Milan Juve: dati e istinto. La sfida del mercato.

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Nove a quattro, o addirittura nove a due, considerando i giocatori effettivamente nuovi. Sono i numeri dell’opposto mercato estivo di Milan e Juventus, con i rossoneri profondamente rinnovati e i bianconeri solo ritoccati con gli innesti di Weah (unico vero nuovo acquisto) e Cambiaso (già di proprietà ma mai a Torino) e i ritorni di McKennie e Nicolussi Caviglia, partiti in prestito a gennaio scorso.

Un mercato non solo opposto per la quantità di elementi inseriti nelle rispettive rose, ma anche diverso per modo di operare. Solo diverso e non opposto, in questo caso, perché sarebbe troppo semplicistico etichettare il Milan come la società che sceglie i giocatori con l’algoritmo Moneyball e la Juventus come quella che si affida alle intuizioni sul campo di osservatori e dirigenti. Le statistiche dei propri obiettivi di mercato le conoscono anche Cristiano Giuntoli e Giovanni Manna, dt e ds bianconeri. E Geoffrey Moncada, responsabile dell’area scouting rossonera che da quest’estate, dopo l’uscita di Paolo Maldini e Ricky Massara, ha assunto un ruolo più operativo anche sul fronte delle trattative assieme all’ad Giorgio Furlani e al ds Antonio D’Ottavio, le partite le va a vedere eccome: il 23 marzo, per dire, era a Murcia per Belgio-Giappone Under 21.
Sgombrato il campo dall’idea di una contrapposizione assoluta uomo-macchina ( « Non c’è un algoritmo segreto che sputa fuori soluzioni magiche » , ha spiegato Furlani prima della partita con il Dortmund), resta però una diversità di approccio. Sia Milan che Juventus per individuare i giocatori da trattare utilizzano sia i dati che l’osservazione sul campo, ma da quando nell’estate 2022 RedBird ha acquistato la società rossonera ha incrementato il ricorso alle statistiche e il peso dell’algoritmo Moneyball. Algoritmo che era già stato utilizzato da RedBird al Tolosa, altro club di proprietà della società di investimenti americana, e il cui inventore Billy Bean, scout di baseball statunitense interpretato da Brad Pitt nel film intitolato proprio Moneyball, è socio del patron rossonero Gerry Cardinale. Moneyball « non sputa soluzioni magiche » , per dirla alla Furlani, ma screma, raggruppa, indica.
Cristiano Giuntoli poi guarda i dati, ma prima ascolta - la sua rete di osservatori e di amici fidati a cui ora si somma l’area scouting della Juventus guidata da Matteo Tognozzi -, poi vede, di persona e più volte, parla, conosce, dentro e fuori dal campo. E sceglie. Tenendo conto dei dati, ma soprattutto del proprio giudizio frutto di intuito, competenza, esperienza.
Una volta scelti, quale che sia il metodo, poi i giocatori però vanno comprati. E qui torniamo all’ultimo mercato citato all’inizio, questo sì davvero opposto per Milan e Juventus. A causa prima di tutto di quanto avvenuto nella scorsa stagione, con la società bianconera esclusa prima dalla Champions dalla penalizzazione della Figc (a vantaggio proprio dei rossoneri) e poi dalle coppe in genere dalla squalifica della Uefa. E a causa anche di quanto avvenuto in estate, quando il Milan ha ceduto Tonali al Newcastle per 75 milioni mentre la Juve ha tenuto tutti i propri gioielli, ma ha incassato praticamente solo dal riscatto di Kulusevski da parte del Tottenham. Introiti e un bilancio sano, frutto di un’opera di razionalizzazione dei costi avviata da tempo, hanno così permesso al Milan di piazzare tutti i suoi colpi. La necessità di avviarla lui, la razionalizzazione dei costi, senza Champions e senza cessioni pesanti, ha costretto Giuntoli a limitare gli interventi. La possibilità di seguire le proprie intuizioni passa da questo campionato. E ddalla sfida tra due mondi che andrà in scena a San Siro.


Da una parte c’è un club che viene tramandato come un preziosissimo gioiello di famiglia da esattamente un secolo. Alla sua guida si sono alternate quattro generazioni e ce n’è una quinta che già coltiva la passione nata nel 1923. Dall’altra c’è un club, altrettanto storico per il calcio italiano e internazionale, ma che dal giugno del 2022 è di proprietà di un fondo di investimento americano che lo ha acquistato da un altro fondo.

