- Registrato
- 6 Agosto 2012
- Messaggi
- 235,807
- Reaction score
- 41,792
Tuttosport in edicola: tutto si può dire fuorché Sergio Conceiçao non sia un allenatore coerente. A Roma, nella finale di Coppa Italia, è andato a fondo con i suoi uomini (Jovic, preferito a Gimenez nonostante la doppietta segnata dal messicano proprio al Bologna in campionato, e Joao Felix, preferito a Chukwueze per motivi imperscrutabili). Lo stesso ha fatto nelle scelte tattiche: è partito con il 3-4-2-1 poi, una volta andato in svantaggio - proprio come accaduto a San Siro (e come quasi sempre accade al Milan) - è tornato al più canonico 4-2-3-1. Problema è che il menù di quanto visto poi all’Olimpico l’aveva già mostrato a Vincenzo Italiano venerdì e mercoledì - come ha perfi damente sottolineato il collega - il Bologna sapeva cosa fare avendo studiato tutte le contromosse per disinnescare gli avversari. E così il sogno di conquistare il secondo titolo in stagione si è tramutato in incubo e - con esso - si è chiusa l’avventura del portoghese al Milan. Del sigaro fumato a Riad dopo la conquista della Supercoppa è rimasta la cenere, come certifi - cato dalle parole dell’ad Furlani nella notte romana: «Non possiamo negare, questa è una stagione fallimentare. Nonostante la vittoria in Supercoppa siamo lontano dai traguardi che ci eravamo prefi ssati. Abbiamo ancora dodici giorni e due partite, cerchiamo di chiudere al meglio, anche se siamo distanti dai traguardi che ci eravamo messi ad inizio anno. Condividiamo la delusione dei tifosi. Sono stati fatti vari errori e bisognerà guardare avanti e correggerli per tornare dove ci aspettiamo di essere noi dirigenti e i tifosi». Sullo spiedo finirà l’allenatore che però è anche l’ultimo dei colpevoli. Le radici del fallimento sono profonde e risalgono alla cacciata di Maldini e Massara. Perché Furlani, garante nel club per conto di Elliott (nel pomeriggio prima della partita ha avuto un colloquio con Gordon Singer, presente allo stadio) non ha spalle larghe ed esperienza per occuparsi anche dell’area tecnica, perché Zlatan Ibrahimovic si è distinto per dichiarazioni da super-uomo e autogol clamorosi (ultimo la sua presenza al Foro Italico per gustarsi Sinner alla vigilia del match più importante della stagione mentre Conceiçao era in conferenza stampa), perché Moncada è un ottimo talent scout ma non ha ancora il phisique du role per fare il direttore sportivo. Se I dirigenti, mentre Antonio Conte non vedeva l’ora di accasarsi a Milanello per la gioia di tutto il popolo tifoso, hanno partorito l’idea di affidare la panchina a Julen Lopetegui (poi ingaggiato, quindi esonerato dal West Ham, con tutto il rispetto un club di tre categorie inferiore rispetto a quello che dovrebbe rappresentare il Milan), qualche domanda qualcuno dovrebbe porsela. La pezza è stata anche peggio non perché Paulo Fonseca non fosse all’altezza, ma perché è apparso subito come l’allenatore non avesse dietro il giusto supporto da parte della società che - grazie a un contratto capestro fatto firmare all’interessato - l’ha sollevato dall’incarico in una notte kafkiana in cui il poveraccio è stato informato dai giornalisti del fattaccio prima che a comunicarglielo fosse Furlani o chi per lui. Se praticamente in ogni partita i tifosi chiedono a Cardinale di passare la mano con un coro irridente (cosa mai vista a latitudini rossonere, neanche con i cinesi, il che è tutto dire), è perché con scelte quasi autolesionistiche è stato messo alla porta Maldini, smantellato il centrocampo dello scudetto, congedato Pioli e costruita una babele a Milanello dove gli italiani - zoccolo duro dello spogliatoio all’Inter - sono mosche bianche, difatti nei momenti di crisi solo il povero Gabbia il più delle volte ci mette la faccia un po’ per tutti. Stagioni così, nel calcio, possono capitare: anche nell’età dell’oro berlusconiana ci furono anni di carestia, però ai problemi deve seguire il giusto spirito di autocritica e soluzioni adeguate. Galliani, dopo due annate da film horror chiuse all’11° e al 10° posto, scelse Zaccheroni e gli regalò Bierhoff ed Helveg, suoi pretoriani pure a Udine, e arrivò subito lo scudetto. A Napoli, dopo i disastri post-spallettiani, Aurelio De Laurentiis ha consegnato la squadra in mano a Conte e ha fatto voto del silenzio ritrovando la competitività perduta. Il Milan deve ripartire da un ds - sarebbe folle farne a meno - e da un uomo forte in panchina possibilmente italiano: quella è la via, importante è rendersene conto, magari anche facendo un passo - se non indietro - quanto meno di lato.
