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Franco Ordine dal CorSport in edicola dopo il pareggio tra Milan e Cagliari
I miracoli, nel calcio, non esistono. E se esistono possono diventare una fatale suggestione. Sergio Conceiçao è il primo a saperlo. E nemmeno per un minuto, al ritorno da Riyad, ha pensato che con la sua sola presenza e l’imposizione delle mani sul capo dei suoi, è stato capace di risolvere tutti i problemi traditi dall’ultimo pezzo della stagione di Pioli e confermati puntualmente dalla prima parte della gestione Fonseca. Certo: le due rimonte contro Juve e Inter in Arabia possono fare da carburante per ridare slancio e ambizione al gruppo uscito depresso dai metodi dell’altro portoghese ma poi il calcio, in particolare quello italiano, pieno di difficoltà dietro ogni angolo, si incarica di dimostrare che non esistono appunto i miracoli e che i miglioramenti possono avvenire col tempo. Nemmeno l’applicazione, perché dell’applicazione di Milanello adesso non si può certo dubitare, può servire per cambiare completamente la cifra tecnica e anche il presente del Milan. Come spiega quasi profeticamente Zlatan Ibrahimovic, prima di cominciare, «se poi non vinci allora la Supercoppa non è servita a granché». In verità anche prima si capisce al volo dalla temperatura di San Siro che quel successo, capace di eccitare i social e anche lo stesso gruppo, non è in grado di cambiare completamente il rapporto tra tifosi e squadra. Quando Theo e Calabria portano in processione l’ultimo trofeo conquistato, si leva anche qualche fischio infatti. Lunga è ancora la traversata del deserto. E non soltanto perché resta la distanza siderale dalla cima della classifica ma soprattutto perché nelle partite in cui si ritrova davanti un rivale che si chiude bene (è il caso del Cagliari sistemato in modo militare col il suo 4-4-2), le difficoltà nel forzare quel dispositivo restano intatte a dispetto della “conversione” di Leao e di Theo al servizio completo del nuovo tecnico. Anche la scelta successiva di puntare sul doppio centravanti è l’estremo tentativo di trovare lo spiraglio nell’assalto un po’ cieco, un po’ guidato dalle ultime energie. Se poi, nell’occasione Pulisic - da sempre la musa riconosciuta dell’attacco rossonero - non trova mai la porta respinto due volte da traversa e palo o da qualche prodezza di Caprile, allora il quarto pareggio consecutivo domestico (Genoa, Juve e Roma i precedenti) non può certo consolare. Anzi può solo accentuare i rimpianti e i rimorsi perché nel frattempo il pari della Juve aveva off erto una golosa occasione alla tribù milanista. Adesso Sergio Conceiçao sa che la missione complicata affidatagli dopo Natale comincia proprio adesso quando c’è da fare i conti con lo scoramento collettivo e con qualche altro fischio della curva amica. Gli esami non fi niscono mai. Ma soprattutto i miracoli non riescono in così breve tempo.
I miracoli, nel calcio, non esistono. E se esistono possono diventare una fatale suggestione. Sergio Conceiçao è il primo a saperlo. E nemmeno per un minuto, al ritorno da Riyad, ha pensato che con la sua sola presenza e l’imposizione delle mani sul capo dei suoi, è stato capace di risolvere tutti i problemi traditi dall’ultimo pezzo della stagione di Pioli e confermati puntualmente dalla prima parte della gestione Fonseca. Certo: le due rimonte contro Juve e Inter in Arabia possono fare da carburante per ridare slancio e ambizione al gruppo uscito depresso dai metodi dell’altro portoghese ma poi il calcio, in particolare quello italiano, pieno di difficoltà dietro ogni angolo, si incarica di dimostrare che non esistono appunto i miracoli e che i miglioramenti possono avvenire col tempo. Nemmeno l’applicazione, perché dell’applicazione di Milanello adesso non si può certo dubitare, può servire per cambiare completamente la cifra tecnica e anche il presente del Milan. Come spiega quasi profeticamente Zlatan Ibrahimovic, prima di cominciare, «se poi non vinci allora la Supercoppa non è servita a granché». In verità anche prima si capisce al volo dalla temperatura di San Siro che quel successo, capace di eccitare i social e anche lo stesso gruppo, non è in grado di cambiare completamente il rapporto tra tifosi e squadra. Quando Theo e Calabria portano in processione l’ultimo trofeo conquistato, si leva anche qualche fischio infatti. Lunga è ancora la traversata del deserto. E non soltanto perché resta la distanza siderale dalla cima della classifica ma soprattutto perché nelle partite in cui si ritrova davanti un rivale che si chiude bene (è il caso del Cagliari sistemato in modo militare col il suo 4-4-2), le difficoltà nel forzare quel dispositivo restano intatte a dispetto della “conversione” di Leao e di Theo al servizio completo del nuovo tecnico. Anche la scelta successiva di puntare sul doppio centravanti è l’estremo tentativo di trovare lo spiraglio nell’assalto un po’ cieco, un po’ guidato dalle ultime energie. Se poi, nell’occasione Pulisic - da sempre la musa riconosciuta dell’attacco rossonero - non trova mai la porta respinto due volte da traversa e palo o da qualche prodezza di Caprile, allora il quarto pareggio consecutivo domestico (Genoa, Juve e Roma i precedenti) non può certo consolare. Anzi può solo accentuare i rimpianti e i rimorsi perché nel frattempo il pari della Juve aveva off erto una golosa occasione alla tribù milanista. Adesso Sergio Conceiçao sa che la missione complicata affidatagli dopo Natale comincia proprio adesso quando c’è da fare i conti con lo scoramento collettivo e con qualche altro fischio della curva amica. Gli esami non fi niscono mai. Ma soprattutto i miracoli non riescono in così breve tempo.
