Albertini, Bergomi e Berti sul derby. Le dichiarazioni.

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Albertini e Bergomi alla GDS


Albertini, come gestisce una bandiera la tensione di un derby?
«Con senso di responsabilità, perché il derby è l’unica partita di campionato che si vive sempre come un dentro o fuori. Pensate a un turno a eliminazione diretta del Mondiale o di Champions: ecco, quando Milan e Inter si affrontano la pressione sale a
quei livelli. E il fatto che si giochi il 5 febbraio, come per il 2-1 dell’anno scorso deciso da Giroud, è un’immagine simbolicamente potente: il 5 febbraio ha segnato e segnerà la storia del Milan di Pioli».

Cosa faceva gente come Albertini, Baresi, Maldini, Costacurta prima di un derby? «Cercavamo di compattare il gruppo ancora di più. In quel Milan c’erano grandi campioni, abituati a giocare per coppe e scudetti. Quando arrivava il derby, però, noi sentivamo ogni volta l’esigenza di ricordare a chi non era cresciuto al Milan quanto fosse
speciale quella sfida. Il messaggio era: devi dare il massimo per il club, per te stesso, ma anche per noi».

«Quando il nostro pullman passava da piazzale Lotto c’era una signora che si affacciava al balcone e sventolava la bandiera rossonera. Se non succedeva, qualcosa sarebbe andato storto. Fu così che una volta scoprimmo che era Capello a farla chiamare tutte le volte...».


Bergomi, come si gestisce la pressione di un derby?

«È la gara più importante dell’anno, c’è poco da fare. Per me lo è ancora oggi. Pensi che non riesco a vederla da seduto quando sto a casa. Mia figlia l’ultima volta mi ha detto: “ma perché non ti siedi?”.
Ma niente, faccio avanti e indietro, impossibile provare a rilassarsi. Da giocatore invece era tutta un’altra cosa: io non badavo allo stadio pieno, restavo concentrato su quello che dovevo fare e il pubblico diventava un brusio lontano»



E' stato capitano di tant battaglie pure nelle giovanili, provava a tranquillizzare gli altri?

«No, ognuno ha il proprio modo di vivere il momento. Io mi giocai il primo titolo nei Giovanissimi proprio in un derby, vinto ai supplementari. Negli anni ho sfidato Evani, Incocciati, Battistini, Andrea Icardi. Ragazzi che poi ho ritrovato nei derby in A. La rivalità è sempre stata sana. cominciava e finiva tutto in campo, con grande rispetto. Una volta provai a battere una punizione veloce, Maldini mi pestò la mano, poi mi fece l’occhiolino: finita lì».

Inter avvantaggiata dopo aver stravinto la Supercoppa?

Sarebbe imperdonabile pensarla così. Bisogna resettare tutto. Il derby
si vince nel momento esatto in cui non accetti l’idea
di perderlo. Non conta
il momento, ma la voglia, la motivazione

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Albertini, come gestisce una bandiera la tensione di un derby?
«Con senso di responsabilità, perché il derby è l’unica partita di campionato che si vive sempre come un dentro o fuori. Pensate a un turno a eliminazione diretta del Mondiale o di Champions: ecco, quando Milan e Inter si affrontano la pressione sale a
quei livelli. E il fatto che si giochi il 5 febbraio, come per il 2-1 dell’anno scorso deciso da Giroud, è un’immagine simbolicamente potente: il 5 febbraio ha segnato e segnerà la storia del Milan di Pioli».

Cosa faceva gente come Albertini, Baresi, Maldini, Costacurta prima di un derby? «Cercavamo di compattare il gruppo ancora di più. In quel Milan c’erano grandi campioni, abituati a giocare per coppe e scudetti. Quando arrivava il derby, però, noi sentivamo ogni volta l’esigenza di ricordare a chi non era cresciuto al Milan quanto fosse
speciale quella sfida. Il messaggio era: devi dare il massimo per il club, per te stesso, ma anche per noi».

