Questa è un'intervista da leggere tutta, è impossibile fare un riassunto.
Maldini, è vero che lei si candiderà per le elezioni politiche nel partito di Berlusconi?
"Io parlo poco, da quando ho smesso di giocare, e in quelle poche occasioni spero di essere chiaro. Eppure ogni tanto escono notizie false. Non è assolutamente vero. Non ho mai ricevuto proposte. Berlusconi, dal 2009 a oggi,
cioè dalla mia ultima partita a San Siro, l'ho visto soltanto alla festa dei suoi 25 anni di presidenza. Poi non l'ho mai più sentito. Inoltre, anzi soprattutto, entrare in politica non è una mia aspirazione".
Il calcio ai calciatori e la politica ai politici.
"Ma no, i calciatori sono uomini come gli altri, e magari possono essere particolarmente sensibili a certe problematiche. Solo che a me la politica non interessa".
Alcuni suoi ex compagni, come Kaladze in Georgia, Shevchenko in Ucraina e Weah in Liberia, sono diventati politici.
"Ma loro rappresentano dei simboli, nei rispettivi paesi, paesi con situazioni particolari. L'Italia è, o dovrebbe essere, un paese con una democrazia un pochino più solida".
Lei, invece, è certamente un simbolo del Milan. E' soltanto perché Berlusconi non l'ha più chiamata che lei non è ancora entrato nel club?
"No. E' perché il Milan, giustamente, fa le sue politiche: le decidono il presidente e la dirigenza ed è normale che sia così".
Però sono già passati 3 anni e mezzo dal suo ritiro: in questo modo non rischia ormai un futuro lontano dal calcio?
"Sì, ma la cosa non mi spaventa. Ho fatto così tanto, nel calcio, che nulla mi toglierà mai quello che c'è stato per 31 anni, da quando cominciai nel settore giovanile del Milan. Il "rischio" di restare fuori dal mondo del calcio, oggettivamente, esiste. Io ho avuto un passato e un legame così forte col Milan che è difficile immaginarmi dentro un'altra realtà, anche europea: le possibilità si assottigliano".
Elenchiamole.
"Con una premessa indispensabile, però. Io non mi sto offrendo al Milan. Io faccio l'imprenditore nel settore immobiliare, ho iniziato quando ancora giocavo e ho ormai un'attività avviata, fuori dal calcio. Se però parliamo di calcio e di quale ruolo potrei avere nel calcio, io rispondo alle domande".
Allenatore?
"Mai preso in considerazione, perché ho visto mio padre e la vita da nomade che faceva. Non fa per me. E poi, se uno fa l'allenatore, deve aprire a tutte le possibilità, come ha fatto legittimamente Leonardo: non può pensare di allenare solo il Milan. Perciò, visto che io non penso di potere lavorare in un altro club italiano, le possibilità che io alleni sono pari allo zero. E in un altro paese poco di più".
Rimane l'incarico dirigenziale.
"Non mi piace la politica, quindi dovrebbe essere qualcosa di legato al calcio in senso stretto".
Cioè?
"Io posso portare la mia conoscenza calcistica: la valutazione dei calciatori e un'esperienza che ho acquisito nella mia lunga carriera. Io credo di avere vissuto tutta l'evoluzione del calcio moderno, quindi sì, potrei fare il dirigente. Nel calcio non è che abbondi la gente competente al 100%. C'è chi si è inventato il lavoro, ma non sempre trovi chi sa di tattica, di calciatori, di psicologia calcistica. Gli anni da capitano del Milan, dal '97 in poi, mi sono serviti tanto. L'ho fatto anche in Nazionale, dal '94 al 2002, ma è stato diverso: in Nazionale gestisci l'evento, nel club la quotidianità. E impari tantissimo".
La Figc, la Fifa o l'Uefa?
"Non ci ho mai pensato sul serio. Un ruolo tanto per averlo o un incarico di rappresentanza non mi interessano".
UNA RISORSA SPRECATA
Intanto lei è una risorsa inutilizzata: non si sente uno spreco?
"Bisogna vedere se io vengo visto come una risorsa o come un problema. Vuole che le dica che cosa mi dà veramente fastidio?".
Prego.
"Parliamo del Milan, perché io ho avuto la fortuna di partecipare a 25 anni splendidi. Beh, quando sono arrivato, io ho trovato già una grande base per costruire una grande squadra: grandi calciatori e grandi persone. Berlusconi è arrivato e ci ha insegnato a pensare in grande. Certo, con gli investimenti, perché comprava i migliori. Ma lui ci ha messo la mentalità nuova, soprattutto: Sacchi e l'idea che il club dovesse diventare un modello per il tipo di gioco, per le vittorie. Insomma, si è creato veramente qualcosa di magico, grazie alla personalità di chi già c'era e di chi è arrivato".
Poi?
