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Inchiesta del settimanale L'Espresso sulla cessione del Milan ai cinesi. Il settimanale titola:"Lo strano caso della vendita del Milan" e mette in risalto le stranezze riguardanti la cessione: dall'identità dei cinesi che è ancora un mistero ai conti del club che peggiorano di anno in anno. E non si dà nemmeno per certo che il closing arriverà il prossimo 3 marzo, visto che la situazione sembra molto precaria.
Considerato che serve l'abbonamento per visualizzarlo, in via del tutto eccezionale lo riportiamo completamente, di seguito:
Dalla rivoluzione permanente di Lev Trockij alla vendita permanente del Milan ai maoisti cinesi, Silvio Berlusconi diventa comunista a vista d’occhio. Il gioco delle caparre in arrivo da Hong Kong ha tenuto banco negli ultimi giorni, dopo la precedente miniserie del vendo-non vendo a ridosso del referendum. In vista del secondo anniversario dall’inizio della trattativa sul club, gli elementi certi del giallo rossonero sono pochi anche per chi segue da vicino il negoziato.
Contrariamente a quanto divulgato, in Fininvest non sanno chi sono le persone fisiche rappresentate dalla sigla del fondo Sino Europe, candidato all’acquisto. L’unica certezza è che la squadra va ceduta, soprattutto in un contesto di partecipazioni che hanno smesso di produrre utili a valanga, con l’eccezione di Banca Mediolanum che però è stata in maggioranza girata alla famiglia Doris, e con un takeover ostile di Vivendi su Mediaset che rischia di assorbire parecchie risorse.
Quindi vendere, e venderemo. Il problema resta sempre a chi. Fonti della trattativa sostengono che il contratto proposto da Fininvest per la cessione del club è rimasto identico nonostante l’avvicendarsi dei potenziali compratori. Chi è interessato all’acquisto oggi ha davanti le stesse clausole che ha avuto di fronte la cordata rappresentata da Sal Galatioto e Nicholas Gancikoff, usciti dall’affare in estate senza mezza parola di spiegazione.
Naturalmente anche la struttura finanziaria è identica e peserebbe come un macigno anche per imprenditori più strutturati degli ignoti di Sino Europe Sports. In sintesi, per comprare il Milan ci vogliono 520 milioni di euro, più 220 milioni di euro di debiti, più 100 milioni di euro da immettere subito nelle casse della squadra su un budget triennale di 350 milioni, più un costo di gestione mensile per la squadra che viaggia fra i 12 e i 14 milioni di euro. Alla fine, il takeover totale ha un costo vicino a 1 miliardo di euro soltanto per il primo anno di gestione: è la cifra che Berlusconi si riproponeva di ottenere fin dall’inizio.
In questo senso, dal punto di vista della Fininvest, questi due anni non sono trascorsi invano perché hanno fissato un valore d’impresa che potrà servire da riferimento per ulteriori trattative, se il closing del 3 marzo non andrà a buon fine.
La contabilità del negoziato merita qualche osservazione supplementare. I conti del club rossonero restano in forte sbilancio e con problemi di cassa. Per la prima volta nella storia del Milan berlusconiano, fra settembre e ottobre ci sono stati ritardi nei pagamenti ai fornitori. Qualche settimana e nulla più. Ma dopo 31 anni di fatture puntuali la circostanza non è passata inosservata.
L’altro elemento di rilievo è l’esposizione del Milan verso le banche. In una situazione di mercato del credito com’è quella italiana, nessun istituto vede di buon occhio la sostituzione di un debitore solido come Fininvest con un gruppo di investitori dall’identità incerta. È questo il motivo per cui vengono tirate in ballo come soci della cordata numerose banche pubbliche o semipubbliche della Repubblica popolare. Le indiscrezioni più recenti hanno ipotizzato l’intervento di una imprecisata istituzione finanziaria europea come garante dei capitali cinesi. Ma per convincere le banche italiane ci vorrà qualcosa di più solido di un’ipotesi. In caso contrario, i successori di Berlusconi potrebbero dover rientrare dai fidi pronta cassa.
La difficoltà a identificare i nuovi soci del Milan ha contribuito alla diffusione di voci su un negoziato come possibile voluntary disclosure del Cavaliere a se stesso, per di più a rate da 100 milioni di euro. Sono voci che valgono quanto altre circolate in questo closing interruptus partito all’inizio del 2015 e promosso con personaggi inconsistenti come Bee Taechaubol per tenere occupata la scena mediatica in una fase di appannamento del Berlusconi politico.