Gli Agnelli e la Juventus, RedBird Capital Partners e il Milan: apparentemente due mondi distanti anni luce, ma guardandoli attentamente forse quella distanza è solo retorica.
Certo, la tradizione non si compra e l’amore che gli Agnelli hanno profuso in cento anni di proprietà juventina sono una delle storie più romantiche del calcio mondiale. Anche vincente, peraltro, ma un secolo di fedeltà assoluta e dedizione così intensa, è innanzitutto una love story. E amare non è un verbo da fondo di investimento (giustamente, aggiungerebbero quelli che ci hanno messo i loro risparmi).
Eppure, dietro la tradizione a l’amore, non bisogna dimenticare che la Juventus di Edoardo, primo Agnelli a essere presidente, nel 1923 nasce con una forte ispirazione industriale. Nello stesso anno, la Fiat inaugura il Lingotto, la prima fabbrica fordista in Italia, nata dall’ispirazione dell’industria americana e dalla razionalizzazione e dalla tecnologia. Il senatore Giovanni, padre di Edoardo, era convinto che quella fosse la strada del futuro e lo stesso Edoardo era andato negli Stati Uniti per studiare da vicino l’industria americana. Quella cultura, quell’approccio, venne inevitabilmente proiettato anche sulla Juventus fin dal primo giorno di proprietà degli Agnelli. «Una cosa fatta bene può sempre essere fatta meglio» era il motto (attribuito sia al padre che al figlio) e, spinto da quello, Edoardo pensava a un modello di calcio meno improvvisato e dilettantesco rispetto a quello dei pionieri. Nel primo stadio di proprietà aveva fatto installare una palestra, aveva delineato la figura dell’allenatore (all’epoca un po’ sfumata), aveva perfino gettato i germi del marketing sportivo con i grandi cartelloni pubblicitari sulle tribune di Corso Marsiglia. Anche i suoi figli che hanno ereditato la Juventus, Gianni prima, Umberto dopo, hanno sempre filtrato la passione con una gestione manageriale all’avanguardia. E Andrea ha percorso, forse ancora più velocemente, la stessa strada. Oggi la Juventus è in mano a John, che guida un grande gruppo industriale e finanziario come Exor, e pensa al club di famiglia con la stessa passione dei suoi precedessori e con la sua cultura manageriale, che ha moltiplicato il valore di Exor in pochissimo tempo. Insomma, se RedBird ha una visione del Milan come quella di un’azienda che deve stare in piedi da sola, quella di Exor non è molto differente. Le declinazioni affettive possono essere differenti, l’obiettivo gestionale in fondo no. Se nel 1923 il calcio poteva essere un hobby (ma, attenzione, anche allora gli Agnelli non ci volevano perdere molti soldi, anzi...), nel 2023 è un business troppo costoso per essere finanziato ad libitum. E amare un club, in fondo, può anche voler dire renderlo solido e sostenibile.
 

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Nove a quattro, o addirittura nove a due, considerando i giocatori effettivamente nuovi. Sono i numeri dell’opposto mercato estivo di Milan e Juventus, con i rossoneri profondamente rinnovati e i bianconeri solo ritoccati con gli innesti di Weah (unico vero nuovo acquisto) e Cambiaso (già di proprietà ma mai a Torino) e i ritorni di McKennie e Nicolussi Caviglia, partiti in prestito a gennaio scorso.