«Quando il nostro pullman passava da piazzale Lotto c’era una signora che si affacciava al balcone e sventolava la bandiera rossonera. Se non succedeva, qualcosa sarebbe andato storto. Fu così che una volta scoprimmo che era Capello a farla chiamare tutte le volte...».


Bergomi, come si gestisce la pressione di un derby?

«È la gara più importante dell’anno, c’è poco da fare. Per me lo è ancora oggi. Pensi che non riesco a vederla da seduto quando sto a casa. Mia figlia l’ultima volta mi ha detto: “ma perché non ti siedi?”.
Ma niente, faccio avanti e indietro, impossibile provare a rilassarsi. Da giocatore invece era tutta un’altra cosa: io non badavo allo stadio pieno, restavo concentrato su quello che dovevo fare e il pubblico diventava un brusio lontano»



E' stato capitano di tant battaglie pure nelle giovanili, provava a tranquillizzare gli altri?

«No, ognuno ha il proprio modo di vivere il momento. Io mi giocai il primo titolo nei Giovanissimi proprio in un derby, vinto ai supplementari. Negli anni ho sfidato Evani, Incocciati, Battistini, Andrea Icardi. Ragazzi che poi ho ritrovato nei derby in A. La rivalità è sempre stata sana. cominciava e finiva tutto in campo, con grande rispetto. Una volta provai a battere una punizione veloce, Maldini mi pestò la mano, poi mi fece l’occhiolino: finita lì».

Inter avvantaggiata dopo aver stravinto la Supercoppa?

Sarebbe imperdonabile pensarla così. Bisogna resettare tutto. Il derby
si vince nel momento esatto in cui non accetti l’idea
di perderlo. Non conta
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Albertini, come gestisce una bandiera la tensione di un derby?
«Con senso di responsabilità, perché il derby è l’unica partita di campionato che si vive sempre come un dentro o fuori. Pensate a un turno a eliminazione diretta del Mondiale o di Champions: ecco, quando Milan e Inter si affrontano la pressione sale a
quei livelli. E il fatto che si giochi il 5 febbraio, come per il 2-1 dell’anno scorso deciso da Giroud, è un’immagine simbolicamente potente: il 5 febbraio ha segnato e segnerà la storia del Milan di Pioli».

Cosa faceva gente come Albertini, Baresi, Maldini, Costacurta prima di un derby? «Cercavamo di compattare il gruppo ancora di più. In quel Milan c’erano grandi campioni, abituati a giocare per coppe e scudetti. Quando arrivava il derby, però, noi sentivamo ogni volta l’esigenza di ricordare a chi non era cresciuto al Milan quanto fosse
speciale quella sfida. Il messaggio era: devi dare il massimo per il club, per te stesso, ma anche per noi».

«Quando il nostro pullman passava da piazzale Lotto c’era una signora che si affacciava al balcone e sventolava la bandiera rossonera. Se non succedeva, qualcosa sarebbe andato storto. Fu così che una volta scoprimmo che era Capello a farla chiamare tutte le volte...».


Bergomi, come si gestisce la pressione di un derby?

«È la gara più importante dell’anno, c’è poco da fare. Per me lo è ancora oggi. Pensi che non riesco a vederla da seduto quando sto a casa. Mia figlia l’ultima volta mi ha detto: “ma perché non ti siedi?”.
Ma niente, faccio avanti e indietro, impossibile provare a rilassarsi. Da giocatore invece era tutta un’altra cosa: io non badavo allo stadio pieno, restavo concentrato su quello che dovevo fare e il pubblico diventava un brusio lontano»



E' stato capitano di tant battaglie pure nelle giovanili, provava a tranquillizzare gli altri?