In Procura a Milano c’è una storia di duelli con il Milan nata ai tempi d’oro del club con le inchieste sui pagamenti estero su estero finite in prescrizione. Ma nessuno sembra interessato ad approfondire la pista del fondo cinese e per un ottimo motivo. Non c’è alcuna speranza di identificare chi investe in un veicolo come Sino Europe spedendo soldi dai conti bancari della Rossoneri Sport Investment (11 milioni di euro di capitale) e della Rossoneri Champion (11 centesimi di euro di capitale), due società di Hong Kong costituite il 28 giugno e il 26 settembre. Entrambe sono amministrate da Chen Huashan, il manager di Sino Europe, sconosciuto anche in Cina.
Se questo è il quadro finanziario, l’amministrazione ordinaria del club è altrettanto intricata. La gestione condivisa del club fra Fininvest e cinesi è la fotocopia della fallita gestione ad interim di Mediaset fra il Biscione e i francesi di Vivendi.
Non deve finire per forza altrettanto male, però è un fatto che nella storia del management del calcio professionistico i casi di cogestione sono rari e poco fortunati, a maggior ragione nel one man-show rossonero dove per circa 31 anni il proprietario ha deciso tutto, dalle divise al modulo in campo.
I cinesi condivideranno poco o nulla del calciomercato invernale. Naïf come in Italia non è neppure un ragazzo degli Allievi regionali, avevano chiesto di escludere i procuratori dalle trattative, una cosa che nel calcio moderno è semplicemente irrealizzabile.
C’è un’altra condivisione che incombe. Dopo la gravidanza l’altro amministratore delegato del Milan, Barbara Berlusconi, è di nuovo operativa. I suoi rapporti con l’ad anziano Adriano Galliani non dovrebbero cambiare tonalità dopo che la vecchia guardia ha approfittato dell’assenza di lady B per riprendersi la squadra, con discreti risultati in campo e con l’emarginazione di alcuni collaboratori eccellenti targati Barbara come Geronimo La Russa, figlio di Ignazio.
A dispetto dei proclami di collaborazione, i due fronti non si sono mai saldati. Galliani continua a dire che uscirà quando glielo dirà Silvio. Barbara, dal suo buen retiro di Villa Belvedere a Macherio, ha esposto il suo programma ai fedelissimi in questi termini: restare al Milan un secondo in più di Galliani. E il vaso di coccio Marco Fassone, ad in pectore per conto di Sino Europe, per ora non vede la palla.
Considerato che serve l'abbonamento per visualizzarlo, in via del tutto eccezionale lo riportiamo completamente, di seguito:
Dalla rivoluzione permanente di Lev Trockij alla vendita permanente del Milan ai maoisti cinesi, Silvio Berlusconi diventa comunista a vista d’occhio. Il gioco delle caparre in arrivo da Hong Kong ha tenuto banco negli ultimi giorni, dopo la precedente miniserie del vendo-non vendo a ridosso del referendum. In vista del secondo anniversario dall’inizio della trattativa sul club, gli elementi certi del giallo rossonero sono pochi anche per chi segue da vicino il negoziato.
Contrariamente a quanto divulgato, in Fininvest non sanno chi sono le persone fisiche rappresentate dalla sigla del fondo Sino Europe, candidato all’acquisto. L’unica certezza è che la squadra va ceduta, soprattutto in un contesto di partecipazioni che hanno smesso di produrre utili a valanga, con l’eccezione di Banca Mediolanum che però è stata in maggioranza girata alla famiglia Doris, e con un takeover ostile di Vivendi su Mediaset che rischia di assorbire parecchie risorse.
Quindi vendere, e venderemo. Il problema resta sempre a chi. Fonti della trattativa sostengono che il contratto proposto da Fininvest per la cessione del club è rimasto identico nonostante l’avvicendarsi dei potenziali compratori. Chi è interessato all’acquisto oggi ha davanti le stesse clausole che ha avuto di fronte la cordata rappresentata da Sal Galatioto e Nicholas Gancikoff, usciti dall’affare in estate senza mezza parola di spiegazione.
Naturalmente anche la struttura finanziaria è identica e peserebbe come un macigno anche per imprenditori più strutturati degli ignoti di Sino Europe Sports. In sintesi, per comprare il Milan ci vogliono 520 milioni di euro, più 220 milioni di euro di debiti, più 100 milioni di euro da immettere subito nelle casse della squadra su un budget triennale di 350 milioni, più un costo di gestione mensile per la squadra che viaggia fra i 12 e i 14 milioni di euro. Alla fine, il takeover totale ha un costo vicino a 1 miliardo di euro soltanto per il primo anno di gestione: è la cifra che Berlusconi si riproponeva di ottenere fin dall’inizio.
