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Franco Ordine dal CorSport in edicola oggi, 4 marzo sul Milan e su Gazidis
Ivan Gazidis ha centrato un record sensazionale: in 18 mesi di discutibile guida del Milan, senza ancora spiccica-
re una parola d’italiano, è riuscito nell’impresa di far precipitare, agli occhi dei tifosi rossoneri, l’immagine del fondo Elliott e di rispedire il club all’anno zero liquidando in sequenza tre allenatori e altrettanti dirigenti dell’area tecnica, con pesante ricaduta sul bilancio. L’azionista, al debutto nel mondo del calcio, con un portafoglio da 35 miliardi di dollari e una carriera collaudata di successi nella finanza, si è fidato di un amico personale della famiglia Singer probabilmente sottovalutando i rischi di un’impresa del genere (il club perde attualmente circa 10-15 milioni al mese), ingolosito dall’affare potenziale: l’acquisizione delle azioni rossonere è costata 320 milioni, l’intento scoperto è ancora quello di rivenderle realizzando una cospicua pluvalenza. Gazidis, che all’Arsenal si occupava solo di conti delegando al tecnico Wenger la competenza calcistica, prima si è fidato di Leonardo lasciandogli fare le due operazioni (Piatek e Paquetà) di mercato che hanno appesantito il deficit senza far decollare la cifra tecnica del team, poi ha passato la delega a Boban e Maldini e dinanzi ai primi deludenti risultati dell’autunno 2019 ha deciso di fare tutto da solo. Così è andato in Germania, ha contattato Ralf Rangnick, ha raggiunto un accordo di massima (che prevede una penale in caso di mancato rispetto) per la prossima stagione, senza informare i suoi due più stretti collaboratori che l’hanno scoperto sui giornali. A dire il vero, il sud-africano, arrivato a casa Milan con la fama e la promessa di moltiplicare gli introiti da sponsor, ha prodotto risultati egualmente deludenti nel suo settore, perché i ricavi sono crollati a dispetto dei ripetuti cambi di manager assunti. Poi quando ha provato a ricucire lo strappo provocato dalla scoperta dell’affare Rangnick e dalla bocciatura pubblica di Maldini («il tedesco non è un profilo adatto al Milan»), è andato nella redazione di giornale a raccontare la favola di Cappuccetto rosso, e cioè «andiamo d’amore e d’accordo», invece di chiamare i due nella sua stanza e raggiungere una tregua armata per amore del Milan e della squadra impegnata in una lenta risalita. Boban, un hombre vertical, non ha sopportato l’affronto e gli ha piazzato una bomba sotto la scrivania con l’intervista nella quale ha chiamato Elliott a scegliere tra il croato e l’ad, sa- pendo benissimo quale sarebbe stata la risposta da Londra. Ma soprattutto intimamente convinto che il piano industriale deciso da Elliott e condiviso da Gazidis (solo calciatori giovani da valorizzare) non porterà il Milan a riguadagnare il suo storico ruolo di leader del calcio italiano ed europeo, traguardo per il quale si sono impegnati con i tifosi. Non solo. Ma l’ultimo capolavoro realizzato da Gazidis è il seguente: da un sondaggio effettuato presso la tifoseria rosso- nera, la scelta di Rangnick è risultata osteggiata dal 90%, che vuol dire zero fiducia nel futuro e nella scelta del modello Arsenal.
Ivan Gazidis ha centrato un record sensazionale: in 18 mesi di discutibile guida del Milan, senza ancora spiccica-
re una parola d’italiano, è riuscito nell’impresa di far precipitare, agli occhi dei tifosi rossoneri, l’immagine del fondo Elliott e di rispedire il club all’anno zero liquidando in sequenza tre allenatori e altrettanti dirigenti dell’area tecnica, con pesante ricaduta sul bilancio. L’azionista, al debutto nel mondo del calcio, con un portafoglio da 35 miliardi di dollari e una carriera collaudata di successi nella finanza, si è fidato di un amico personale della famiglia Singer probabilmente sottovalutando i rischi di un’impresa del genere (il club perde attualmente circa 10-15 milioni al mese), ingolosito dall’affare potenziale: l’acquisizione delle azioni rossonere è costata 320 milioni, l’intento scoperto è ancora quello di rivenderle realizzando una cospicua pluvalenza. Gazidis, che all’Arsenal si occupava solo di conti delegando al tecnico Wenger la competenza calcistica, prima si è fidato di Leonardo lasciandogli fare le due operazioni (Piatek e Paquetà) di mercato che hanno appesantito il deficit senza far decollare la cifra tecnica del team, poi ha passato la delega a Boban e Maldini e dinanzi ai primi deludenti risultati dell’autunno 2019 ha deciso di fare tutto da solo. Così è andato in Germania, ha contattato Ralf Rangnick, ha raggiunto un accordo di massima (che prevede una penale in caso di mancato rispetto) per la prossima stagione, senza informare i suoi due più stretti collaboratori che l’hanno scoperto sui giornali. A dire il vero, il sud-africano, arrivato a casa Milan con la fama e la promessa di moltiplicare gli introiti da sponsor, ha prodotto risultati egualmente deludenti nel suo settore, perché i ricavi sono crollati a dispetto dei ripetuti cambi di manager assunti. Poi quando ha provato a ricucire lo strappo provocato dalla scoperta dell’affare Rangnick e dalla bocciatura pubblica di Maldini («il tedesco non è un profilo adatto al Milan»), è andato nella redazione di giornale a raccontare la favola di Cappuccetto rosso, e cioè «andiamo d’amore e d’accordo», invece di chiamare i due nella sua stanza e raggiungere una tregua armata per amore del Milan e della squadra impegnata in una lenta risalita. Boban, un hombre vertical, non ha sopportato l’affronto e gli ha piazzato una bomba sotto la scrivania con l’intervista nella quale ha chiamato Elliott a scegliere tra il croato e l’ad, sa- pendo benissimo quale sarebbe stata la risposta da Londra. Ma soprattutto intimamente convinto che il piano industriale deciso da Elliott e condiviso da Gazidis (solo calciatori giovani da valorizzare) non porterà il Milan a riguadagnare il suo storico ruolo di leader del calcio italiano ed europeo, traguardo per il quale si sono impegnati con i tifosi. Non solo. Ma l’ultimo capolavoro realizzato da Gazidis è il seguente: da un sondaggio effettuato presso la tifoseria rosso- nera, la scelta di Rangnick è risultata osteggiata dal 90%, che vuol dire zero fiducia nel futuro e nella scelta del modello Arsenal.