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Nella provincia di Piacenza il coronavirus ha colpito molto ed in proporzione agli abitanti senza eguali.
C'è però un medico,il primario di oncologia Luigi Cavanna,che ha trovato un approccio diverso da puntare sull'ospedalizzazione passato con il nome di "metodo Piacenza"
Ha raccontato in esclusiva a Il Giornale:
"All’inizio si pensava fosse una infezione virale, forse più brutta dell’influenza, ma nulla di così rilevante.
Poi ci siamo resi conto che invece è una malattia drammaticamente seria
Il paziente deve essere trattato tempestivamente e questo vuol dire che va curato a casa
Se torniamo indietro nel tempo, ricorderete che tutte le televisioni, nazionali o locali, facevano questa raccomandazione agli italiani: state a casa e non andate al Pronto soccorso. Il problema è che diverse persone hanno seguito il consiglio assumendo solo tachipirina e alla fine non riuscivano più a respirare, chiamavano il 118 e arrivavano di corsa in ospedale
Il virus all'inizio si moltiplica, poi innesca una risposta immunitaria dell'organismo che determina una infiammazione che distrugge gli alveoli dei polmoni
Quando il danno è fatto, è difficilmente recuperabile.
È per questo che poi tante persone non ce l’hanno fatta
Lavoro in oncologia ed ematologia, reparti abituati a confrontarsi con la sofferenza e la morte
Ma in quei giorni ho avuto l'impressione ci trovassimo di fronte a qualcosa mai visto prima.
Faceva paura, talmente tanti erano i malati in quei lettini di fortuna.
Le ambulanze arrivavano in fila a portare altri pazienti, io mi guardavo intorno, incrociavo gli occhi dei colleghi. Avevamo la percezione di non farcela
Nelle riunioni cercavamo sempre di aumentare i posti nelle emergenze e nelle rianimazioni, ma poi abbiamo capito che questa è una infezione virale che ti lascia del tempo per intervenire.
Non è un ictus, un infarto o un arresto cardiaco che colpiscono in pochi minuti o in pochi secondi: ti lascia una settimana o anche 10-15 giorni
Ci siamo detti: cerchiamo di andare nelle case, non solo per la semplice visita ai malati, ma con tutto l’occorrente per curare la malattia tempestivamente"
Così il 1° marzo Cavanna e un infermiere iniziano il loro tour a domicilio.
Sono spedizioni diverse da quelle realizzate da altre Unità speciali (Usca) in Italia.
Non vanno solo a visitare il paziente a casa o a fare il tampone, sono lì per curarlo come se fossero in ospedale.
Con loro portano i Dpi, un termometro, i palmari per realizzare l’ecografia sul posto, un saturimetro, il tampone e un kit di farmaci già pronti all'uso.
Compresa l’idrossiclorochina, già usata contro Sars e malaria.
"Se l'ecografia toracica è dubbia e mostra polmoniti interstiziali dopo aver chiesto il consenso del paziente, consegniamo i farmaci e gli diciamo:
'Lei inizi la terapia, anche in attesa del risultato del tampone'. Alle persone che presentano polmoniti severe lasciamo anche l'ossigeno.
Poi ogni giorno i pazienti ci comunicano i dati della propria saturazione, in modo da poterli monitorare dall'ospedale".
I primi esperimenti Cavanna li porta avanti (quasi) da solo.
Poi dal 15 marzo l'Ausl piacentina si organizza e mette in pieni alcune Usca dedicate allo scopo.
"La prima fu una paziente oncologica, una signora che vive da sola
Era entrata al pronto soccorso con la febbre, la tac aveva evidenziato una polmonite interstiziale, ma lei aveva atteso lì per dieci ore. Poi aveva firmato la cartella, chiamato un taxi e si era fatta portare indietro.
Il giorno dopo mi ha chiamato dicendomi: 'Io sono a qui, da sola, sto male. O mi venite a visitare a casa o io muoio'. Lei cosa avrebbe fatto?
Il dramma di questa infezione è che ha abituato gli italiani a morire da soli.
Veder arrivare due sanitari a portare dei farmaci, che lasciano un numero di telefono da chiamare, un saturimetro e ti spiegano cosa fare, per loro era già una mezza salvezza.
A me questo ha messo in crisi, perché i malati in un Paese evoluto non dovrebbero mai avere la percezione di sentirsi abbandonati"
La cura "precoce" e "a domicilio" si rivela da subito molto efficace.
Le persone non peggiorano, guariscono prima e soprattutto non muoiono.
Presto i risultati degli studi sul "metodo Piacenza" saranno pubblicati su una rivista per dare informazioni alla comunità scientifica.
Su 250 pazienti curati a domicilio, le posso dire che nessuno di loro è morto.
Né a casa né in ospedale.
Di questi, è stato ricoverato meno del 5% e tutti sono tornati a casa, di cui la metà entro pochi giorni
Per tanto tempo si è discusso di aumentare i posti in terapia intensiva, una strategia criticabile
Ma quando un malato va in rianimazione lo dobbiamo vedere come il fallimento della cura.
