Mi spieghi quale sarebbe il nesso tra non fargli buttare un anno di vita e promuoverli? Quale sarebbe l'equità? Trovare un giorno lavoro per competenza senza aver fatto un percorso normale?
Io mi auguro che questi ragazzi/bambini trovino futuro a casa loro, non a casa nostra.
Probabilmente l'anno lo butteranno, forse no, che piaccia o non piaccia. E promuoverli non darà nessun valore aggiunto, se non quello della superficialità buonista più assurda, che non ha niente a che vedere con l'istruzione.
Faccio il mio commento, prendendo solo come spunto il tuo, e poi esco subito da questo tipo di discussioni, come ho deciso di fare da un po' a questa parte.
Nella tua ricostruzione, che comunque capisco e in certi passaggi condivido, non consideri il punto di vista dei ragazzi (e di chi magari ha provato a tutelarli).
Parliamo di ragazzi o bambini, che hanno sentito spari e bombe vicino casa, che hanno avuto paura di morire.
Che hanno magari perso i genitori, sono dovuti fuggire dalla propria casa, lasciare i giochi nella propria camera, lasciare il loro paese e forse hanno perso per sempre la loro infanzia.
Tu avresti davvero avuto il coraggio di bocciarli (bocciare è un giudizio, così come lo è promuovere), dopo due mesi di frequenza in una scuola con un'altra lingua?
E davvero lo capisco il discorso che fai sui rischi formativi. Infatti mi auguro comunque che per questi ragazzi sia previsto un percorso integrativo personalizzato. Ma spero anche che la promozione sia una sorta di carezza, perché io di certo un bambino in quelle condizioni non avrei avuto il fegato di bocciarlo.
Quindi, capisco il tuo discorso, ma davvero sulla bilancia ora pesa più quello che sottolinei rispetto al resto?