Un mercato non solo opposto per la quantità di elementi inseriti nelle rispettive rose, ma anche diverso per modo di operare. Solo diverso e non opposto, in questo caso, perché sarebbe troppo semplicistico etichettare il Milan come la società che sceglie i giocatori con l’algoritmo Moneyball e la Juventus come quella che si affida alle intuizioni sul campo di osservatori e dirigenti. Le statistiche dei propri obiettivi di mercato le conoscono anche Cristiano Giuntoli e Giovanni Manna, dt e ds bianconeri. E Geoffrey Moncada, responsabile dell’area scouting rossonera che da quest’estate, dopo l’uscita di Paolo Maldini e Ricky Massara, ha assunto un ruolo più operativo anche sul fronte delle trattative assieme all’ad Giorgio Furlani e al ds Antonio D’Ottavio, le partite le va a vedere eccome: il 23 marzo, per dire, era a Murcia per Belgio-Giappone Under 21.
Sgombrato il campo dall’idea di una contrapposizione assoluta uomo-macchina ( « Non c’è un algoritmo segreto che sputa fuori soluzioni magiche » , ha spiegato Furlani prima della partita con il Dortmund), resta però una diversità di approccio. Sia Milan che Juventus per individuare i giocatori da trattare utilizzano sia i dati che l’osservazione sul campo, ma da quando nell’estate 2022 RedBird ha acquistato la società rossonera ha incrementato il ricorso alle statistiche e il peso dell’algoritmo Moneyball. Algoritmo che era già stato utilizzato da RedBird al Tolosa, altro club di proprietà della società di investimenti americana, e il cui inventore Billy Bean, scout di baseball statunitense interpretato da Brad Pitt nel film intitolato proprio Moneyball, è socio del patron rossonero Gerry Cardinale. Moneyball « non sputa soluzioni magiche » , per dirla alla Furlani, ma screma, raggruppa, indica.
Cristiano Giuntoli poi guarda i dati, ma prima ascolta - la sua rete di osservatori e di amici fidati a cui ora si somma l’area scouting della Juventus guidata da Matteo Tognozzi -, poi vede, di persona e più volte, parla, conosce, dentro e fuori dal campo. E sceglie. Tenendo conto dei dati, ma soprattutto del proprio giudizio frutto di intuito, competenza, esperienza.
Una volta scelti, quale che sia il metodo, poi i giocatori però vanno comprati. E qui torniamo all’ultimo mercato citato all’inizio, questo sì davvero opposto per Milan e Juventus. A causa prima di tutto di quanto avvenuto nella scorsa stagione, con la società bianconera esclusa prima dalla Champions dalla penalizzazione della Figc (a vantaggio proprio dei rossoneri) e poi dalle coppe in genere dalla squalifica della Uefa. E a causa anche di quanto avvenuto in estate, quando il Milan ha ceduto Tonali al Newcastle per 75 milioni mentre la Juve ha tenuto tutti i propri gioielli, ma ha incassato praticamente solo dal riscatto di Kulusevski da parte del Tottenham. Introiti e un bilancio sano, frutto di un’opera di razionalizzazione dei costi avviata da tempo, hanno così permesso al Milan di piazzare tutti i suoi colpi. La necessità di avviarla lui, la razionalizzazione dei costi, senza Champions e senza cessioni pesanti, ha costretto Giuntoli a limitare gli interventi. La possibilità di seguire le proprie intuizioni passa da questo campionato. E ddalla sfida tra due mondi che andrà in scena a San Siro.


Da una parte c’è un club che viene tramandato come un preziosissimo gioiello di famiglia da esattamente un secolo. Alla sua guida si sono alternate quattro generazioni e ce n’è una quinta che già coltiva la passione nata nel 1923. Dall’altra c’è un club, altrettanto storico per il calcio italiano e internazionale, ma che dal giugno del 2022 è di proprietà di un fondo di investimento americano che lo ha acquistato da un altro fondo.

Gli Agnelli e la Juventus, RedBird Capital Partners e il Milan: apparentemente due mondi distanti anni luce, ma guardandoli attentamente forse quella distanza è solo retorica.
Certo, la tradizione non si compra e l’amore che gli Agnelli hanno profuso in cento anni di proprietà juventina sono una delle storie più romantiche del calcio mondiale. Anche vincente, peraltro, ma un secolo di fedeltà assoluta e dedizione così intensa, è innanzitutto una love story. E amare non è un verbo da fondo di investimento (giustamente, aggiungerebbero quelli che ci hanno messo i loro risparmi).
Eppure, dietro la tradizione a l’amore, non bisogna dimenticare che la Juventus di Edoardo, primo Agnelli a essere presidente, nel 1923 nasce con una forte ispirazione industriale. Nello stesso anno, la Fiat inaugura il Lingotto, la prima fabbrica fordista in Italia, nata dall’ispirazione dell’industria americana e dalla razionalizzazione e dalla tecnologia. Il senatore Giovanni, padre di Edoardo, era convinto che quella fosse la strada del futuro e lo stesso Edoardo era andato negli Stati Uniti per studiare da vicino l’industria americana. Quella cultura, quell’approccio, venne inevitabilmente proiettato anche sulla Juventus fin dal primo giorno di proprietà degli Agnelli. «Una cosa fatta bene può sempre essere fatta meglio» era il motto (attribuito sia al padre che al figlio) e, spinto da quello, Edoardo pensava a un modello di calcio meno improvvisato e dilettantesco rispetto a quello dei pionieri. Nel primo stadio di proprietà aveva fatto installare una palestra, aveva delineato la figura dell’allenatore (all’epoca un po’ sfumata), aveva perfino gettato i germi del marketing sportivo con i grandi cartelloni pubblicitari sulle tribune di Corso Marsiglia. Anche i suoi figli che hanno ereditato la Juventus, Gianni prima, Umberto dopo, hanno sempre filtrato la passione con una gestione manageriale all’avanguardia. E Andrea ha percorso, forse ancora più velocemente, la stessa strada. Oggi la Juventus è in mano a John, che guida un grande gruppo industriale e finanziario come Exor, e pensa al club di famiglia con la stessa passione dei suoi precedessori e con la sua cultura manageriale, che ha moltiplicato il valore di Exor in pochissimo tempo. Insomma, se RedBird ha una visione del Milan come quella di un’azienda che deve stare in piedi da sola, quella di Exor non è molto differente. Le declinazioni affettive possono essere differenti, l’obiettivo gestionale in fondo no. Se nel 1923 il calcio poteva essere un hobby (ma, attenzione, anche allora gli Agnelli non ci volevano perdere molti soldi, anzi...), nel 2023 è un business troppo costoso per essere finanziato ad libitum. E amare un club, in fondo, può anche voler dire renderlo solido e sostenibile.
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Nove a quattro, o addirittura nove a due, considerando i giocatori effettivamente nuovi. Sono i numeri dell’opposto mercato estivo di Milan e Juventus, con i rossoneri profondamente rinnovati e i bianconeri solo ritoccati con gli innesti di Weah (unico vero nuovo acquisto) e Cambiaso (già di proprietà ma mai a Torino) e i ritorni di McKennie e Nicolussi Caviglia, partiti in prestito a gennaio scorso.