Dovrebbe essere l'ultima spiaggia: la malattia virale va aggredita precocemente
C'è però un medico,il primario di oncologia Luigi Cavanna,che ha trovato un approccio diverso da puntare sull'ospedalizzazione passato con il nome di "metodo Piacenza"
Ha raccontato in esclusiva a Il Giornale:
"All’inizio si pensava fosse una infezione virale, forse più brutta dell’influenza, ma nulla di così rilevante.
Poi ci siamo resi conto che invece è una malattia drammaticamente seria
Il paziente deve essere trattato tempestivamente e questo vuol dire che va curato a casa
Se torniamo indietro nel tempo, ricorderete che tutte le televisioni, nazionali o locali, facevano questa raccomandazione agli italiani: state a casa e non andate al Pronto soccorso. Il problema è che diverse persone hanno seguito il consiglio assumendo solo tachipirina e alla fine non riuscivano più a respirare, chiamavano il 118 e arrivavano di corsa in ospedale
Il virus all'inizio si moltiplica, poi innesca una risposta immunitaria dell'organismo che determina una infiammazione che distrugge gli alveoli dei polmoni
Quando il danno è fatto, è difficilmente recuperabile.
È per questo che poi tante persone non ce l’hanno fatta
Lavoro in oncologia ed ematologia, reparti abituati a confrontarsi con la sofferenza e la morte
Ma in quei giorni ho avuto l'impressione ci trovassimo di fronte a qualcosa mai visto prima.
Faceva paura, talmente tanti erano i malati in quei lettini di fortuna.
Le ambulanze arrivavano in fila a portare altri pazienti, io mi guardavo intorno, incrociavo gli occhi dei colleghi. Avevamo la percezione di non farcela
Nelle riunioni cercavamo sempre di aumentare i posti nelle emergenze e nelle rianimazioni, ma poi abbiamo capito che questa è una infezione virale che ti lascia del tempo per intervenire.
Non è un ictus, un infarto o un arresto cardiaco che colpiscono in pochi minuti o in pochi secondi: ti lascia una settimana o anche 10-15 giorni
Ci siamo detti: cerchiamo di andare nelle case, non solo per la semplice visita ai malati, ma con tutto l’occorrente per curare la malattia tempestivamente"
Così il 1° marzo Cavanna e un infermiere iniziano il loro tour a domicilio.
Sono spedizioni diverse da quelle realizzate da altre Unità speciali (Usca) in Italia.
Non vanno solo a visitare il paziente a casa o a fare il tampone, sono lì per curarlo come se fossero in ospedale.
Con loro portano i Dpi, un termometro, i palmari per realizzare l’ecografia sul posto, un saturimetro, il tampone e un kit di farmaci già pronti all'uso.
Compresa l’idrossiclorochina, già usata contro Sars e malaria.
"Se l'ecografia toracica è dubbia e mostra polmoniti interstiziali dopo aver chiesto il consenso del paziente, consegniamo i farmaci e gli diciamo:
'Lei inizi la terapia, anche in attesa del risultato del tampone'. Alle persone che presentano polmoniti severe lasciamo anche l'ossigeno.
Poi ogni giorno i pazienti ci comunicano i dati della propria saturazione, in modo da poterli monitorare dall'ospedale".
I primi esperimenti Cavanna li porta avanti (quasi) da solo.
Poi dal 15 marzo l'Ausl piacentina si organizza e mette in pieni alcune Usca dedicate allo scopo.
"La prima fu una paziente oncologica, una signora che vive da sola
Era entrata al pronto soccorso con la febbre, la tac aveva evidenziato una polmonite interstiziale, ma lei aveva atteso lì per dieci ore. Poi aveva firmato la cartella, chiamato un taxi e si era fatta portare indietro.
Il giorno dopo mi ha chiamato dicendomi: 'Io sono a qui, da sola, sto male. O mi venite a visitare a casa o io muoio'. Lei cosa avrebbe fatto?
Il dramma di questa infezione è che ha abituato gli italiani a morire da soli.
Veder arrivare due sanitari a portare dei farmaci, che lasciano un numero di telefono da chiamare, un saturimetro e ti spiegano cosa fare, per loro era già una mezza salvezza.
A me questo ha messo in crisi, perché i malati in un Paese evoluto non dovrebbero mai avere la percezione di sentirsi abbandonati"
La cura "precoce" e "a domicilio" si rivela da subito molto efficace.
Le persone non peggiorano, guariscono prima e soprattutto non muoiono.
Presto i risultati degli studi sul "metodo Piacenza" saranno pubblicati su una rivista per dare informazioni alla comunità scientifica.
Su 250 pazienti curati a domicilio, le posso dire che nessuno di loro è morto.
Né a casa né in ospedale.
Di questi, è stato ricoverato meno del 5% e tutti sono tornati a casa, di cui la metà entro pochi giorni
Per tanto tempo si è discusso di aumentare i posti in terapia intensiva, una strategia criticabile
Ma quando un malato va in rianimazione lo dobbiamo vedere come il fallimento della cura.
Dovrebbe essere l'ultima spiaggia: la malattia virale va aggredita precocemente