«No, ognuno ha il proprio modo di vivere il momento. Io mi giocai il primo titolo nei Giovanissimi proprio in un derby, vinto ai supplementari. Negli anni ho sfidato Evani, Incocciati, Battistini, Andrea Icardi. Ragazzi che poi ho ritrovato nei derby in A. La rivalità è sempre stata sana. cominciava e finiva tutto in campo, con grande rispetto. Una volta provai a battere una punizione veloce, Maldini mi pestò la mano, poi mi fece l’occhiolino: finita lì».

Inter avvantaggiata dopo aver stravinto la Supercoppa?

Sarebbe imperdonabile pensarla così. Bisogna resettare tutto. Il derby
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«Con senso di responsabilità, perché il derby è l’unica partita di campionato che si vive sempre come un dentro o fuori. Pensate a un turno a eliminazione diretta del Mondiale o di Champions: ecco, quando Milan e Inter si affrontano la pressione sale a
quei livelli. E il fatto che si giochi il 5 febbraio, come per il 2-1 dell’anno scorso deciso da Giroud, è un’immagine simbolicamente potente: il 5 febbraio ha segnato e segnerà la storia del Milan di Pioli».

Cosa faceva gente come Albertini, Baresi, Maldini, Costacurta prima di un derby? «Cercavamo di compattare il gruppo ancora di più. In quel Milan c’erano grandi campioni, abituati a giocare per coppe e scudetti. Quando arrivava il derby, però, noi sentivamo ogni volta l’esigenza di ricordare a chi non era cresciuto al Milan quanto fosse
speciale quella sfida. Il messaggio era: devi dare il massimo per il club, per te stesso, ma anche per noi».

«Quando il nostro pullman passava da piazzale Lotto c’era una signora che si affacciava al balcone e sventolava la bandiera rossonera. Se non succedeva, qualcosa sarebbe andato storto. Fu così che una volta scoprimmo che era Capello a farla chiamare tutte le volte...».


Bergomi, come si gestisce la pressione di un derby?

«È la gara più importante dell’anno, c’è poco da fare. Per me lo è ancora oggi. Pensi che non riesco a vederla da seduto quando sto a casa. Mia figlia l’ultima volta mi ha detto: “ma perché non ti siedi?”.
Ma niente, faccio avanti e indietro, impossibile provare a rilassarsi. Da giocatore invece era tutta un’altra cosa: io non badavo allo stadio pieno, restavo concentrato su quello che dovevo fare e il pubblico diventava un brusio lontano»



E' stato capitano di tant battaglie pure nelle giovanili, provava a tranquillizzare gli altri?

«No, ognuno ha il proprio modo di vivere il momento. Io mi giocai il primo titolo nei Giovanissimi proprio in un derby, vinto ai supplementari. Negli anni ho sfidato Evani, Incocciati, Battistini, Andrea Icardi. Ragazzi che poi ho ritrovato nei derby in A. La rivalità è sempre stata sana. cominciava e finiva tutto in campo, con grande rispetto. Una volta provai a battere una punizione veloce, Maldini mi pestò la mano, poi mi fece l’occhiolino: finita lì».

Inter avvantaggiata dopo aver stravinto la Supercoppa?

Sarebbe imperdonabile pensarla così. Bisogna resettare tutto. Il derby
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Berti credo sia l'emblema perfetto dell'interismo e degli interisti.
Nicolino berti.
 
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«Con senso di responsabilità, perché il derby è l’unica partita di campionato che si vive sempre come un dentro o fuori. Pensate a un turno a eliminazione diretta del Mondiale o di Champions: ecco, quando Milan e Inter si affrontano la pressione sale a
quei livelli. E il fatto che si giochi il 5 febbraio, come per il 2-1 dell’anno scorso deciso da Giroud, è un’immagine simbolicamente potente: il 5 febbraio ha segnato e segnerà la storia del Milan di Pioli».

