Una idea di calcio, nuova, totalitaria, simile a quella propugnata da Arrigo Sacchi trentadue anni fa, che condizioni positivamente le menti di dirigenti e calciatori sulla esistenza di una via radicale, rivoluzionaria del successo, alternativa a quella nichilista del 'tanto non cambia nulla perché vince sempre la Juventus', e porti la nuova squadra, allora come oggi, ad immortalarsi nell'unica, vera competizione 'aperta', la Champions League. Allora, come oggi, esisteva la Juventus, ed il suo strapotere, reale ed anche solo virtuale, che era quello della Fiat, che reggeva la Confindustria, ponendosi come elemento necessario del sistema economico e sociale, come fulcro del benessere delle classi operaie, e conseguentemente di famiglie, imprese, consumatori del nostro Paese. A ciò, si aggiungeva il soft power di Agnelli, seduttivo ed insinuante, per rendere questo potere non solo imposto, ma anche inevitabile e persino accettabile. Eppure, il solipsismo di Berlusconi, la lucida follia rivoluzionaria, messianica ed integralistica di Sacchi, ed un crogiuolo di talenti da infornare nel concetto di squadra, fecero le cose nuove, rivelando per sempre la vulnerabilità fatale del sistema juventino, la Coppa dei Campioni, l'unica competizione su cui esso non allunga la propria ombra di influenze, e che il nostro club, per storia e per scelta, ha sempre privilegiato, e spesso onorato del proprio nome. Quando Scaroni parla di privilegio della Champions League fa uno stretto ragionamento da manager, ma nei fatti considera un dato storico, irresistibile ed irrinunciabile, che indica la strada per il nostro club, la sua vocazione per il futuro. Leggiamo sempre la storia: come diceva Shakespeare ne 'La tempesta', 'What Is Past / Is Prologue'.