Boh io non sono d'accordo, ok che sei vivo e tutto il resto, però guarda il lato psicologico della cosa, non hai un padre, o se ce l hai sai che è una bestia immonda, tua madre ti schifa (non penso che una madre possa amare un figlio nato così) e ti senti un figlio non voluto, se tu riesci a superarla psicologicamente e non dare peso a questa cosa tanto di cappello, io non ce la farei.
Pensa ai natali, ai compleanni, alla feste in generale con che stato d'animo potrebbe viverle, per non parlare delle domande sui tuoi a cui ti vergogneresti di rispondere
Il punto però è che se tu non vuoi vivere, ti butti dal terrazzo e te ne vai al Creatore. Ma lo decidi tu, per te stesso.
L'aborto è una questione delicata, perché stai arrogando al genitore il diritto alla vita o alla morte di una persona.
Praticamente è come se stessi legalizzando l'omicidio. Stai dicendo che se il bimbo è in grembo allora va bene farlo fuori, però una volta partorito, se gli fai fare la fine del piccolo Samuele, non va più bene.
Se io non voglio un figlio e questo è in grembo posso ucciderlo, mentre se non voglio che mia figlia vesta occidentale e la accoltello, allora sono un criminale? Chi stabilisce la futilità dei motivi? E su che base?
A mio modo di vedere sono entrambi futili motivi.
Uccidere non è MAI un diritto, e non può essere MAI considerato tale, perché porta a creare un precedente oltre il quale la linea di demarcazione tra diritto e reato diventa sempre più labile.
Va considerato omicidio in entrambi i casi.
E chiunque abortisca non è mai più la stessa persona. MAI.
Si è tolta una vita. E anche se si cerca di inventare tutte le scuse di questo mondo, l'idea che si è ammazzato una creatura indifesa non la toglierà mai nessuno dalla propria mente. Perché siamo esseri umani dotati di empatia e di emozioni.
Poi, una volta assodato ciò, possiamo capire che ci sono anche situazioni al limite di cui tener conto.
Un esempio è il parto che mette a rischio la vita della mamma. Qui allora si può discutere e considerarla un'eccezione, ma solo perché di fatto, in un caso e nell'altro, c'è una vita che muore. Qui puoi lasciare al genitore e all'equipe medica, l'arduo compito, sulla base del quadro clinico, che deve portare ad una scelta ponderata e consapevole.
O un altro caso è un bambino che non può tecnicamente sopravvivere, a causa di malformazioni gravi o malattie congenite che lo condanneranno a morte di lì a breve, magari con sofferenze indicibili da sopportare per quella piccola creatura.
Sia chiaro, anche in quel caso di fatto è un omicidio. Ma sono motivi ben più seri del
volevo saltare sul pisello di quel bell'uomo e mi ci è scappato un figlio, oppure,
volevo buttarlo dentro perché la tipa mi attizzava e sono finito col diventare papà.
La questione semmai è che bisogna spronare, in caso di gravidanze non consensuali (stupro), alla perdita di maternità e all'affido ai servizi sociali del neonato.
In sostanza, non uccidere, ma rinunciare al ruolo genitoriale per quel figlio, in quanto essendo il rapporto sessuale non consensuale, non si ha l'obbligo di considerare il bambino come proprio.
Diverso, in caso di rapporto consensuale e di assenza di situazioni limite. In tal caso, il figlio è tuo e te lo tieni. Come già avviene per le responsabilità del padre, che in Italia, per l'appunto, non prevedono il non riconoscere il proprio figlio, e non contemplano l'idea dell'errore durante un rapporto sessuale, che per sua natura ha conseguenze procreative.