Cosa faceva gente come Albertini, Baresi, Maldini, Costacurta prima di un derby? «Cercavamo di compattare il gruppo ancora di più. In quel Milan c’erano grandi campioni, abituati a giocare per coppe e scudetti. Quando arrivava il derby, però, noi sentivamo ogni volta l’esigenza di ricordare a chi non era cresciuto al Milan quanto fosse
speciale quella sfida. Il messaggio era: devi dare il massimo per il club, per te stesso, ma anche per noi».

«Quando il nostro pullman passava da piazzale Lotto c’era una signora che si affacciava al balcone e sventolava la bandiera rossonera. Se non succedeva, qualcosa sarebbe andato storto. Fu così che una volta scoprimmo che era Capello a farla chiamare tutte le volte...».


Bergomi, come si gestisce la pressione di un derby?

«È la gara più importante dell’anno, c’è poco da fare. Per me lo è ancora oggi. Pensi che non riesco a vederla da seduto quando sto a casa. Mia figlia l’ultima volta mi ha detto: “ma perché non ti siedi?”.
Ma niente, faccio avanti e indietro, impossibile provare a rilassarsi. Da giocatore invece era tutta un’altra cosa: io non badavo allo stadio pieno, restavo concentrato su quello che dovevo fare e il pubblico diventava un brusio lontano»



E' stato capitano di tant battaglie pure nelle giovanili, provava a tranquillizzare gli altri?

«No, ognuno ha il proprio modo di vivere il momento. Io mi giocai il primo titolo nei Giovanissimi proprio in un derby, vinto ai supplementari. Negli anni ho sfidato Evani, Incocciati, Battistini, Andrea Icardi. Ragazzi che poi ho ritrovato nei derby in A. La rivalità è sempre stata sana. cominciava e finiva tutto in campo, con grande rispetto. Una volta provai a battere una punizione veloce, Maldini mi pestò la mano, poi mi fece l’occhiolino: finita lì».

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Sarebbe imperdonabile pensarla così. Bisogna resettare tutto. Il derby
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Derby che sento 0. Le ultime settimane sono state devastanti.
 

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quei livelli. E il fatto che si giochi il 5 febbraio, come per il 2-1 dell’anno scorso deciso da Giroud, è un’immagine simbolicamente potente: il 5 febbraio ha segnato e segnerà la storia del Milan di Pioli».

Cosa faceva gente come Albertini, Baresi, Maldini, Costacurta prima di un derby? «Cercavamo di compattare il gruppo ancora di più. In quel Milan c’erano grandi campioni, abituati a giocare per coppe e scudetti. Quando arrivava il derby, però, noi sentivamo ogni volta l’esigenza di ricordare a chi non era cresciuto al Milan quanto fosse
speciale quella sfida. Il messaggio era: devi dare il massimo per il club, per te stesso, ma anche per noi».

«Quando il nostro pullman passava da piazzale Lotto c’era una signora che si affacciava al balcone e sventolava la bandiera rossonera. Se non succedeva, qualcosa sarebbe andato storto. Fu così che una volta scoprimmo che era Capello a farla chiamare tutte le volte...».


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«È la gara più importante dell’anno, c’è poco da fare. Per me lo è ancora oggi. Pensi che non riesco a vederla da seduto quando sto a casa. Mia figlia l’ultima volta mi ha detto: “ma perché non ti siedi?”.
Ma niente, faccio avanti e indietro, impossibile provare a rilassarsi. Da giocatore invece era tutta un’altra cosa: io non badavo allo stadio pieno, restavo concentrato su quello che dovevo fare e il pubblico diventava un brusio lontano»



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«No, ognuno ha il proprio modo di vivere il momento. Io mi giocai il primo titolo nei Giovanissimi proprio in un derby, vinto ai supplementari. Negli anni ho sfidato Evani, Incocciati, Battistini, Andrea Icardi. Ragazzi che poi ho ritrovato nei derby in A. La rivalità è sempre stata sana. cominciava e finiva tutto in campo, con grande rispetto. Una volta provai a battere una punizione veloce, Maldini mi pestò la mano, poi mi fece l’occhiolino: finita lì».

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