APA Milan:"Mercato da player trading. Il futuro...".

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L'associazione dei piccoli azionisti del Milan sul calciomercato appena terminato:

I Piccoli Azionisti di AC Milan hanno atteso la fine di questa lunghissima sessione di calciomercato per riflettere – finalmente “a freddo” – sulle operazioni concluse dal Club e sulle modalità con le quali esse sono state condotte. Sperando fino all’ultimo di poter registrare un bilancio complessivamente positivo. Non è stato così, per le ragioni che spieghiamo qui di seguito.

Dopo una stagione disastrosa ci si attendeva uno sforzo significativo di rafforzamento della rosa. Ve ne erano le premesse: l’assunzione – finalmente – di un DS degno di questo nome. L’ingaggio di un allenatore che – al di là delle valutazioni sulle sue preferenze tattiche e di “atteggiamento” – rappresenta comunque una presenza “forte”, preparata e vincente. Le rassicurazioni del nostro AD quanto al fatto che non sarebbe stato necessario, nonostante l’esclusione dalla Champions, vendere chicchessia al solo scopo di tenere i conti in ordine. La possibilità di sfoltire la rosa di molti giocatori “che non facevano la differenza” (attesi i minori impegni sportivi della stagione 2025/26); e la conseguente opportunità di fare cassa con essi.

Ciò per garantire la rinnovata competitività di un Club che ha vinto lo scudetto solo 3 anni fa e che 2 anni fa aveva giocato una semifinale di Champions League. Peccato che gli obbiettivi dichiarati per questa stagione si siano limitati al quarto posto in campionato. Ambizione assai modesta; e del tutto indigeribile per i supporter milanisti.

Iniziamo dagli aspetti positivi. Il Milan ha venduto molti calciatori che era bene sostituire, ricavando somme superiori al previsto. Si è quindi procurato disponibilità importanti da investire, anche perché la squadra è stata quasi completamente rivoluzionata e richiedeva quindi innesti di sicura resa. Con i calciatori che ci hanno lasciato senza rimpianto, abbiamo però ceduto anche quelli che la differenza la facevano o potevano farla – e che “non sarebbe stato necessario vendere”.

Su Reijnders, ad esempio, una squadra ambiziosa avrebbe provato a ricostruire. E’ stato invece ceduto in tutta fretta e a un prezzo forse modesto per il suo valore. Ma nel suo caso – quantomeno – gli interventi per rimpiazzarlo a centrocampo ci sono stati (anche se non perfettamente coerenti) e sono un’altra nota positiva. Si è poi letteralmente “scaricato” Theo Hernandez, un fuoriclasse considerato ormai (chissà se a ragione) in inarrestabile declino. Infine, Thiaw è stato venduto non appena è arrivata un’offerta importante. Cosa che però presupponeva un’operazione in difesa per rafforzare un reparto divenuto ancora più gracile (soprattutto se Allegri vorrà giocare con tre centrali). Anche la campagna acquisti ci ha lasciato molto perplessi.

Se a centrocampo le scelte ci sono parse comunque adeguate (anche grazie al “colpo” Rabiot in Zona Cesarini) e ci sarà solo da gestire un po’ di sovrabbondanza tra sei calciatori “tutti titolari” per tre posti, in difesa gli acquisti sono di modesto valore, anche prospettico, o vere e proprie scommesse. E, numericamente, dovremo sperare di non essere perseguitati dagli infortuni… Se poi si giocherà “a tre”, anche gli esterni – nonostante il ritorno di Saelemaekers – non sono certo una batteria. Ma è l’attacco ad apparire una assoluta incognita. Abbiamo una sola vera punta centrale, peraltro sfiduciata pubblicamente – e inopportunamente! – dal DS a pochi giorni dalla fine del mercato. Il reparto si completa con due dei fuoriclasse rimasti – Leao e Pulisic – che Allegri dovrà probabilmente far giocare come non hanno quasi mai fatto o non fanno da tempo. Si è poi investito quasi 40 milioni su un’altra seconda punta, non più giovanissima, che ha avuto in passato qualche stagione importante ma che da due anni registra un declino che dobbiamo sperare di arrestare. Resta la forte impressione che si sia operato – salvo qualche caso estemporaneo (Rabiot, appunto) – senza avere riguardo per la fisionomia di squadra alla quale l’allenatore pensa. Costringendo dunque Allegri (al quale la patata bollente è già stata scaricata) a dover adattare moduli e atteggiamenti in conseguenza di esigenze contingenti. Cosa che rischierà di pregiudicare il processo di crescita di un team profondamente rinnovato negli uomini e nella tattica e che, probabilmente, non potrà contare su scelte granitiche quanto a disposizione in campo e titolari. Non resta che sperare bene. Ma “sperare bene” non dovrebbe essere il portato di una seria cultura d’impresa.

