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Monti scrive un editoriale sul Corriere della Sera sulla sua esperienza dieci anni fa.
Ecco una parte:
"Il 5 agosto 2011 la Banca Centrale Europea inviò al governo italiano una lettera segreta, poi rivelata dal Corriere della Sera il 29 settembre, che sarebbe entrata nella storia economica e politica italiana.
Firmata da Jean-Claude Trichet, presidente della Bce, e da Mario Draghi, membro del Consiglio direttivo della stessa in quanto governatore della Banca d’Italia, designato quale nuovo presidente, la lettera era indirizzata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Quella missiva avrebbe profondamente influenzato la politica e l’economia del nostro Paese
Essa è stata oggetto di commenti, polemiche e dimenticanze a non finire.
Dopo dieci anni, è ora di trarre da quella vicenda alcuni insegnamenti, tre soprattutto, sui quali riflettere per il presente e per il futuro.
1) Non rendersi dipendenti dagli aiuti altrui.
Se il governo e la maggioranza dell’epoca fossero stati in grado di realizzare una politica economica coerente e credibile, l’Italia non avrebbe perso la fiducia dei mercati, lo spread non sarebbe salito in pochi mesi da 150 ad oltre 500 punti, gli acquisti di titoli del Tesoro italiano da parte della Bce non sarebbero diventati indispensabili, la Bce non si sarebbe eretta a «podestà forestiero» travalicando il proprio mandato, il governo non si sarebbe piegato, come fece, ad una precipitosa soluzione eterodiretta.
Anche sulla base di quella fase, umiliante e pericolosa, il governo che in novembre venne chiamato a succedere al governo Berlusconi dopo le sue dimissioni, chiese al Paese gli sforzi necessari per superare la precaria situazione finanziaria ma non volle chiedere (né accettò, quando vennero offerti) aiuti esterni.
2) Evitare gli eccessi di restrizione.
La vicenda di dieci anni fa offre insegnamenti non solo all’Italia, ma anche all’Europa.
Nella sostanza, varie richieste di Trichet e Draghi all’Italia erano simili a quelle su cui vari organismi internazionali ed economisti italiani insistevano da tempo.
Ed era la stessa linea della Commissione europea e dei leader dei maggiori Paesi. Tra le richieste, la riforma delle pensioni, alla quale si opponeva la Lega, pomo della discordia che contribuì al venir meno della maggioranza di Berlusconi.
Ma sotto il profilo del riequilibrio di bilancio — o dell’austerità, che per anni avrebbe reso più difficile la vita degli italiani e avvelenato il dibattito politico — la Bce peccò decisamente per eccesso, sia in generale che nei confronti dell’Italia. In generale, quando nel dicembre 2011 il presidente Draghi chiese il fiscal compactper una più stretta disciplina sul disavanzo e sul debito pubblico di ogni Paese.
Nei confronti dell’Italia, quando nella lettera di agosto Trichet e il suo successore imposero, e il governo Berlusconi accettò, che per il nostro Paese, e solo per esso, l’impegno ad azzerare il disavanzo venisse anticipato dal 2014 al 2013.
Il governo successivo chiese che, a fronte della robusta manovra subito programmata, venisse consentita un’attuazione meno brusca, con l’obiettivo del pareggio riportato al 2014.
I presidenti della Commissione europea e del Consiglio, consultati in via riservata, risposero di no: l’annuncio di un rientro meno veloce di quello imposto dalla Bce sarebbe stato preso malissimo dai mercati, il rischio di default si sarebbe ripresentato.
3) Evitare gli eccessi di condiscendenza.
Guardando indietro a quella stagione, vi è oggi un consenso sul fatto che le politiche di bilancio volute dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale siano state troppo restrittive e pro-cicliche, abbiano cioè aggravato la recessione in corso in quegli anni.
Le conseguenze sono state pesanti, soprattutto in Paesi come la Grecia.
Di lì a poco, nel 2015, la Commissione intraprese una linea di notevole condiscendenza: agli Stati membri venne concessa molta flessibilità, di cui l’Italia si avvalse a piene mani, benché purtroppo per spesa corrente e trasferimenti a varie fasce di elettorato, non per investimenti.
In parallelo, la Bce con il quantitative easing assicurava una liquidità praticamente illimitata e tassi di interesse molto bassi o negativi. Anche prima che intervenisse la pandemia, autorevoli banchieri ed economisti internazionali — compresi alcuni che più avevano spinto a suo tempo per severe restrizioni — hanno sostenuto, e ancor più sostengono oggi, la necessità di politiche monetarie e fiscali fortemente e durevolmente espansive.
Di volta in volta, vi possono essere motivi per giustificare il nuovo corso.
Ma vanno anche considerati i rischi che può comportare questo aggressivo incoraggiamento a misure comunque espansionistiche, che tra l’altro accentuano l’andamento pro-ciclico delle economie, sostenendo ad oltranza con moneta e debito una crescita già soddisfacente.."
