non è questione di balie si tratta di vivere un anno lontani da casa con gente che ha abitudini e idee diverse dalle tue e con le quali volente o nolente devi condividere esperienze che possono aiutarti a maturare e a rispettare il prossimo, tutto qua
Ho distribuito vari like perché molti interventi avevano spunti interessanti.
Questo tuo intervento è un po' la sintesi della mia idea che vado a specificare.
Nell'Italia anni 60-70-80 e inizio 90 la naja era, fra le altre cose, un modo per conoscere ragazzi di altre regioni, anche opposte.
Era un elemento di integrazione e conoscenza dell'altro ed in un certo modo del diverso da te.
Scrivo da polentone brianzolo che ha fatto la naja quando la Lega Lombarda ancora non dilagava oltre i confini regionali.
Erano i primi anni in cui in alcuni paesotti di provincia arrivavano i primi immigrati meridionali. Non bene accolti.
Quindi a naja ti ritrovavi a convivere con siciliani, campani etc etc ed i tuoi pregiudizi ne uscivano rafforzati o attenuati dalla conoscenza diretta e prolungata.
Perché poi, oltre alla frattura Nord/Sud, se eri abbastanza acculturato ed orbitavi fin da giovane attorno ad una grande città come Milano, affrontavi anche la frattura fra gente di città e gente di campagna/montagna in maniera molto forte. Molto più forte di quanto non avessi già provato fra Milano e provincia.
Venire a contatto con Bresciani (i bergamaschi li conoscevo già), Veneti, Friulani, Liguri, Sardi. Eh! anche loro erano un mondo da scoprire, eh!
Ho sempre fatto vacanze in campeggio in Toscana, ma non è la stessa cosa della naja.
Mi sorprende un po' Dexter per la sua avversione al sistema Esercito. Avrà le sue conoscenze dirette ed esperienze negative, ma non estremizzerei. Io però ammetto di non averne avute di recente.
@gabri quella dei sottufficiali che uscivano dalle caserme con le macchine cariche, che spesso avevano il negozietto in cui vendevano i prodotti forniti dall'Esercito.
Si, sono cose vere.
Ma ricordiamoci che nel trattamento economico avevano diritto a queste "Spettanze", erano legali in una certa misura. Che poi qualcuno se ne approfittasse e sottraesse alla caserma ed ai militari più di quanto gli fosse dovuto è il solito malaffare italiano.
E qui ritorno un po' a Dexter. L'esercito, i politici, sono lo specchio dell'Italia. Trovi il meglio, il medio ed il peggio.
Ho avuto un Sergente Maggiore abruzzese. Un fanatico, paranoico delle intercettazioni nemiche, (squadra trasmissioni in periodo di guerra fredda e muro di Berlino al suo posto).
Ma aveva un culto del lavoro, del rispetto dei materiali usati e forniti, che ci inculcava ogni giorno (non che un 19enne di allora morisse dalla voglia di passare ore ed ore a lucidare ed applicare protettivi alle antenne dipolo dopo un campo, eh!).
Vari fanatici fra i sottufficiali. "Darei 10 anni della mia vita per 10 minuti di vera guerra".
"Intimare "alto là, chi va là" due volte, prima di aggiungere "fermo o sparo" alla terza volta, è una caxxata. Qui siamo in Ein Tirol, Ein Tritol, i locali separatisti ti tirano bombe e quindi, se l'intruso non si fa riconoscere già dopo la prima volta, voi camerate il colpo.
I suicidi c'erano anche allora, fra gente non pronta ad accettare una normale disciplina militare perché cresciuta col **** nella bambagia. Ma c'erano suicidi anche fra ragazzi presi di mira da un "nonnismo" molto duro (vessazioni degli anziani sulle reclute degli scaglioni successivi). Fra le cause di abolizione della leva su pressione delle mamme italiane.
Era un momento di passaggio, se non eri pronto facevi carte false per evitarlo (Da una parte i sani, normodotati o addirittura culturisti, figli del cummenda, raccomandati alla visita di leva che soffrivano di malattie inesistenti e venivano scartati. Dall'altra, a Como, alla mia visita di leva i medici militari, (incerti?), hanno fatto camminare avanti e indietro per decine di minuti un ragazzo in mutande che come minimo aveva una poliomielite. Lo volevano arruolare? Pensavano fingesse? Solita Italia.
Era anche periodo in cui molti di quelli che venivano a casa in licenza si schiantavano in auto. Era un anticipo delle stragi del sabato sera. Quanti ragazzi sono venuti a mancare...
Di base, lo slogan politico con cui si chiuse quell'esperienza fu "No alla naja per dire no alla noia". I primi mesi fra C.A.R. iniziale (centro addestramento reclute) e caserma di destinazione finale (Corpo) erano mesi di continui cambiamenti. Poi però gli ultimi mesi non imparavi niente e facevi il conto alla rovescia.
Ho vissuto il momento di passaggio dal "nonnismo" al "tubismo", dalle vessazioni dei nonni che avevano iniziato la naja pochi mesi prima di te, alle disobbedienze delle reclute che avevano iniziato pochi mesi dopo di te.
Si era insomma passati dalla disciplina più estrema, alla minaccia di denuncia da parte di "lavativi" cui non potevi assegnare nessun compito. Era l'inizio dei soli diritti e nessun dovere.
Sto sistemando le cose del mio defunto suocero. A circa 18 anni "fuggì" di casa e si arruolò in Marina (ma credo che avesse comunque avuto bisogno della controfirma del padre). Ne uscì sottufficiale, con una formazione tecnica da perito che in quegli anni ('60) era oro.
Ad un ripristino della leva con scopi di integrazione, formazione tecnica e ovviamente educazione civica e disciplina non direi di no. Servirebbe a italiani viziati e nuovi italiani. Ma sono vecchio e pessimista.