Al di là delle valutazioni tecniche, che ci permettiamo da tifosi quali innanzitutto siamo, ci preme una considerazione di carattere imprenditoriale, da azionisti e sentinelle dei supporter nelle istituzioni milaniste. La gestione del calciomercato dell’AC Milan negli ultimi anni, e in particolare nel biennio 2024-2026, è stata chiaramente condizionata – soprattutto in quest’ultima edizione, vista la prevista mancanza dei flussi di cassa derivanti dalla partecipazione alle prossime competizioni europee – dall’ esigenza di evitare ogni tensione finanziaria. Ciò anche a dispetto di quanto pure recentemente affermato dall’amministratore delegato e costringendo il management a operare sul mercato più in funzione dell’immediato equilibrio di conti e cassa che della costruzione di una squadra competitiva e progettata sul lungo termine. Tutto ciò in considerazione del fatto che, nel modello economico/finanziario del fondo proprietario del club, l’eventuale immissione di liquidità è un’ipotesi estrema. Si è quindi innescata una serie di cessioni che, non sempre per scelta sportiva, si sono rivelate risposte obbligate a una carenza strutturale – senza di esse – nei ricavi e nei flussi di cassa conseguenti. Ciò mancando la capacità del management di investire in modo lungimirante alla ricerca di una struttura di ricavi fondata anche e soprattutto sull’ambizione sportiva e la competitività ad alto livello, come la reputazione del Club pretenderebbe.

In sostanza, il problema non è stato tanto la gestione operativa e contingente del calciomercato in sé, quanto il più profondo deficit strategico della proprietà nel pensare a un modello che tenga conto di ciò che il Milan è stato, dovrebbe essere oggi e dovrebbe restare un futuro: uno dei club più forti e vincenti al mondo. E di ripiegare su un player trading nel quale anche l’acquisto promettente e prospettico ha attaccato al collo il cartellino del prezzo per una futura, immediata rivendita. Senza nessun riguardo per la costruzione di una grande squadra degna della nostra migliore tradizione. Noi pensiamo, invece, che ora si debba puntare a massimizzare i ricavi sportivi da competizioni, cercando di innescare un circolo virtuoso; non optare per la soluzione più immediata e di breve termine, sacrificando la crescita organica e la valorizzazione del patrimonio tecnico. Una scelta, questa ultima, che può limitare le possibilità di successo sportivo, condizionando, molto probabilmente, negativamente i ricavi futuri e obbligando a ulteriori cessioni.

Insomma: ci pare che ciò che ha ispirato le scelte delle quali abbiamo parlato, spesso comunicate in modo discutibile e giunte al termine di processi contradditori (o addirittura imbarazzanti, come nella vicenda Boniface o nella telenovela Jashari) non è stato quel disegno chiaro e ambizioso, sintonico tra management e direzione sportiva e tecnica, di cui il Milan ha bisogno. Sempre più spesso ci accorgiamo che la proprietà non ha elaborato per il Milan alcuna “mission” e “vision” che tenga conto della sua storia e della passione dei suoi supporter. La proprietà mette avanti a tutto i propri interessi, spesso contrastanti con quelli del Milan. Interessi che – sia pure nel quadro della necessaria sostenibilità – non dovrebbero essere considerati meramente strumentali ai disegni di breve termine di un fondo speculativo. Fondo il cui valore aggiunto manageriale e di lungo periodo non si è ancora visto. Tantomeno in questo calciomercato”
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I Piccoli Azionisti di AC Milan hanno atteso la fine di questa lunghissima sessione di calciomercato per riflettere – finalmente “a freddo” – sulle operazioni concluse dal Club e sulle modalità con le quali esse sono state condotte. Sperando fino all’ultimo di poter registrare un bilancio complessivamente positivo. Non è stato così, per le ragioni che spieghiamo qui di seguito.

Dopo una stagione disastrosa ci si attendeva uno sforzo significativo di rafforzamento della rosa. Ve ne erano le premesse: l’assunzione – finalmente – di un DS degno di questo nome. L’ingaggio di un allenatore che – al di là delle valutazioni sulle sue preferenze tattiche e di “atteggiamento” – rappresenta comunque una presenza “forte”, preparata e vincente. Le rassicurazioni del nostro AD quanto al fatto che non sarebbe stato necessario, nonostante l’esclusione dalla Champions, vendere chicchessia al solo scopo di tenere i conti in ordine. La possibilità di sfoltire la rosa di molti giocatori “che non facevano la differenza” (attesi i minori impegni sportivi della stagione 2025/26); e la conseguente opportunità di fare cassa con essi.

Ciò per garantire la rinnovata competitività di un Club che ha vinto lo scudetto solo 3 anni fa e che 2 anni fa aveva giocato una semifinale di Champions League. Peccato che gli obbiettivi dichiarati per questa stagione si siano limitati al quarto posto in campionato. Ambizione assai modesta; e del tutto indigeribile per i supporter milanisti.

Iniziamo dagli aspetti positivi. Il Milan ha venduto molti calciatori che era bene sostituire, ricavando somme superiori al previsto. Si è quindi procurato disponibilità importanti da investire, anche perché la squadra è stata quasi completamente rivoluzionata e richiedeva quindi innesti di sicura resa. Con i calciatori che ci hanno lasciato senza rimpianto, abbiamo però ceduto anche quelli che la differenza la facevano o potevano farla – e che “non sarebbe stato necessario vendere”.