"Poi, a poco a poco, questo si è perso e il Milan si è trasformato, da squadra magica, in una squadra assolutamente normale. E sa perché? Perché - a differenza di tanti grandi club europei con un passato simile, tipo Real, Barcellona e Bayern, dove chi ha scritto la storia della squadra è andato a lavorare lì per trasmettere ai giovani quello che aveva imparato - nel Milan la società stessa ha smesso di trasmettere quel messaggio, al di là degli investimenti. All'interno del Milan attuale non c'è nessuno, tra quelli che ne hanno fatto la storia, ad avere un ruolo non marginale".
Il paragone è col Bayern?
"Esatto, ma non solo. Guardi la storia del Bayern e del Real e i ruoli che hanno avuto nel tempo Beckenbauer, Hoeness, Rummenigge, Butragueño, Gallego, Valdano. Anche ai nuovi che arrivano, questa guida e questa magia sono più facili da trasmettere attraverso chi l'ha provata e anche creata. Il Milan è sempre stato una grande squadra, anche ai tempi di mio padre. Ma la grande magia c'è stata per 25 anni. Poi s'è persa".
E' un processo irreversibile?
"Valutare la programmazione di questo Milan è difficile. In estate sono andati via 12 giocatori di grande personalità e non mettere in conto un inizio di stagione complicato mi sembra non programmare il futuro e aspettare il mercato invernale. Dove di affari veri, in genere, se ne fanno pochi".
Galliani, però, ha spiegato spesso che era tutto previsto e che questo è l'anno 1.
"Io vedo sinceramente poca programmazione. Magari mi sbaglierò, ma certe scelte di giocatori, anche se a parametro zero, sono lontane dall'idea di un programma studiato".
Berlusconi ha appena parlato di una nuova politica, basata solo sugli Under 22.
"Quelli davvero bravi costano dai 20 milioni in su e non ce ne sono tanti. Abbassare il monte ingaggi e ringiovanire la rosa è fondamentale, d'accordo. Ma la valutazione dei giocatori non so da chi venga, visto che Braida fa sempre meno quel lavoro".
Ci si affida sempre a un procuratore di riferimento, come Raiola.
"E' la logica degli ultimi anni. Le racconto una cosa. Gli ultimi due allenatori hanno cercato di portarmi dentro. Leonardo mi voleva a Milanello: "Anche senza fare niente - mi diceva - solo con la tua presenza". Ma io gli risposi che non aveva senso presentarmi a Milanello senza un ruolo".
Lei avrebbe fatto il direttore sportivo?
"Galliani, in presenza di Leo, mi disse che il ds è una figura non esiste più e che il Milan era a posto in quel ruolo. A me sembra invece che ci sia carenza".
Continua al secondo post
Maldini, l'esilio di una bandiera: "Che amarezza il Milan senza magia" - Repubblica.it
Grande Paolo e scusa di aver dubitato di te. Uomo vero
Maldini, è vero che lei si candiderà per le elezioni politiche nel partito di Berlusconi?
"Io parlo poco, da quando ho smesso di giocare, e in quelle poche occasioni spero di essere chiaro. Eppure ogni tanto escono notizie false. Non è assolutamente vero. Non ho mai ricevuto proposte. Berlusconi, dal 2009 a oggi,
cioè dalla mia ultima partita a San Siro, l'ho visto soltanto alla festa dei suoi 25 anni di presidenza. Poi non l'ho mai più sentito. Inoltre, anzi soprattutto, entrare in politica non è una mia aspirazione".
Il calcio ai calciatori e la politica ai politici.
"Ma no, i calciatori sono uomini come gli altri, e magari possono essere particolarmente sensibili a certe problematiche. Solo che a me la politica non interessa".
Alcuni suoi ex compagni, come Kaladze in Georgia, Shevchenko in Ucraina e Weah in Liberia, sono diventati politici.
"Ma loro rappresentano dei simboli, nei rispettivi paesi, paesi con situazioni particolari. L'Italia è, o dovrebbe essere, un paese con una democrazia un pochino più solida".
Lei, invece, è certamente un simbolo del Milan. E' soltanto perché Berlusconi non l'ha più chiamata che lei non è ancora entrato nel club?
"No. E' perché il Milan, giustamente, fa le sue politiche: le decidono il presidente e la dirigenza ed è normale che sia così".
Però sono già passati 3 anni e mezzo dal suo ritiro: in questo modo non rischia ormai un futuro lontano dal calcio?
"Sì, ma la cosa non mi spaventa. Ho fatto così tanto, nel calcio, che nulla mi toglierà mai quello che c'è stato per 31 anni, da quando cominciai nel settore giovanile del Milan. Il "rischio" di restare fuori dal mondo del calcio, oggettivamente, esiste. Io ho avuto un passato e un legame così forte col Milan che è difficile immaginarmi dentro un'altra realtà, anche europea: le possibilità si assottigliano".
Elenchiamole.
"Con una premessa indispensabile, però. Io non mi sto offrendo al Milan. Io faccio l'imprenditore nel settore immobiliare, ho iniziato quando ancora giocavo e ho ormai un'attività avviata, fuori dal calcio. Se però parliamo di calcio e di quale ruolo potrei avere nel calcio, io rispondo alle domande".
Allenatore?