In questo senso, dal punto di vista della Fininvest, questi due anni non sono trascorsi invano perché hanno fissato un valore d’impresa che potrà servire da riferimento per ulteriori trattative, se il closing del 3 marzo non andrà a buon fine.
La contabilità del negoziato merita qualche osservazione supplementare. I conti del club rossonero restano in forte sbilancio e con problemi di cassa. Per la prima volta nella storia del Milan berlusconiano, fra settembre e ottobre ci sono stati ritardi nei pagamenti ai fornitori. Qualche settimana e nulla più. Ma dopo 31 anni di fatture puntuali la circostanza non è passata inosservata.
L’altro elemento di rilievo è l’esposizione del Milan verso le banche. In una situazione di mercato del credito com’è quella italiana, nessun istituto vede di buon occhio la sostituzione di un debitore solido come Fininvest con un gruppo di investitori dall’identità incerta. È questo il motivo per cui vengono tirate in ballo come soci della cordata numerose banche pubbliche o semipubbliche della Repubblica popolare. Le indiscrezioni più recenti hanno ipotizzato l’intervento di una imprecisata istituzione finanziaria europea come garante dei capitali cinesi. Ma per convincere le banche italiane ci vorrà qualcosa di più solido di un’ipotesi. In caso contrario, i successori di Berlusconi potrebbero dover rientrare dai fidi pronta cassa.
La difficoltà a identificare i nuovi soci del Milan ha contribuito alla diffusione di voci su un negoziato come possibile voluntary disclosure del Cavaliere a se stesso, per di più a rate da 100 milioni di euro. Sono voci che valgono quanto altre circolate in questo closing interruptus partito all’inizio del 2015 e promosso con personaggi inconsistenti come Bee Taechaubol per tenere occupata la scena mediatica in una fase di appannamento del Berlusconi politico.
In Procura a Milano c’è una storia di duelli con il Milan nata ai tempi d’oro del club con le inchieste sui pagamenti estero su estero finite in prescrizione. Ma nessuno sembra interessato ad approfondire la pista del fondo cinese e per un ottimo motivo. Non c’è alcuna speranza di identificare chi investe in un veicolo come Sino Europe spedendo soldi dai conti bancari della Rossoneri Sport Investment (11 milioni di euro di capitale) e della Rossoneri Champion (11 centesimi di euro di capitale), due società di Hong Kong costituite il 28 giugno e il 26 settembre. Entrambe sono amministrate da Chen Huashan, il manager di Sino Europe, sconosciuto anche in Cina.
Se questo è il quadro finanziario, l’amministrazione ordinaria del club è altrettanto intricata. La gestione condivisa del club fra Fininvest e cinesi è la fotocopia della fallita gestione ad interim di Mediaset fra il Biscione e i francesi di Vivendi.
Non deve finire per forza altrettanto male, però è un fatto che nella storia del management del calcio professionistico i casi di cogestione sono rari e poco fortunati, a maggior ragione nel one man-show rossonero dove per circa 31 anni il proprietario ha deciso tutto, dalle divise al modulo in campo.
I cinesi condivideranno poco o nulla del calciomercato invernale. Naïf come in Italia non è neppure un ragazzo degli Allievi regionali, avevano chiesto di escludere i procuratori dalle trattative, una cosa che nel calcio moderno è semplicemente irrealizzabile.
C’è un’altra condivisione che incombe. Dopo la gravidanza l’altro amministratore delegato del Milan, Barbara Berlusconi, è di nuovo operativa. I suoi rapporti con l’ad anziano Adriano Galliani non dovrebbero cambiare tonalità dopo che la vecchia guardia ha approfittato dell’assenza di lady B per riprendersi la squadra, con discreti risultati in campo e con l’emarginazione di alcuni collaboratori eccellenti targati Barbara come Geronimo La Russa, figlio di Ignazio.
A dispetto dei proclami di collaborazione, i due fronti non si sono mai saldati. Galliani continua a dire che uscirà quando glielo dirà Silvio. Barbara, dal suo buen retiro di Villa Belvedere a Macherio, ha esposto il suo programma ai fedelissimi in questi termini: restare al Milan un secondo in più di Galliani. E il vaso di coccio Marco Fassone, ad in pectore per conto di Sino Europe, per ora non vede la palla.