Su Reijnders, ad esempio, una squadra ambiziosa avrebbe provato a ricostruire. E’ stato invece ceduto in tutta fretta e a un prezzo forse modesto per il suo valore. Ma nel suo caso – quantomeno – gli interventi per rimpiazzarlo a centrocampo ci sono stati (anche se non perfettamente coerenti) e sono un’altra nota positiva. Si è poi letteralmente “scaricato” Theo Hernandez, un fuoriclasse considerato ormai (chissà se a ragione) in inarrestabile declino. Infine, Thiaw è stato venduto non appena è arrivata un’offerta importante. Cosa che però presupponeva un’operazione in difesa per rafforzare un reparto divenuto ancora più gracile (soprattutto se Allegri vorrà giocare con tre centrali). Anche la campagna acquisti ci ha lasciato molto perplessi.

Se a centrocampo le scelte ci sono parse comunque adeguate (anche grazie al “colpo” Rabiot in Zona Cesarini) e ci sarà solo da gestire un po’ di sovrabbondanza tra sei calciatori “tutti titolari” per tre posti, in difesa gli acquisti sono di modesto valore, anche prospettico, o vere e proprie scommesse. E, numericamente, dovremo sperare di non essere perseguitati dagli infortuni… Se poi si giocherà “a tre”, anche gli esterni – nonostante il ritorno di Saelemaekers – non sono certo una batteria. Ma è l’attacco ad apparire una assoluta incognita. Abbiamo una sola vera punta centrale, peraltro sfiduciata pubblicamente – e inopportunamente! – dal DS a pochi giorni dalla fine del mercato. Il reparto si completa con due dei fuoriclasse rimasti – Leao e Pulisic – che Allegri dovrà probabilmente far giocare come non hanno quasi mai fatto o non fanno da tempo. Si è poi investito quasi 40 milioni su un’altra seconda punta, non più giovanissima, che ha avuto in passato qualche stagione importante ma che da due anni registra un declino che dobbiamo sperare di arrestare. Resta la forte impressione che si sia operato – salvo qualche caso estemporaneo (Rabiot, appunto) – senza avere riguardo per la fisionomia di squadra alla quale l’allenatore pensa. Costringendo dunque Allegri (al quale la patata bollente è già stata scaricata) a dover adattare moduli e atteggiamenti in conseguenza di esigenze contingenti. Cosa che rischierà di pregiudicare il processo di crescita di un team profondamente rinnovato negli uomini e nella tattica e che, probabilmente, non potrà contare su scelte granitiche quanto a disposizione in campo e titolari. Non resta che sperare bene. Ma “sperare bene” non dovrebbe essere il portato di una seria cultura d’impresa.

Al di là delle valutazioni tecniche, che ci permettiamo da tifosi quali innanzitutto siamo, ci preme una considerazione di carattere imprenditoriale, da azionisti e sentinelle dei supporter nelle istituzioni milaniste. La gestione del calciomercato dell’AC Milan negli ultimi anni, e in particolare nel biennio 2024-2026, è stata chiaramente condizionata – soprattutto in quest’ultima edizione, vista la prevista mancanza dei flussi di cassa derivanti dalla partecipazione alle prossime competizioni europee – dall’ esigenza di evitare ogni tensione finanziaria. Ciò anche a dispetto di quanto pure recentemente affermato dall’amministratore delegato e costringendo il management a operare sul mercato più in funzione dell’immediato equilibrio di conti e cassa che della costruzione di una squadra competitiva e progettata sul lungo termine. Tutto ciò in considerazione del fatto che, nel modello economico/finanziario del fondo proprietario del club, l’eventuale immissione di liquidità è un’ipotesi estrema. Si è quindi innescata una serie di cessioni che, non sempre per scelta sportiva, si sono rivelate risposte obbligate a una carenza strutturale – senza di esse – nei ricavi e nei flussi di cassa conseguenti. Ciò mancando la capacità del management di investire in modo lungimirante alla ricerca di una struttura di ricavi fondata anche e soprattutto sull’ambizione sportiva e la competitività ad alto livello, come la reputazione del Club pretenderebbe.

In sostanza, il problema non è stato tanto la gestione operativa e contingente del calciomercato in sé, quanto il più profondo deficit strategico della proprietà nel pensare a un modello che tenga conto di ciò che il Milan è stato, dovrebbe essere oggi e dovrebbe restare un futuro: uno dei club più forti e vincenti al mondo. E di ripiegare su un player trading nel quale anche l’acquisto promettente e prospettico ha attaccato al collo il cartellino del prezzo per una futura, immediata rivendita. Senza nessun riguardo per la costruzione di una grande squadra degna della nostra migliore tradizione. Noi pensiamo, invece, che ora si debba puntare a massimizzare i ricavi sportivi da competizioni, cercando di innescare un circolo virtuoso; non optare per la soluzione più immediata e di breve termine, sacrificando la crescita organica e la valorizzazione del patrimonio tecnico. Una scelta, questa ultima, che può limitare le possibilità di successo sportivo, condizionando, molto probabilmente, negativamente i ricavi futuri e obbligando a ulteriori cessioni.