Un mercato non solo opposto per la quantità di elementi inseriti nelle rispettive rose, ma anche diverso per modo di operare. Solo diverso e non opposto, in questo caso, perché sarebbe troppo semplicistico etichettare il Milan come la società che sceglie i giocatori con l’algoritmo Moneyball e la Juventus come quella che si affida alle intuizioni sul campo di osservatori e dirigenti. Le statistiche dei propri obiettivi di mercato le conoscono anche Cristiano Giuntoli e Giovanni Manna, dt e ds bianconeri. E Geoffrey Moncada, responsabile dell’area scouting rossonera che da quest’estate, dopo l’uscita di Paolo Maldini e Ricky Massara, ha assunto un ruolo più operativo anche sul fronte delle trattative assieme all’ad Giorgio Furlani e al ds Antonio D’Ottavio, le partite le va a vedere eccome: il 23 marzo, per dire, era a Murcia per Belgio-Giappone Under 21.
Sgombrato il campo dall’idea di una contrapposizione assoluta uomo-macchina ( « Non c’è un algoritmo segreto che sputa fuori soluzioni magiche » , ha spiegato Furlani prima della partita con il Dortmund), resta però una diversità di approccio. Sia Milan che Juventus per individuare i giocatori da trattare utilizzano sia i dati che l’osservazione sul campo, ma da quando nell’estate 2022 RedBird ha acquistato la società rossonera ha incrementato il ricorso alle statistiche e il peso dell’algoritmo Moneyball. Algoritmo che era già stato utilizzato da RedBird al Tolosa, altro club di proprietà della società di investimenti americana, e il cui inventore Billy Bean, scout di baseball statunitense interpretato da Brad Pitt nel film intitolato proprio Moneyball, è socio del patron rossonero Gerry Cardinale. Moneyball « non sputa soluzioni magiche » , per dirla alla Furlani, ma screma, raggruppa, indica.
Cristiano Giuntoli poi guarda i dati, ma prima ascolta - la sua rete di osservatori e di amici fidati a cui ora si somma l’area scouting della Juventus guidata da Matteo Tognozzi -, poi vede, di persona e più volte, parla, conosce, dentro e fuori dal campo. E sceglie. Tenendo conto dei dati, ma soprattutto del proprio giudizio frutto di intuito, competenza, esperienza.
Una volta scelti, quale che sia il metodo, poi i giocatori però vanno comprati. E qui torniamo all’ultimo mercato citato all’inizio, questo sì davvero opposto per Milan e Juventus. A causa prima di tutto di quanto avvenuto nella scorsa stagione, con la società bianconera esclusa prima dalla Champions dalla penalizzazione della Figc (a vantaggio proprio dei rossoneri) e poi dalle coppe in genere dalla squalifica della Uefa. E a causa anche di quanto avvenuto in estate, quando il Milan ha ceduto Tonali al Newcastle per 75 milioni mentre la Juve ha tenuto tutti i propri gioielli, ma ha incassato praticamente solo dal riscatto di Kulusevski da parte del Tottenham.
Introiti e un bilancio sano, frutto di un’opera di razionalizzazione dei costi avviata da tempo, hanno così permesso al Milan di piazzare tutti i suoi colpi. La necessità di avviarla lui, la razionalizzazione dei costi, senza Champions e senza cessioni pesanti, ha costretto Giuntoli a limitare gli interventi. La possibilità di seguire le proprie intuizioni passa da questo campionato. E ddalla sfida tra due mondi che andrà in scena a San Siro.


