Tutti i campionati più evoluti a livello di marketing, di commerciale e di seguito partono dal presupposto del principio della montagna di stampo USA, secondo cui chi sta in basso deve essere "aiutato" a salire con meccanismi democratici (salary cap e draft su tutti).
Il beneficio che questa mossa avrà per tutto il campionato di serie A sarà enorme, a dispetto anche degli ottusi juventini che pensano che meno soldi per loro significhi meno possibilità di vittorie come se lo sport sia vincere a prescindere e non il gusto di battere avversari che competono a parità di armi con te.
Il falso problema delle 20 squadre è un palliativo, è come curare il mal di pancia da stress con l'aspirina o l'impotenza sessuale andando a letto con una donna più bella. Il problema non sono le 20 squadre, ma quello che loro hanno nei confronti delle prime, cioè il famigerato parametro "first to last" che è il rapporto tra quanto prende la prima rispetto all'ultima.
In Inghilterra è da anni sotto il 2, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti perché anche nel mercato interno domanda e offerta in Premier sono continuamente alimentati con benefici per tutti. Nella classifica del fatturato le 20 squadre di Premier, grazie al contratto televisivo che non è casuale ma frutto di legalità (parte da lontano) e soprattutto di quella competitività democratica che deriva dalla ripartizione, sono tutte nei primi 40 posti assoluti.
In Germania, pur penalizzati da regole di Stato, sono anche loro da tempo sotto il 2.
Ed ora ci sono arrivati persino in Spagna, che dopo gli anni della contrattazione individuale che ha creato i mostri Real e Barca hanno iniziato un percorso per riequilibrare quei fattori.
Eravamo rimasti solo noi fessi, con la prima a 105 e l'ultima a 20, in un mefistofelico rapporto first to last di 5 che crea ovviamente i mostri che vediamo oggi ben rispecchiati dalla classifica, al netto dell'Atalanta eroica di turno che indovina programmazione e stagione.
Sono l'ultimo a favore di concetti come la ridistribuzione della ricchezza, ma nello sport, se si vuole veramente avere competizione, interesse e soprattutto merito, non si può fare a meno di una distribuzione democratica per permettere a tutti di competere e dimostrare il loro valore.
perfetto sono completamente d'accordo. Non sono 16 milioni poi che fanno la differenza.