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Il Coronavirus Covid-19 come l'influenza spagnola del 1920. Le similitudini piuttosto inquietanti. La spagnola (H1N1), ufficialmente, esordiva come influenza ma col passare dei giorni causava grandi problemi all'apparato respiratorio, mandando le vittime in crisi respiratoria. E lo stesso sta accadendo col Covid-19.
La società operaia Cascina 1863 ha recuperato dagli archivi storici alcuni articoli che raccontano l'influenza spagnola. Eccone uno, di seguito:
"Bisogna convenirne: l’influenza ha infierito superando nella realtà le previsioni pessimistiche, ha ucciso in alcuni Stati assai più di quanto la guerra non abbia fatto, ha segnato di lutto la superficie del globo e non si arresta. Non si vuole oggi parlare qui della quistione controversa della causa del morbo, della sua reale natura, della identità o non identità colle epidemie trascorse di influenza, l’ultima delle quali (1889-1890) è ancora ben presente al nostro spirito perché il confronto esatto sia possibile. Si vuol qui, invece, ricordare la difficoltà della difesa preventiva. Senza scoramenti e senza agitazioni di lacrimante prefica, bisogna convenire che anche l’igiene lotta a stento contro una infezione che si diffonde con tanta facilità. …qualche risultato nella difesa può anzitutto ottenersi ed il numero dei casi può essere ridotto quando si diminuiscono le occasioni dei contatti. Di qui le misure con tanta riluttanza adottate per ridurre gli affollamenti. Migliore risultato potrebbe ottenersi quando si riuscisse a persuadere alle difese contro la penetrazione nelle narici e nella bocca delle goccioline di saliva proiettate da coloro che ne stanno accanto e che pur non parendo possono essere infette. Non c’è che dire: anche la più semplice mascherina di garza ingombra e annoia. La si può tollerare, la maschera, in carnevale, perché nessuno ci impone di portarla: ma se un obbligo fosse fatto ai cittadini, anche per difendere la pelle, tutti si agiterebbero tocchi e profanati nelle fibre più sacre della sacra libertà personale. Certo, la maschera è grave, imbarazzante: le prove fatte da noi in qualche clinica, e per poche ore al giorno, dicono netto che una simile difesa è logica, ma ripugnante alle abitudini. Se l’influenza, invece di uccidere il sei per cento dei colpiti, abbattesse il novantacinque per cento, come succede nella peste polmonare, la maschera troverebbe nella paura un tale organo di propaganda, che il dirne male diverrebbe sacrilegio. Ma l’influenza è ancora troppo mite, perché il punto morto dell’antipatia per la maschera si possa superare. Altrove ci si tiene maggiormente alla vita; ecco, ad esempio, come negli Stati Uniti si interpreta questo lato della difesa contro una infezione che minaccia di raddoppiare il pericolo normale della morte. Non solamente agli infermieri, ai medici, ma nei centri della epidemia anche ai barbieri, agli impiegati che hanno rapporti col pubblico, ed in genere a coloro che possono in miglior guisa servire di veicolo all’infezione, la piccola maschera è imposta. Affermano le riviste americane che il beneficio non pare dubbio: indubbio poi è il guadagno per la nuova imprevista barriera che l’influenza crea alle lingue più ciarliere".
La società operaia Cascina 1863 ha recuperato dagli archivi storici alcuni articoli che raccontano l'influenza spagnola. Eccone uno, di seguito:
"Bisogna convenirne: l’influenza ha infierito superando nella realtà le previsioni pessimistiche, ha ucciso in alcuni Stati assai più di quanto la guerra non abbia fatto, ha segnato di lutto la superficie del globo e non si arresta. Non si vuole oggi parlare qui della quistione controversa della causa del morbo, della sua reale natura, della identità o non identità colle epidemie trascorse di influenza, l’ultima delle quali (1889-1890) è ancora ben presente al nostro spirito perché il confronto esatto sia possibile. Si vuol qui, invece, ricordare la difficoltà della difesa preventiva. Senza scoramenti e senza agitazioni di lacrimante prefica, bisogna convenire che anche l’igiene lotta a stento contro una infezione che si diffonde con tanta facilità. …qualche risultato nella difesa può anzitutto ottenersi ed il numero dei casi può essere ridotto quando si diminuiscono le occasioni dei contatti. Di qui le misure con tanta riluttanza adottate per ridurre gli affollamenti. Migliore risultato potrebbe ottenersi quando si riuscisse a persuadere alle difese contro la penetrazione nelle narici e nella bocca delle goccioline di saliva proiettate da coloro che ne stanno accanto e che pur non parendo possono essere infette. Non c’è che dire: anche la più semplice mascherina di garza ingombra e annoia. La si può tollerare, la maschera, in carnevale, perché nessuno ci impone di portarla: ma se un obbligo fosse fatto ai cittadini, anche per difendere la pelle, tutti si agiterebbero tocchi e profanati nelle fibre più sacre della sacra libertà personale. Certo, la maschera è grave, imbarazzante: le prove fatte da noi in qualche clinica, e per poche ore al giorno, dicono netto che una simile difesa è logica, ma ripugnante alle abitudini. Se l’influenza, invece di uccidere il sei per cento dei colpiti, abbattesse il novantacinque per cento, come succede nella peste polmonare, la maschera troverebbe nella paura un tale organo di propaganda, che il dirne male diverrebbe sacrilegio. Ma l’influenza è ancora troppo mite, perché il punto morto dell’antipatia per la maschera si possa superare. Altrove ci si tiene maggiormente alla vita; ecco, ad esempio, come negli Stati Uniti si interpreta questo lato della difesa contro una infezione che minaccia di raddoppiare il pericolo normale della morte. Non solamente agli infermieri, ai medici, ma nei centri della epidemia anche ai barbieri, agli impiegati che hanno rapporti col pubblico, ed in genere a coloro che possono in miglior guisa servire di veicolo all’infezione, la piccola maschera è imposta. Affermano le riviste americane che il beneficio non pare dubbio: indubbio poi è il guadagno per la nuova imprevista barriera che l’influenza crea alle lingue più ciarliere".