Da una parte c’è un club che viene tramandato come un preziosissimo gioiello di famiglia da esattamente un secolo. Alla sua guida si sono alternate quattro generazioni e ce n’è una quinta che già coltiva la passione nata nel 1923. Dall’altra c’è un club, altrettanto storico per il calcio italiano e internazionale, ma che dal giugno del 2022 è di proprietà di un fondo di investimento americano che lo ha acquistato da un altro fondo.

Gli Agnelli e la Juventus, RedBird Capital Partners e il Milan: apparentemente due mondi distanti anni luce, ma guardandoli attentamente forse quella distanza è solo retorica.
Certo, la tradizione non si compra e l’amore che gli Agnelli hanno profuso in cento anni di proprietà juventina sono una delle storie più romantiche del calcio mondiale. Anche vincente, peraltro, ma un secolo di fedeltà assoluta e dedizione così intensa, è innanzitutto una love story. E amare non è un verbo da fondo di investimento (giustamente, aggiungerebbero quelli che ci hanno messo i loro risparmi).
Eppure, dietro la tradizione a l’amore, non bisogna dimenticare che la Juventus di Edoardo, primo Agnelli a essere presidente, nel 1923 nasce con una forte ispirazione industriale. Nello stesso anno, la Fiat inaugura il Lingotto, la prima fabbrica fordista in Italia, nata dall’ispirazione dell’industria americana e dalla razionalizzazione e dalla tecnologia. Il senatore Giovanni, padre di Edoardo, era convinto che quella fosse la strada del futuro e lo stesso Edoardo era andato negli Stati Uniti per studiare da vicino l’industria americana. Quella cultura, quell’approccio, venne inevitabilmente proiettato anche sulla Juventus fin dal primo giorno di proprietà degli Agnelli. «Una cosa fatta bene può sempre essere fatta meglio» era il motto (attribuito sia al padre che al figlio) e, spinto da quello, Edoardo pensava a un modello di calcio meno improvvisato e dilettantesco rispetto a quello dei pionieri. Nel primo stadio di proprietà aveva fatto installare una palestra, aveva delineato la figura dell’allenatore (all’epoca un po’ sfumata), aveva perfino gettato i germi del marketing sportivo con i grandi cartelloni pubblicitari sulle tribune di Corso Marsiglia. Anche i suoi figli che hanno ereditato la Juventus, Gianni prima, Umberto dopo, hanno sempre filtrato la passione con una gestione manageriale all’avanguardia. E Andrea ha percorso, forse ancora più velocemente, la stessa strada. Oggi la Juventus è in mano a John, che guida un grande gruppo industriale e finanziario come Exor, e pensa al club di famiglia con la stessa passione dei suoi precedessori e con la sua cultura manageriale, che ha moltiplicato il valore di Exor in pochissimo tempo. Insomma, se RedBird ha una visione del Milan come quella di un’azienda che deve stare in piedi da sola, quella di Exor non è molto differente. Le declinazioni affettive possono essere differenti, l’obiettivo gestionale in fondo no. Se nel 1923 il calcio poteva essere un hobby (ma, attenzione, anche allora gli Agnelli non ci volevano perdere molti soldi, anzi...), nel 2023 è un business troppo costoso per essere finanziato ad libitum. E amare un club, in fondo, può anche voler dire renderlo solido e sostenibile.
1) Loro hanno scelto di tenere tutti i gioielli e sono stati puniti dalla FJGC e dalla UEFA brutta e cattiva, per questo - poverini - non hanno potuto fare mercato (faccina triste).
Peraltro Giuntoli è uno che sta attento: lui "guarda i dati, ma prima ascolta - la sua rete di osservatori e di amici fidati a cui ora si somma l’area scouting della Juventus guidata da Matteo Tognozzi -, poi vede, di persona e più volte, parla, conosce, dentro e fuori dal campo. E sceglie. Tenendo conto dei dati, ma soprattutto del proprio giudizio frutto di intuito, competenza, esperienza", non come quell'arida dirigenza del Milan.

2) Ragazzi ma vogliamo mettere la gestione oculata di una società con l'ammore!? Non scherziamo.


Leggere cose del genere da una parte mi fa ribrezzo, dall'altra mi fa ridere.
 
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