Insomma: ci pare che ciò che ha ispirato le scelte delle quali abbiamo parlato, spesso comunicate in modo discutibile e giunte al termine di processi contradditori (o addirittura imbarazzanti, come nella vicenda Boniface o nella telenovela Jashari) non è stato quel disegno chiaro e ambizioso, sintonico tra management e direzione sportiva e tecnica, di cui il Milan ha bisogno. Sempre più spesso ci accorgiamo che la proprietà non ha elaborato per il Milan alcuna “mission” e “vision” che tenga conto della sua storia e della passione dei suoi supporter. La proprietà mette avanti a tutto i propri interessi, spesso contrastanti con quelli del Milan. Interessi che – sia pure nel quadro della necessaria sostenibilità – non dovrebbero essere considerati meramente strumentali ai disegni di breve termine di un fondo speculativo. Fondo il cui valore aggiunto manageriale e di lungo periodo non si è ancora visto. Tantomeno in questo calciomercato”
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Gekyn

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Questi piccoli azionisti, sono utili come le mutande in un porn.o…
 

Zenos

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I Piccoli Azionisti di AC Milan hanno atteso la fine di questa lunghissima sessione di calciomercato per riflettere – finalmente “a freddo” – sulle operazioni concluse dal Club e sulle modalità con le quali esse sono state condotte. Sperando fino all’ultimo di poter registrare un bilancio complessivamente positivo. Non è stato così, per le ragioni che spieghiamo qui di seguito.

Dopo una stagione disastrosa ci si attendeva uno sforzo significativo di rafforzamento della rosa. Ve ne erano le premesse: l’assunzione – finalmente – di un DS degno di questo nome. L’ingaggio di un allenatore che – al di là delle valutazioni sulle sue preferenze tattiche e di “atteggiamento” – rappresenta comunque una presenza “forte”, preparata e vincente. Le rassicurazioni del nostro AD quanto al fatto che non sarebbe stato necessario, nonostante l’esclusione dalla Champions, vendere chicchessia al solo scopo di tenere i conti in ordine. La possibilità di sfoltire la rosa di molti giocatori “che non facevano la differenza” (attesi i minori impegni sportivi della stagione 2025/26); e la conseguente opportunità di fare cassa con essi.

Ciò per garantire la rinnovata competitività di un Club che ha vinto lo scudetto solo 3 anni fa e che 2 anni fa aveva giocato una semifinale di Champions League. Peccato che gli obbiettivi dichiarati per questa stagione si siano limitati al quarto posto in campionato. Ambizione assai modesta; e del tutto indigeribile per i supporter milanisti.

Iniziamo dagli aspetti positivi. Il Milan ha venduto molti calciatori che era bene sostituire, ricavando somme superiori al previsto. Si è quindi procurato disponibilità importanti da investire, anche perché la squadra è stata quasi completamente rivoluzionata e richiedeva quindi innesti di sicura resa. Con i calciatori che ci hanno lasciato senza rimpianto, abbiamo però ceduto anche quelli che la differenza la facevano o potevano farla – e che “non sarebbe stato necessario vendere”.

Su Reijnders, ad esempio, una squadra ambiziosa avrebbe provato a ricostruire. E’ stato invece ceduto in tutta fretta e a un prezzo forse modesto per il suo valore. Ma nel suo caso – quantomeno – gli interventi per rimpiazzarlo a centrocampo ci sono stati (anche se non perfettamente coerenti) e sono un’altra nota positiva. Si è poi letteralmente “scaricato” Theo Hernandez, un fuoriclasse considerato ormai (chissà se a ragione) in inarrestabile declino. Infine, Thiaw è stato venduto non appena è arrivata un’offerta importante. Cosa che però presupponeva un’operazione in difesa per rafforzare un reparto divenuto ancora più gracile (soprattutto se Allegri vorrà giocare con tre centrali). Anche la campagna acquisti ci ha lasciato molto perplessi.

Se a centrocampo le scelte ci sono parse comunque adeguate (anche grazie al “colpo” Rabiot in Zona Cesarini) e ci sarà solo da gestire un po’ di sovrabbondanza tra sei calciatori “tutti titolari” per tre posti, in difesa gli acquisti sono di modesto valore, anche prospettico, o vere e proprie scommesse. E, numericamente, dovremo sperare di non essere perseguitati dagli infortuni… Se poi si giocherà “a tre”, anche gli esterni – nonostante il ritorno di Saelemaekers – non sono certo una batteria. Ma è l’attacco ad apparire una assoluta incognita. Abbiamo una sola vera punta centrale, peraltro sfiduciata pubblicamente – e inopportunamente! – dal DS a pochi giorni dalla fine del mercato. Il reparto si completa con due dei fuoriclasse rimasti – Leao e Pulisic – che Allegri dovrà probabilmente far giocare come non hanno quasi mai fatto o non fanno da tempo. Si è poi investito quasi 40 milioni su un’altra seconda punta, non più giovanissima, che ha avuto in passato qualche stagione importante ma che da due anni registra un declino che dobbiamo sperare di arrestare. Resta la forte impressione che si sia operato – salvo qualche caso estemporaneo (Rabiot, appunto) – senza avere riguardo per la fisionomia di squadra alla quale l’allenatore pensa. Costringendo dunque Allegri (al quale la patata bollente è già stata scaricata) a dover adattare moduli e atteggiamenti in conseguenza di esigenze contingenti. Cosa che rischierà di pregiudicare il processo di crescita di un team profondamente rinnovato negli uomini e nella tattica e che, probabilmente, non potrà contare su scelte granitiche quanto a disposizione in campo e titolari. Non resta che sperare bene. Ma “sperare bene” non dovrebbe essere il portato di una seria cultura d’impresa.

