A.C Milan 1899
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Inutile nascondersi, da quando il Milan si è lasciato con Massimiliano Allegri nel (mi sembra) Marzo 2014 abbiamo assistito ad un avvicendamento di personaggi uno più strano dell’altro sulla panchina del Milan.
Alcuni erano stagisti alle prime armi (Seedorf, Inzaghi, Brocchi, Gattuso), altri onesti mestieranti della panchina (Mijahilovic, Montella, Giampaolo e ora Pioli), due sottoinsiemi accomunati dal fatto di non aver mai vinto nulla né mai lottato per vincere nulla.
È una situazione simile a quella del centravanti, laddove, dopo l’addio di Ibrahimovic nella funesta e funerea Estate del 2012, il Milan per sette lunghi anni si è intestardito nel prendere centravanti improbabili, carneadi senza storia, profili dal valore tecnico, umano e caratteriale sempre più che “sospetto” (per usare un eufemismo), che poi, ovviamente non per caso, appena arrivavano all’ombra della Madonnina fallivano “clamorosamente” (in realtà si trattava di un fallimento più telefonato dei tiri a giro con piroetta annessa di Susina nostra).
Ripreso Zlatan Ibrahimovic, anche se a 39 anni, questi, un grande campione, ha fatto qualcosa come 24 o 25 goal in 30 partite di campionato da lui giocate con la maglia del Milan dal suo ritorno ad oggi.
Mi chiedo cosa serva al Milan per capire che la stessa cosa vale per l’allenatore, che il Milan non possa continuare ad avere sulla propria panchina personaggi che non hanno le spalle abbastanza larghe, né il know-how, né il background, né la mentalità, per reggere l’urto di una panchina così prestigiosa.
Servirà forse arrivare quinti o sesti dopo due gironi di fila da 84 punti in campionato per capire che forse, e dico forse, azzardo forse, il livello minimo per allenare il Milan sia uno Spalletti? Chiedo.
So bene che qualcuno mi dirà che nemmeno Capello aveva vinto nulla prima di venire da noi, ma a parte che una rondine non fa primavera, con quella rosa probabilmente avrebbe vinto anche Seedorf, sarà una banalità ma quando puoi permetterti di tribunare Papin questa banalità è tanto banale quanto vera. Lo stesso vale per gli altri esempi tipo Sacchi (che non era certo, nemmeno agli esordi, categorizzabile come un mediocre mestierante, aveva le idee e il coraggio per poter fare enormi cose col materiale giusto e infatti l’ha fatto) e Ancelotti (che aveva la fama da eterno secondo ma aveva fatto già esperienze importanti su panchine importanti, i mediocri avuti negli ultimi sette anni il massimo picco che hanno avuto era stata una lotta per la qualificazione CL -Montella nel 2012/2013 con la Fiorentina, ci diede filo da torcere fino alla fine- e una qualificazione CL in un campionato anomalo nel quale la seconda in classifica arrivò a 70 punti, nel caso di Pioli).
Quando invece hai una rosa dove i campioni sono 3 (il portiere, il terzino e il centravanti) e gli altri buoni giocatori (in alcuni casi prospetti di campioni, assolutamente non campioni nell’attualità) e mediocri, l’apporto dell’allenatore diventa fondamentale. Se per i grandi Milan del passato l’apporto dell’allenatore era fondamentale più che altro per vincere da grande Milan esprimendo un gioco in linea con la nostra tradizione (visto che anche un Mazzarri probabilmente sarebbe riuscito a vincere con quelle rose), ora che il Milan è grande solo come storia, e per tornare grande davvero avrà bisogno di diversi anni nel calcio che conta, l’apporto di un allenatore di livello diventa cruciale proprio per ottenere gli obiettivi minimi prefissati e poter avviare il circolo virtuoso.
Quousque tandem?
Alcuni erano stagisti alle prime armi (Seedorf, Inzaghi, Brocchi, Gattuso), altri onesti mestieranti della panchina (Mijahilovic, Montella, Giampaolo e ora Pioli), due sottoinsiemi accomunati dal fatto di non aver mai vinto nulla né mai lottato per vincere nulla.
È una situazione simile a quella del centravanti, laddove, dopo l’addio di Ibrahimovic nella funesta e funerea Estate del 2012, il Milan per sette lunghi anni si è intestardito nel prendere centravanti improbabili, carneadi senza storia, profili dal valore tecnico, umano e caratteriale sempre più che “sospetto” (per usare un eufemismo), che poi, ovviamente non per caso, appena arrivavano all’ombra della Madonnina fallivano “clamorosamente” (in realtà si trattava di un fallimento più telefonato dei tiri a giro con piroetta annessa di Susina nostra).
Ripreso Zlatan Ibrahimovic, anche se a 39 anni, questi, un grande campione, ha fatto qualcosa come 24 o 25 goal in 30 partite di campionato da lui giocate con la maglia del Milan dal suo ritorno ad oggi.
Mi chiedo cosa serva al Milan per capire che la stessa cosa vale per l’allenatore, che il Milan non possa continuare ad avere sulla propria panchina personaggi che non hanno le spalle abbastanza larghe, né il know-how, né il background, né la mentalità, per reggere l’urto di una panchina così prestigiosa.
Servirà forse arrivare quinti o sesti dopo due gironi di fila da 84 punti in campionato per capire che forse, e dico forse, azzardo forse, il livello minimo per allenare il Milan sia uno Spalletti? Chiedo.
So bene che qualcuno mi dirà che nemmeno Capello aveva vinto nulla prima di venire da noi, ma a parte che una rondine non fa primavera, con quella rosa probabilmente avrebbe vinto anche Seedorf, sarà una banalità ma quando puoi permetterti di tribunare Papin questa banalità è tanto banale quanto vera. Lo stesso vale per gli altri esempi tipo Sacchi (che non era certo, nemmeno agli esordi, categorizzabile come un mediocre mestierante, aveva le idee e il coraggio per poter fare enormi cose col materiale giusto e infatti l’ha fatto) e Ancelotti (che aveva la fama da eterno secondo ma aveva fatto già esperienze importanti su panchine importanti, i mediocri avuti negli ultimi sette anni il massimo picco che hanno avuto era stata una lotta per la qualificazione CL -Montella nel 2012/2013 con la Fiorentina, ci diede filo da torcere fino alla fine- e una qualificazione CL in un campionato anomalo nel quale la seconda in classifica arrivò a 70 punti, nel caso di Pioli).
Quando invece hai una rosa dove i campioni sono 3 (il portiere, il terzino e il centravanti) e gli altri buoni giocatori (in alcuni casi prospetti di campioni, assolutamente non campioni nell’attualità) e mediocri, l’apporto dell’allenatore diventa fondamentale. Se per i grandi Milan del passato l’apporto dell’allenatore era fondamentale più che altro per vincere da grande Milan esprimendo un gioco in linea con la nostra tradizione (visto che anche un Mazzarri probabilmente sarebbe riuscito a vincere con quelle rose), ora che il Milan è grande solo come storia, e per tornare grande davvero avrà bisogno di diversi anni nel calcio che conta, l’apporto di un allenatore di livello diventa cruciale proprio per ottenere gli obiettivi minimi prefissati e poter avviare il circolo virtuoso.
Quousque tandem?