Scriveva due giorni fa Filippo Maria Ricci, storico corrispondente dalla Spagna de La Gazzetta dello Sport, che, in merito alla vicenda Donnarumma, l'opinione della tifoseria madridista e non solo, captata negli ambienti dei social media, è e rimane di forte perplessità sulla opportunità per il Real, o altro clubs spagnoli, di fare l'operazione sul giovane portiere. Si osserva che si tratterebbe di un investimento eccessivo ed a rischio perché legato alla figura di Raiola, alla mutevolezza interessata della sua opinione riguardo alla posizione dei suoi assistiti, al fatto che in queste condizioni sarebbe impensabile trattenere questi giocatori oltre un periodo ragionevole di due-tre anni, prima che arrivi la pressione sul suo ulteriore trasferimento, ed al fatto che ciò contraddicerebbe l'opinione comune sulla necessità di stabile impiego dei giocatori di maggior valore come condizione per l'apertura e lo sviluppo di un ciclo di vittorie condotto da un gruppo coeso, stabile e ben identificato, opinione avvaloratasi sulla constatazione della incidenza che tali componenti avrebbero avuto nei successi continui del Real di questi anni, ovvero di un club storicamente abituato a logiche di banderuola nella costruzione della prima squadra. Insomma, i giocatori di Raiola sarebbero considerati a rischio in ragione del loro procuratore. Il mondo non è sufficientemente grande da impedire agli altri di pensare allo stesso modo di quel che pensano in questi giorni i tifosi rossoneri su questo agente e sul suo modo di fare affari da sempre nel mondo del calcio. Raiola deve fare un serio ragionamento su questo, la vicenda Donnarumma, un fallimento strategico senza precedenti, rischia di travolgerlo definitivamente sul piano della reputazione professionale e nel rapporto con tutti i clubs con cui da sempre collabora. La logica freddamente cinica e iperprofessionale, che domina i suoi comportamenti, manca totalmente di visione sull'impatto sociale, di consenso, delle sue scelte, che è invece un aspetto su cui puntano in modo progressivamente crescente i suoi assistiti ed i clubs con cui tratta. Immagine e consenso, infatti, alimentano il ricchissimo mercato degli investimenti pubblicitari di cui si nutre il mondo dello sport, ed a cui nessun campione rinuncia preventivamente, anche per le sue ricadute nella composizione dell'ingaggio con i clubs. Il caso di Donnarumma è dolorosamente unico ed emblematico sotto tale punto di vista, perché colpisce un giocatore che, nella costruzione della immagine che intende vendere al mercato, allo stato non può contare su una reputazione di successi sportivi, ma solo appunto sulla immagine irresistibile di giovanissimo talento immacolato, cresciuto nel settore giovanile di un grandissimo club di cui è tifoso dall'infanzia, ed in cui debutta in età adolescenziale. Una immagine che è stata ampiamente polverizzata da comportamenti apparsi con essa incompatibili. Ciò preoccupa il suo entourage, e con esso i suoi agenti, oltre modo stretti da una situazione contrattuale assurda ed inconcepibile che, ove effettivamente operante, potrebbe avere effetti deflagranti sul rapporto tra il giocatore e gli agenti stessi. Sono questi gli elementi di riflessione che dovrebbero, e probabilmente condurranno, ad un passo indietro dal vico cieco in cui si è cacciata l'intera situazione, che è in primis un passo di Mino Raiola, che solo ora comprende come in gioco ci sia non solo, e più di quanto non si pensi, la sua procura da Donnarumma family, ma soprattutto la sua collocazione futura in quel mondo che lo ha reso celebre e molto, molto ricco.