Al di là delle valutazioni tecniche, che ci permettiamo da tifosi quali innanzitutto siamo, ci preme una considerazione di carattere imprenditoriale, da azionisti e sentinelle dei supporter nelle istituzioni milaniste. La gestione del calciomercato dell’AC Milan negli ultimi anni, e in particolare nel biennio 2024-2026, è stata chiaramente condizionata – soprattutto in quest’ultima edizione, vista la prevista mancanza dei flussi di cassa derivanti dalla partecipazione alle prossime competizioni europee – dall’ esigenza di evitare ogni tensione finanziaria. Ciò anche a dispetto di quanto pure recentemente affermato dall’amministratore delegato e costringendo il management a operare sul mercato più in funzione dell’immediato equilibrio di conti e cassa che della costruzione di una squadra competitiva e progettata sul lungo termine. Tutto ciò in considerazione del fatto che, nel modello economico/finanziario del fondo proprietario del club, l’eventuale immissione di liquidità è un’ipotesi estrema. Si è quindi innescata una serie di cessioni che, non sempre per scelta sportiva, si sono rivelate risposte obbligate a una carenza strutturale – senza di esse – nei ricavi e nei flussi di cassa conseguenti. Ciò mancando la capacità del management di investire in modo lungimirante alla ricerca di una struttura di ricavi fondata anche e soprattutto sull’ambizione sportiva e la competitività ad alto livello, come la reputazione del Club pretenderebbe.

In sostanza, il problema non è stato tanto la gestione operativa e contingente del calciomercato in sé, quanto il più profondo deficit strategico della proprietà nel pensare a un modello che tenga conto di ciò che il Milan è stato, dovrebbe essere oggi e dovrebbe restare un futuro: uno dei club più forti e vincenti al mondo. E di ripiegare su un player trading nel quale anche l’acquisto promettente e prospettico ha attaccato al collo il cartellino del prezzo per una futura, immediata rivendita. Senza nessun riguardo per la costruzione di una grande squadra degna della nostra migliore tradizione. Noi pensiamo, invece, che ora si debba puntare a massimizzare i ricavi sportivi da competizioni, cercando di innescare un circolo virtuoso; non optare per la soluzione più immediata e di breve termine, sacrificando la crescita organica e la valorizzazione del patrimonio tecnico. Una scelta, questa ultima, che può limitare le possibilità di successo sportivo, condizionando, molto probabilmente, negativamente i ricavi futuri e obbligando a ulteriori cessioni.

Insomma: ci pare che ciò che ha ispirato le scelte delle quali abbiamo parlato, spesso comunicate in modo discutibile e giunte al termine di processi contradditori (o addirittura imbarazzanti, come nella vicenda Boniface o nella telenovela Jashari) non è stato quel disegno chiaro e ambizioso, sintonico tra management e direzione sportiva e tecnica, di cui il Milan ha bisogno. Sempre più spesso ci accorgiamo che la proprietà non ha elaborato per il Milan alcuna “mission” e “vision” che tenga conto della sua storia e della passione dei suoi supporter. La proprietà mette avanti a tutto i propri interessi, spesso contrastanti con quelli del Milan. Interessi che – sia pure nel quadro della necessaria sostenibilità – non dovrebbero essere considerati meramente strumentali ai disegni di breve termine di un fondo speculativo. Fondo il cui valore aggiunto manageriale e di lungo periodo non si è ancora visto. Tantomeno in questo calciomercato”
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I Piccoli Azionisti di AC Milan hanno atteso la fine di questa lunghissima sessione di calciomercato per riflettere – finalmente “a freddo” – sulle operazioni concluse dal Club e sulle modalità con le quali esse sono state condotte. Sperando fino all’ultimo di poter registrare un bilancio complessivamente positivo. Non è stato così, per le ragioni che spieghiamo qui di seguito.

Dopo una stagione disastrosa ci si attendeva uno sforzo significativo di rafforzamento della rosa. Ve ne erano le premesse: l’assunzione – finalmente – di un DS degno di questo nome. L’ingaggio di un allenatore che – al di là delle valutazioni sulle sue preferenze tattiche e di “atteggiamento” – rappresenta comunque una presenza “forte”, preparata e vincente. Le rassicurazioni del nostro AD quanto al fatto che non sarebbe stato necessario, nonostante l’esclusione dalla Champions, vendere chicchessia al solo scopo di tenere i conti in ordine. La possibilità di sfoltire la rosa di molti giocatori “che non facevano la differenza” (attesi i minori impegni sportivi della stagione 2025/26); e la conseguente opportunità di fare cassa con essi.