"Mai preso in considerazione, perché ho visto mio padre e la vita da nomade che faceva. Non fa per me. E poi, se uno fa l'allenatore, deve aprire a tutte le possibilità, come ha fatto legittimamente Leonardo: non può pensare di allenare solo il Milan. Perciò, visto che io non penso di potere lavorare in un altro club italiano, le possibilità che io alleni sono pari allo zero. E in un altro paese poco di più".
Rimane l'incarico dirigenziale.
"Non mi piace la politica, quindi dovrebbe essere qualcosa di legato al calcio in senso stretto".
Cioè?
"Io posso portare la mia conoscenza calcistica: la valutazione dei calciatori e un'esperienza che ho acquisito nella mia lunga carriera. Io credo di avere vissuto tutta l'evoluzione del calcio moderno, quindi sì, potrei fare il dirigente. Nel calcio non è che abbondi la gente competente al 100%. C'è chi si è inventato il lavoro, ma non sempre trovi chi sa di tattica, di calciatori, di psicologia calcistica. Gli anni da capitano del Milan, dal '97 in poi, mi sono serviti tanto. L'ho fatto anche in Nazionale, dal '94 al 2002, ma è stato diverso: in Nazionale gestisci l'evento, nel club la quotidianità. E impari tantissimo".
La Figc, la Fifa o l'Uefa?
"Non ci ho mai pensato sul serio. Un ruolo tanto per averlo o un incarico di rappresentanza non mi interessano".
UNA RISORSA SPRECATA
Intanto lei è una risorsa inutilizzata: non si sente uno spreco?
"Bisogna vedere se io vengo visto come una risorsa o come un problema. Vuole che le dica che cosa mi dà veramente fastidio?".
Prego.
"Parliamo del Milan, perché io ho avuto la fortuna di partecipare a 25 anni splendidi. Beh, quando sono arrivato, io ho trovato già una grande base per costruire una grande squadra: grandi calciatori e grandi persone. Berlusconi è arrivato e ci ha insegnato a pensare in grande. Certo, con gli investimenti, perché comprava i migliori. Ma lui ci ha messo la mentalità nuova, soprattutto: Sacchi e l'idea che il club dovesse diventare un modello per il tipo di gioco, per le vittorie. Insomma, si è creato veramente qualcosa di magico, grazie alla personalità di chi già c'era e di chi è arrivato".
Poi?
"Poi, a poco a poco, questo si è perso e il Milan si è trasformato, da squadra magica, in una squadra assolutamente normale. E sa perché? Perché - a differenza di tanti grandi club europei con un passato simile, tipo Real, Barcellona e Bayern, dove chi ha scritto la storia della squadra è andato a lavorare lì per trasmettere ai giovani quello che aveva imparato - nel Milan la società stessa ha smesso di trasmettere quel messaggio, al di là degli investimenti. All'interno del Milan attuale non c'è nessuno, tra quelli che ne hanno fatto la storia, ad avere un ruolo non marginale".
Il paragone è col Bayern?
"Esatto, ma non solo. Guardi la storia del Bayern e del Real e i ruoli che hanno avuto nel tempo Beckenbauer, Hoeness, Rummenigge, Butragueño, Gallego, Valdano. Anche ai nuovi che arrivano, questa guida e questa magia sono più facili da trasmettere attraverso chi l'ha provata e anche creata. Il Milan è sempre stato una grande squadra, anche ai tempi di mio padre. Ma la grande magia c'è stata per 25 anni. Poi s'è persa".
E' un processo irreversibile?
"Valutare la programmazione di questo Milan è difficile. In estate sono andati via 12 giocatori di grande personalità e non mettere in conto un inizio di stagione complicato mi sembra non programmare il futuro e aspettare il mercato invernale. Dove di affari veri, in genere, se ne fanno pochi".
Galliani, però, ha spiegato spesso che era tutto previsto e che questo è l'anno 1.
"Io vedo sinceramente poca programmazione. Magari mi sbaglierò, ma certe scelte di giocatori, anche se a parametro zero, sono lontane dall'idea di un programma studiato".
Berlusconi ha appena parlato di una nuova politica, basata solo sugli Under 22.
"Quelli davvero bravi costano dai 20 milioni in su e non ce ne sono tanti. Abbassare il monte ingaggi e ringiovanire la rosa è fondamentale, d'accordo. Ma la valutazione dei giocatori non so da chi venga, visto che Braida fa sempre meno quel lavoro".
Ci si affida sempre a un procuratore di riferimento, come Raiola.
"E' la logica degli ultimi anni. Le racconto una cosa. Gli ultimi due allenatori hanno cercato di portarmi dentro. Leonardo mi voleva a Milanello: "Anche senza fare niente - mi diceva - solo con la tua presenza". Ma io gli risposi che non aveva senso presentarmi a Milanello senza un ruolo".
Lei avrebbe fatto il direttore sportivo?
"Galliani, in presenza di Leo, mi disse che il ds è una figura non esiste più e che il Milan era a posto in quel ruolo. A me sembra invece che ci sia carenza".
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Maldini, l'esilio di una bandiera: "Che amarezza il Milan senza magia" - Repubblica.it
Grande Paolo e scusa di aver dubitato di te. Uomo vero
