mi avete visto nascere, come giocatore e come uomo. Mi avete visto crescere. E purtroppo avete visto la mia fine. Sacchi? Non c’è mai stato feeling personale tra me e lui. Non mi ha mai dato l’impressione di essere onesto nei rapporti umani. Quando non era contento di come ci allenavamo, se la prendeva con i giovani, con i più deboli, che magari invece erano in testa a tirare il gruppo. Ero convinto che sarei durato per sempre, dicevo ai miei compagni che avrei smesso a 38 anni. Depressione dopo l'addio al calcio? All’inizio non capivo. Ero troppo concentrato sul mio stare male. Mi chiedevo perché quella sofferenza dovesse toccare proprio a me. Non ho mai avuto una risposta. Quando compresi che anche la mia carriera di allenatore era arrivata al capolinea, tornai e un ragazzo mi provocò. Sei van Basten, mi disse passandomi la palla, fammi vedere cosa sai fare. Ma io ormai non potevo più muovere la caviglia. Chi era? Sono sicuro che lo conoscete. Si chiamava Zlatan, di cognome Ibrahimovic".

Un pezzo di cuore mio ha smesso di battere quando hai smesso tu,un dolore immenso quella sera d'agosto del 1995,la difficoltà ad eleborare il tutto nei mesi successivi sperando fosse solo un'incubo.
 

ilgallinaccio

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Un pezzo di cuore mio ha smesso di battere quando hai smesso tu,un dolore immenso quella sera d'agosto del 1995,la difficoltà ad eleborare il tutto nei mesi successivi sperando fosse solo un'incubo.

io ero allo stadio quel giorno. da allora ogni volta che vedo un giubotto di renna mi sale il magone e la pelle d'oca.
 

sipno

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Lui e Ronaldo (de Lima), dopo Maradona sono stati i più grandi di sempre, ed entrambi fermati da un corpo umano non adatto a supportare un DIO.
 
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io ero allo stadio quel giorno. da allora ogni volta che vedo un giubotto di renna mi sale il magone e la pelle d'oca.

Mi regalarono un giobotto di renna quando avevo 20 anni,non lo indossai mai,lo donai qualche anno dopo ad un'associazione che raccoglieva indumenti per bisognosi,il responsabile quando venne a ritirare a casa mia mi guardò allibito.
 

Route66

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io ero allo stadio quel giorno. da allora ogni volta che vedo un giubotto di renna mi sale il magone e la pelle d'oca.

Non ero allo stadio ma ho visto le immagini e subito dopo essermi ripreso dalla commozione il mio giubbotto di renna è finito in solaio e li ci rimarrà.
E' una questione d'onore e di rispetto.
 
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Marco Van Basten, intervistato da 7 del Corsera domani in edicola, si racconta:"A Milano mi sentivo come se fossi parte della famiglia. Insieme abbia- mo vissuto una vita intera. Mi avete visto nascere, come giocatore e come uomo. Mi avete visto crescere. E purtroppo avete visto la mia fine. Sacchi? Non c’è mai stato feeling personale tra me e lui. Non mi ha mai dato l’impressione di essere onesto nei rapporti umani. Quando non era contento di come ci allenavamo, se la prendeva con i giovani, con i più deboli, che magari invece erano in testa a tirare il gruppo. Ero convinto che sarei durato per sempre, dicevo ai miei compagni che avrei smesso a 38 anni. Depressione dopo l'addio al calcio? All’inizio non capivo. Ero troppo concentrato sul mio stare male. Mi chiedevo perché quella sofferenza dovesse toccare proprio a me. Non ho mai avuto una risposta. Quando compresi che anche la mia carriera di allenatore era arrivata al capolinea, tornai e un ragazzo mi provocò. Sei van Basten, mi disse passandomi la palla, fammi vedere cosa sai fare. Ma io ormai non potevo più muovere la caviglia. Chi era? Sono sicuro che lo conoscete. Si chiamava Zlatan, di cognome Ibrahimovic".

Fu il mio primo vero pianto per il calcio...il tuo addio.
 
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Marco Van Basten, intervistato da 7 del Corsera domani in edicola, si racconta:"A Milano mi sentivo come se fossi parte della famiglia. Insieme abbia- mo vissuto una vita intera. Mi avete visto nascere, come giocatore e come uomo. Mi avete visto crescere. E purtroppo avete visto la mia fine. Sacchi? Non c’è mai stato feeling personale tra me e lui. Non mi ha mai dato l’impressione di essere onesto nei rapporti umani. Quando non era contento di come ci allenavamo, se la prendeva con i giovani, con i più deboli, che magari invece erano in testa a tirare il gruppo. Ero convinto che sarei durato per sempre, dicevo ai miei compagni che avrei smesso a 38 anni. Depressione dopo l'addio al calcio? All’inizio non capivo. Ero troppo concentrato sul mio stare male. Mi chiedevo perché quella sofferenza dovesse toccare proprio a me. Non ho mai avuto una risposta. Quando compresi che anche la mia carriera di allenatore era arrivata al capolinea, tornai e un ragazzo mi provocò. Sei van Basten, mi disse passandomi la palla, fammi vedere cosa sai fare. Ma io ormai non potevo più muovere la caviglia. Chi era? Sono sicuro che lo conoscete. Si chiamava Zlatan, di cognome Ibrahimovic".

Una pugnalata avrebbe fatto meno male.
Che sorte ingrata, Cigno di Utrecht.
Pure il pantheon delle divinità era geloso del tuo immenso talento.
 
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