Ciò per garantire la rinnovata competitività di un Club che ha vinto lo scudetto solo 3 anni fa e che 2 anni fa aveva giocato una semifinale di Champions League. Peccato che gli obbiettivi dichiarati per questa stagione si siano limitati al quarto posto in campionato. Ambizione assai modesta; e del tutto indigeribile per i supporter milanisti.

Iniziamo dagli aspetti positivi. Il Milan ha venduto molti calciatori che era bene sostituire, ricavando somme superiori al previsto. Si è quindi procurato disponibilità importanti da investire, anche perché la squadra è stata quasi completamente rivoluzionata e richiedeva quindi innesti di sicura resa. Con i calciatori che ci hanno lasciato senza rimpianto, abbiamo però ceduto anche quelli che la differenza la facevano o potevano farla – e che “non sarebbe stato necessario vendere”.

Su Reijnders, ad esempio, una squadra ambiziosa avrebbe provato a ricostruire. E’ stato invece ceduto in tutta fretta e a un prezzo forse modesto per il suo valore. Ma nel suo caso – quantomeno – gli interventi per rimpiazzarlo a centrocampo ci sono stati (anche se non perfettamente coerenti) e sono un’altra nota positiva. Si è poi letteralmente “scaricato” Theo Hernandez, un fuoriclasse considerato ormai (chissà se a ragione) in inarrestabile declino. Infine, Thiaw è stato venduto non appena è arrivata un’offerta importante. Cosa che però presupponeva un’operazione in difesa per rafforzare un reparto divenuto ancora più gracile (soprattutto se Allegri vorrà giocare con tre centrali). Anche la campagna acquisti ci ha lasciato molto perplessi.

Se a centrocampo le scelte ci sono parse comunque adeguate (anche grazie al “colpo” Rabiot in Zona Cesarini) e ci sarà solo da gestire un po’ di sovrabbondanza tra sei calciatori “tutti titolari” per tre posti, in difesa gli acquisti sono di modesto valore, anche prospettico, o vere e proprie scommesse. E, numericamente, dovremo sperare di non essere perseguitati dagli infortuni… Se poi si giocherà “a tre”, anche gli esterni – nonostante il ritorno di Saelemaekers – non sono certo una batteria. Ma è l’attacco ad apparire una assoluta incognita. Abbiamo una sola vera punta centrale, peraltro sfiduciata pubblicamente – e inopportunamente! – dal DS a pochi giorni dalla fine del mercato. Il reparto si completa con due dei fuoriclasse rimasti – Leao e Pulisic – che Allegri dovrà probabilmente far giocare come non hanno quasi mai fatto o non fanno da tempo. Si è poi investito quasi 40 milioni su un’altra seconda punta, non più giovanissima, che ha avuto in passato qualche stagione importante ma che da due anni registra un declino che dobbiamo sperare di arrestare. Resta la forte impressione che si sia operato – salvo qualche caso estemporaneo (Rabiot, appunto) – senza avere riguardo per la fisionomia di squadra alla quale l’allenatore pensa. Costringendo dunque Allegri (al quale la patata bollente è già stata scaricata) a dover adattare moduli e atteggiamenti in conseguenza di esigenze contingenti. Cosa che rischierà di pregiudicare il processo di crescita di un team profondamente rinnovato negli uomini e nella tattica e che, probabilmente, non potrà contare su scelte granitiche quanto a disposizione in campo e titolari. Non resta che sperare bene. Ma “sperare bene” non dovrebbe essere il portato di una seria cultura d’impresa.

Al di là delle valutazioni tecniche, che ci permettiamo da tifosi quali innanzitutto siamo, ci preme una considerazione di carattere imprenditoriale, da azionisti e sentinelle dei supporter nelle istituzioni milaniste. La gestione del calciomercato dell’AC Milan negli ultimi anni, e in particolare nel biennio 2024-2026, è stata chiaramente condizionata – soprattutto in quest’ultima edizione, vista la prevista mancanza dei flussi di cassa derivanti dalla partecipazione alle prossime competizioni europee – dall’ esigenza di evitare ogni tensione finanziaria. Ciò anche a dispetto di quanto pure recentemente affermato dall’amministratore delegato e costringendo il management a operare sul mercato più in funzione dell’immediato equilibrio di conti e cassa che della costruzione di una squadra competitiva e progettata sul lungo termine. Tutto ciò in considerazione del fatto che, nel modello economico/finanziario del fondo proprietario del club, l’eventuale immissione di liquidità è un’ipotesi estrema. Si è quindi innescata una serie di cessioni che, non sempre per scelta sportiva, si sono rivelate risposte obbligate a una carenza strutturale – senza di esse – nei ricavi e nei flussi di cassa conseguenti. Ciò mancando la capacità del management di investire in modo lungimirante alla ricerca di una struttura di ricavi fondata anche e soprattutto sull’ambizione sportiva e la competitività ad alto livello, come la reputazione del Club pretenderebbe.

