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Le correnti in casa Milan non agitano solo una squadra in crisi ma turbano la fiducia dei tifosi nella nuova proprietà e di quest’ultima verso l’area tecnica, di cui si mette apertamente in discussione la pianificazione di una stagione fin qui deludente. Sfumati gli obiettivi stagionali, il quarto posto l’ultimo appiglio fonddamentale perché da esso dipendono 50 milioni di ricavi, tra diritti UEFA e incassi delle gare casalinghe. I tifosi imputano alla proprietà la mancanza di extra budget per un mercato di gennaio da cui si aspettavano rinforzi per una rosa in evidente difficoltà. D’altro canto, però, il Milan è la società che ha speso di più nella stagione in corso: 50 milioni il saldo tra acquisti e cessioni. Ha pure rinnovato diversi pilastri della rosa (Tomori, Kalulu, Bennacer) blindandoli a cifre ben superiori all’anno scorso ed il monte stipendi è in ascesa anche per questo. Ogni volta che un big rinnova, i tifosi tirano un sospiro di sollievo ma il conto economico subisce un piccolo contraccolpo. Nessuno in via Aldo Rossi si lamenta di questo, beninteso, ma la gestione di un club uscito dalle forche caudine del Fair Play Finanziario (unico in Italia ad aver subito un provvedimento di esclusione dalle coppe) deve tener conto di questi fattori. Nel braccio di ferro estivo per il rinnovo dei loro contratti, Maldini e Massara posero la condizione dell’autonomia nelle scelte di mercato. «Dateci un budget - dissero -0 nel cui ambito vogliamo l’ultima parola sulle scelte tecniche». Ottenuto il budget ed avendolo esaurito nel mercato estivo, assorbito per tre quarti dalla scommessa su un solo giocatore (De Ketelaere) molto giovane e potenzialmente rischioso, il resto del mercato è parso una ricerca affannosa per riempire a costi contenuti le caselle vuote, alcune delle quali sono rimaste aperte. Il risultato, per ora, è impietoso: nessuno dei nuovi ha un posto da titolare nel roster di Pioli. Giocano sempre gli stessi e il gruppo non è cresciuto, beneficiando dell’innesto di forze nuove. Quindi il gioco è diventato prevedibile e molti titolari si sono rilassati, forse per scarsa concorrenza. Una dinamica molto tipica nella gestione dei gruppi, non solo quelli sportivi.
Nei giorni scorsi ha fatto un certo rumore la notizia, rilan-ciata da Repubblica, del presunto impegno che Investcorp avrebbe preso, nella famosa trattativa con Elliott: investire 300 milioni sul mercato. Impegno di cui non si trova traccia nelle carte dell’operazione messa sul tavolo dal gruppo mediorientale anche perché Investcorp è un fondo mosso dalle stesse logiche finanziarie di chi l’ha preceduto e di chi invece (RedBird) ha chiuso l’operazione. Inoltre, un investimento così colossale avrebbe comportato l’esplosione dei costi della rosa: ammortamenti e stipendi. Proprio mentre tutti devono prestare massima attenzione ai nuovi parametri del Fair Play Finanziario che fissano un tetto (70%) al rapporto costi/ricavi. Evidente quindi che il Milan (come nessun altro club italiano) non avrebbe potuto affrontare simili investimenti perché la sua struttura dei ricavi (300 milioni nel 2021/22) non li supporta. Tornando su cifre terrene, l’unico modo per dilatare i budget di mercato è lavorare sui ricavi e tra questi manca da anni al Milan una voce importante: il player trading. Da tre anni non vende quasi nessuno anzi 4 titolari (Donnarumma, Çalhanoglu, Kessie, Romagnoli) sono partiti a zero. Per ragioni diverse, certo, per motivi diversi (tra tutti, quello di non assecondare richieste esorbitanti) ma nessun club oggi, neppure il City, prescinde da un ricambio costante di elementi importanti della rosa. Per ragioni tecniche ma anche finanziarie. Sarebbero bastate un paio di cessioni, ad esempio, per allargare il budget del mercato 2022/23, dai 50 sbloccati grazie alla crescita dei ricavi del club, a 100 oppure di più. Cifre che avrebbero consentito ampi margini di manovra e pure di assorbire serenamente una scommessa difficile come il trequartista belga. Nei rapporti tra proprietà e area tecnica queste valutazioni peseranno certamente perché il problema del Milan non è finanziario ma organizzativo. In questi mesi non si attendono rivoluzioni, né cambi clamorosi. Pioli, per esempio, non è in discussione. Ma a giugno verrà certamente il momento di ripensare l'asset organizzativo
Nei giorni scorsi ha fatto un certo rumore la notizia, rilan-ciata da Repubblica, del presunto impegno che Investcorp avrebbe preso, nella famosa trattativa con Elliott: investire 300 milioni sul mercato. Impegno di cui non si trova traccia nelle carte dell’operazione messa sul tavolo dal gruppo mediorientale anche perché Investcorp è un fondo mosso dalle stesse logiche finanziarie di chi l’ha preceduto e di chi invece (RedBird) ha chiuso l’operazione. Inoltre, un investimento così colossale avrebbe comportato l’esplosione dei costi della rosa: ammortamenti e stipendi. Proprio mentre tutti devono prestare massima attenzione ai nuovi parametri del Fair Play Finanziario che fissano un tetto (70%) al rapporto costi/ricavi. Evidente quindi che il Milan (come nessun altro club italiano) non avrebbe potuto affrontare simili investimenti perché la sua struttura dei ricavi (300 milioni nel 2021/22) non li supporta. Tornando su cifre terrene, l’unico modo per dilatare i budget di mercato è lavorare sui ricavi e tra questi manca da anni al Milan una voce importante: il player trading. Da tre anni non vende quasi nessuno anzi 4 titolari (Donnarumma, Çalhanoglu, Kessie, Romagnoli) sono partiti a zero. Per ragioni diverse, certo, per motivi diversi (tra tutti, quello di non assecondare richieste esorbitanti) ma nessun club oggi, neppure il City, prescinde da un ricambio costante di elementi importanti della rosa. Per ragioni tecniche ma anche finanziarie. Sarebbero bastate un paio di cessioni, ad esempio, per allargare il budget del mercato 2022/23, dai 50 sbloccati grazie alla crescita dei ricavi del club, a 100 oppure di più. Cifre che avrebbero consentito ampi margini di manovra e pure di assorbire serenamente una scommessa difficile come il trequartista belga. Nei rapporti tra proprietà e area tecnica queste valutazioni peseranno certamente perché il problema del Milan non è finanziario ma organizzativo. In questi mesi non si attendono rivoluzioni, né cambi clamorosi. Pioli, per esempio, non è in discussione. Ma a giugno verrà certamente il momento di ripensare l'asset organizzativo