Ecco una parte:
"Il 5 agosto 2011 la Banca Centrale Europea inviò al governo italiano una lettera segreta, poi rivelata dal Corriere della Sera il 29 settembre, che sarebbe entrata nella storia economica e politica italiana.
Firmata da Jean-Claude Trichet, presidente della Bce, e da Mario Draghi, membro del Consiglio direttivo della stessa in quanto governatore della Banca d’Italia, designato quale nuovo presidente, la lettera era indirizzata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Quella missiva avrebbe profondamente influenzato la politica e l’economia del nostro Paese
Essa è stata oggetto di commenti, polemiche e dimenticanze a non finire.
Dopo dieci anni, è ora di trarre da quella vicenda alcuni insegnamenti, tre soprattutto, sui quali riflettere per il presente e per il futuro.
1) Non rendersi dipendenti dagli aiuti altrui.
Se il governo e la maggioranza dell’epoca fossero stati in grado di realizzare una politica economica coerente e credibile, l’Italia non avrebbe perso la fiducia dei mercati, lo spread non sarebbe salito in pochi mesi da 150 ad oltre 500 punti, gli acquisti di titoli del Tesoro italiano da parte della Bce non sarebbero diventati indispensabili, la Bce non si sarebbe eretta a «podestà forestiero» travalicando il proprio mandato, il governo non si sarebbe piegato, come fece, ad una precipitosa soluzione eterodiretta.
Anche sulla base di quella fase, umiliante e pericolosa, il governo che in novembre venne chiamato a succedere al governo Berlusconi dopo le sue dimissioni, chiese al Paese gli sforzi necessari per superare la precaria situazione finanziaria ma non volle chiedere (né accettò, quando vennero offerti) aiuti esterni.
2) Evitare gli eccessi di restrizione.
La vicenda di dieci anni fa offre insegnamenti non solo all’Italia, ma anche all’Europa.
Nella sostanza, varie richieste di Trichet e Draghi all’Italia erano simili a quelle su cui vari organismi internazionali ed economisti italiani insistevano da tempo.
Ed era la stessa linea della Commissione europea e dei leader dei maggiori Paesi. Tra le richieste, la riforma delle pensioni, alla quale si opponeva la Lega, pomo della discordia che contribuì al venir meno della maggioranza di Berlusconi.
Ma sotto il profilo del riequilibrio di bilancio — o dell’austerità, che per anni avrebbe reso più difficile la vita degli italiani e avvelenato il dibattito politico — la Bce peccò decisamente per eccesso, sia in generale che nei confronti dell’Italia. In generale, quando nel dicembre 2011 il presidente Draghi chiese il fiscal compactper una più stretta disciplina sul disavanzo e sul debito pubblico di ogni Paese.
Nei confronti dell’Italia, quando nella lettera di agosto Trichet e il suo successore imposero, e il governo Berlusconi accettò, che per il nostro Paese, e solo per esso, l’impegno ad azzerare il disavanzo venisse anticipato dal 2014 al 2013.
Il governo successivo chiese che, a fronte della robusta manovra subito programmata, venisse consentita un’attuazione meno brusca, con l’obiettivo del pareggio riportato al 2014.
I presidenti della Commissione europea e del Consiglio, consultati in via riservata, risposero di no: l’annuncio di un rientro meno veloce di quello imposto dalla Bce sarebbe stato preso malissimo dai mercati, il rischio di default si sarebbe ripresentato.
3) Evitare gli eccessi di condiscendenza.
Guardando indietro a quella stagione, vi è oggi un consenso sul fatto che le politiche di bilancio volute dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale siano state troppo restrittive e pro-cicliche, abbiano cioè aggravato la recessione in corso in quegli anni.
Le conseguenze sono state pesanti, soprattutto in Paesi come la Grecia.
Di lì a poco, nel 2015, la Commissione intraprese una linea di notevole condiscendenza: agli Stati membri venne concessa molta flessibilità, di cui l’Italia si avvalse a piene mani, benché purtroppo per spesa corrente e trasferimenti a varie fasce di elettorato, non per investimenti.
In parallelo, la Bce con il quantitative easing assicurava una liquidità praticamente illimitata e tassi di interesse molto bassi o negativi. Anche prima che intervenisse la pandemia, autorevoli banchieri ed economisti internazionali — compresi alcuni che più avevano spinto a suo tempo per severe restrizioni — hanno sostenuto, e ancor più sostengono oggi, la necessità di politiche monetarie e fiscali fortemente e durevolmente espansive.
Di volta in volta, vi possono essere motivi per giustificare il nuovo corso.
Ma vanno anche considerati i rischi che può comportare questo aggressivo incoraggiamento a misure comunque espansionistiche, che tra l’altro accentuano l’andamento pro-ciclico delle economie, sostenendo ad oltranza con moneta e debito una crescita già soddisfacente.."