In sostanza, il problema non è stato tanto la gestione operativa e contingente del calciomercato in sé, quanto il più profondo deficit strategico della proprietà nel pensare a un modello che tenga conto di ciò che il Milan è stato, dovrebbe essere oggi e dovrebbe restare un futuro: uno dei club più forti e vincenti al mondo. E di ripiegare su un player trading nel quale anche l’acquisto promettente e prospettico ha attaccato al collo il cartellino del prezzo per una futura, immediata rivendita. Senza nessun riguardo per la costruzione di una grande squadra degna della nostra migliore tradizione. Noi pensiamo, invece, che ora si debba puntare a massimizzare i ricavi sportivi da competizioni, cercando di innescare un circolo virtuoso; non optare per la soluzione più immediata e di breve termine, sacrificando la crescita organica e la valorizzazione del patrimonio tecnico. Una scelta, questa ultima, che può limitare le possibilità di successo sportivo, condizionando, molto probabilmente, negativamente i ricavi futuri e obbligando a ulteriori cessioni.

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Analisi molto lucida e puntuale direi.

Quando arriveranno le partite vere e le avversarie serie mi sa che tanti torneranno rapidamente sulla terra.
 
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Dopo una stagione disastrosa ci si attendeva uno sforzo significativo di rafforzamento della rosa. Ve ne erano le premesse: l’assunzione – finalmente – di un DS degno di questo nome. L’ingaggio di un allenatore che – al di là delle valutazioni sulle sue preferenze tattiche e di “atteggiamento” – rappresenta comunque una presenza “forte”, preparata e vincente. Le rassicurazioni del nostro AD quanto al fatto che non sarebbe stato necessario, nonostante l’esclusione dalla Champions, vendere chicchessia al solo scopo di tenere i conti in ordine. La possibilità di sfoltire la rosa di molti giocatori “che non facevano la differenza” (attesi i minori impegni sportivi della stagione 2025/26); e la conseguente opportunità di fare cassa con essi.

Ciò per garantire la rinnovata competitività di un Club che ha vinto lo scudetto solo 3 anni fa e che 2 anni fa aveva giocato una semifinale di Champions League. Peccato che gli obbiettivi dichiarati per questa stagione si siano limitati al quarto posto in campionato. Ambizione assai modesta; e del tutto indigeribile per i supporter milanisti.

Iniziamo dagli aspetti positivi. Il Milan ha venduto molti calciatori che era bene sostituire, ricavando somme superiori al previsto. Si è quindi procurato disponibilità importanti da investire, anche perché la squadra è stata quasi completamente rivoluzionata e richiedeva quindi innesti di sicura resa. Con i calciatori che ci hanno lasciato senza rimpianto, abbiamo però ceduto anche quelli che la differenza la facevano o potevano farla – e che “non sarebbe stato necessario vendere”.

Su Reijnders, ad esempio, una squadra ambiziosa avrebbe provato a ricostruire. E’ stato invece ceduto in tutta fretta e a un prezzo forse modesto per il suo valore. Ma nel suo caso – quantomeno – gli interventi per rimpiazzarlo a centrocampo ci sono stati (anche se non perfettamente coerenti) e sono un’altra nota positiva. Si è poi letteralmente “scaricato” Theo Hernandez, un fuoriclasse considerato ormai (chissà se a ragione) in inarrestabile declino. Infine, Thiaw è stato venduto non appena è arrivata un’offerta importante. Cosa che però presupponeva un’operazione in difesa per rafforzare un reparto divenuto ancora più gracile (soprattutto se Allegri vorrà giocare con tre centrali). Anche la campagna acquisti ci ha lasciato molto perplessi.

Se a centrocampo le scelte ci sono parse comunque adeguate (anche grazie al “colpo” Rabiot in Zona Cesarini) e ci sarà solo da gestire un po’ di sovrabbondanza tra sei calciatori “tutti titolari” per tre posti, in difesa gli acquisti sono di modesto valore, anche prospettico, o vere e proprie scommesse. E, numericamente, dovremo sperare di non essere perseguitati dagli infortuni… Se poi si giocherà “a tre”, anche gli esterni – nonostante il ritorno di Saelemaekers – non sono certo una batteria. Ma è l’attacco ad apparire una assoluta incognita. Abbiamo una sola vera punta centrale, peraltro sfiduciata pubblicamente – e inopportunamente! – dal DS a pochi giorni dalla fine del mercato. Il reparto si completa con due dei fuoriclasse rimasti – Leao e Pulisic – che Allegri dovrà probabilmente far giocare come non hanno quasi mai fatto o non fanno da tempo. Si è poi investito quasi 40 milioni su un’altra seconda punta, non più giovanissima, che ha avuto in passato qualche stagione importante ma che da due anni registra un declino che dobbiamo sperare di arrestare. Resta la forte impressione che si sia operato – salvo qualche caso estemporaneo (Rabiot, appunto) – senza avere riguardo per la fisionomia di squadra alla quale l’allenatore pensa. Costringendo dunque Allegri (al quale la patata bollente è già stata scaricata) a dover adattare moduli e atteggiamenti in conseguenza di esigenze contingenti. Cosa che rischierà di pregiudicare il processo di crescita di un team profondamente rinnovato negli uomini e nella tattica e che, probabilmente, non potrà contare su scelte granitiche quanto a disposizione in campo e titolari. Non resta che sperare bene. Ma “sperare bene” non dovrebbe essere il portato di una seria cultura d’impresa.

Al di là delle valutazioni tecniche, che ci permettiamo da tifosi quali innanzitutto siamo, ci preme una considerazione di carattere imprenditoriale, da azionisti e sentinelle dei supporter nelle istituzioni milaniste. La gestione del calciomercato dell’AC Milan negli ultimi anni, e in particolare nel biennio 2024-2026, è stata chiaramente condizionata – soprattutto in quest’ultima edizione, vista la prevista mancanza dei flussi di cassa derivanti dalla partecipazione alle prossime competizioni europee – dall’ esigenza di evitare ogni tensione finanziaria. Ciò anche a dispetto di quanto pure recentemente affermato dall’amministratore delegato e costringendo il management a operare sul mercato più in funzione dell’immediato equilibrio di conti e cassa che della costruzione di una squadra competitiva e progettata sul lungo termine. Tutto ciò in considerazione del fatto che, nel modello economico/finanziario del fondo proprietario del club, l’eventuale immissione di liquidità è un’ipotesi estrema. Si è quindi innescata una serie di cessioni che, non sempre per scelta sportiva, si sono rivelate risposte obbligate a una carenza strutturale – senza di esse – nei ricavi e nei flussi di cassa conseguenti. Ciò mancando la capacità del management di investire in modo lungimirante alla ricerca di una struttura di ricavi fondata anche e soprattutto sull’ambizione sportiva e la competitività ad alto livello, come la reputazione del Club pretenderebbe.

In sostanza, il problema non è stato tanto la gestione operativa e contingente del calciomercato in sé, quanto il più profondo deficit strategico della proprietà nel pensare a un modello che tenga conto di ciò che il Milan è stato, dovrebbe essere oggi e dovrebbe restare un futuro: uno dei club più forti e vincenti al mondo. E di ripiegare su un player trading nel quale anche l’acquisto promettente e prospettico ha attaccato al collo il cartellino del prezzo per una futura, immediata rivendita. Senza nessun riguardo per la costruzione di una grande squadra degna della nostra migliore tradizione. Noi pensiamo, invece, che ora si debba puntare a massimizzare i ricavi sportivi da competizioni, cercando di innescare un circolo virtuoso; non optare per la soluzione più immediata e di breve termine, sacrificando la crescita organica e la valorizzazione del patrimonio tecnico. Una scelta, questa ultima, che può limitare le possibilità di successo sportivo, condizionando, molto probabilmente, negativamente i ricavi futuri e obbligando a ulteriori cessioni.

Insomma: ci pare che ciò che ha ispirato le scelte delle quali abbiamo parlato, spesso comunicate in modo discutibile e giunte al termine di processi contradditori (o addirittura imbarazzanti, come nella vicenda Boniface o nella telenovela Jashari) non è stato quel disegno chiaro e ambizioso, sintonico tra management e direzione sportiva e tecnica, di cui il Milan ha bisogno. Sempre più spesso ci accorgiamo che la proprietà non ha elaborato per il Milan alcuna “mission” e “vision” che tenga conto della sua storia e della passione dei suoi supporter. La proprietà mette avanti a tutto i propri interessi, spesso contrastanti con quelli del Milan. Interessi che – sia pure nel quadro della necessaria sostenibilità – non dovrebbero essere considerati meramente strumentali ai disegni di breve termine di un fondo speculativo. Fondo il cui valore aggiunto manageriale e di lungo periodo non si è ancora visto. Tantomeno in questo calciomercato”
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Milano, 5 settembre 2025

Il Consiglio Direttivo di APA Milan

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Per analizzare il mercato del Milan bisogna partire da due concetti fondamentali legati tra loro, diventati ormai assiomi. Si vende indipendentemente dalla necessità di farlo, vedi la cessione di Tonali, che fu letteralmente costretto a lasciare il Milan; le operazioni di mercato che vengono fatte non hanno nessuna base tecnico/sportiva, vedi l’operazione Nkunku nella quale si è deciso di spendere 40 mln per il cartellino in 2 giorni, per un giocatore dalle caratteristiche tecniche opposte a quelle che chiedeva Allegri.

Dunque possiamo parlare quanto si vuole delle caratteristiche dei giocatori, di cosa serve o sarebbe servito, ma fin che ci saranno questi colletti bianchi al comando, il calciomercato sarà fatto sempre in questo modo, ovvero illogico nelle scelte tecniche, logico da un punto di vista extra calcistico.
 

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