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Un estratto da Adrenalina, il nuovo libro di Ibrahimovic. Lo svedese voleva il Napoli. Poi saltò tutto e pensò al Milan
Un estratto da Adrenalina, il nuovo libro, in cui parla del mancato accordo col Napoli e del passaggio al Milan
Beverly Hills, autunno 2019. È sera, siamo appena rientrati a casa da una cena al ristorante.
Suona il telefonino.
Helena prova a indovinare: «Mino». Indovinato: Mino Raiola, il mio agente. Ma non era difficile. È da giorni che mi sta martellando. Conclusa l’esperienza ai Los Angeles Galaxy, con l’eliminazione dai playoff della MLS, ho deciso di appendere le scarpe al chiodo e lui sta facendo di tutto per farmi cambiare idea. Ci riprova un’altra volta: «Zlatan, uno del tuo livello e col tuo passato sportivo non può concludere la carriera in America. Diranno che sei un codardo, che ti sei rammollito, che ti sei accontentato delle cose facili. Dov’è finito il leone del calcio, il re della foresta?». «Sono arrivato, Mino. Ho chiuso. Fattene una ragione.» Ma insiste: «No. Tu devi tornare in Europa e dimostrare che puoi giocare ancora con i migliori, nonostante l’infortunio di Manchester. Anche solo per sei mesi, da gennaio a giugno. Vinci la sfida e poi fai quello che vuoi. Tu sei Ibra. Devi uscire di scena alla Ibra. Un contratto te lo trovo quando voglio». «Ascolta, Mino, c’è solo un modo con cui puoi convincermi: con l’adrenalina. Non mi serve un contratto qualsiasi, a me serve una sfida che mi metta una carica nelle vene. Ce l’hai?»
A trentotto anni posso ancora ammazzarmi in allenamento, sentirmi tutto rotto e tirare dritto, ma al mattino, quando mi alzo dal letto, mi serve una buona risposta alla domanda: perché lo fai, Zlatan? E la risposta può essere una sola: perché tutta questa sofferenza mi tornerà indietro sotto forma di adrenalina e mi farà sentire bene. Qualche sera più tardi, sono a casa che sto guardando il documentario HBO su Diego Armando Maradona. A un certo punto passano le immagini di una vecchia partita del Napoli e inquadrano il pubblico del San Paolo. Lo stadio è pieno zeppo. Il regista stringe l’immagine sulla curva più calda, i ragazzi sono accalcati uno sull’altro, cantano, urlano, pestano dei tamburi, si percepisce un’elettricità incredibile.
Mi raddrizzo sul divano, osservo con attenzione e sento che l’adrenalina comincia a pompare, qui, nelle vene del collo. Tum, tum, tum... Telefono subito a Mino: «Chiama il Napoli. Vado al Napoli».
«Il Napoli?» «Sì, vado a giocare a Napoli.» «Ma sei sicuro?» mi chiede lui, perplesso. «Tu vuoi che io continui a giocare? La mia adrenalina sono i tifosi del Napoli. Vado là, a ogni partita porto allo stadio ottantamila persone e vinco lo scudetto come ai tempi di Diego. Con la vittoria del campionato italiano, li faccio impazzire tutti. Questa è la mia adrenalina.»
Parliamo con il club, trattiamo e troviamo l’accordo. Tutto fatto. Sono del Napoli. L’allenatore è Carlo Ancelotti, che conosco bene, siamo stati insieme a Parigi. È felicissimo di ritrovarmi, ci sentiamo quasi tutti i giorni. Mi spiega come intende farmi giocare. Non ho parlato con il presidente, Aurelio De Laurentiis, ma lo conoscevo già. È successo qualche anno prima, mentre ero in vacanza a Los Angeles con la mia famiglia.
De Laurentiis aveva saputo che alloggiavamo nello stesso hotel e ci aveva lasciato un biglietto alla reception: «Questa sera siete invitati al ristorante». Allegata una nota con l’indirizzo. Non sembrava un invito, ma un ordine.
«Andiamo» ha detto subito Helena. Abbiamo passato una serata molto piacevole.
Individuo una casa a Posillipo che potrebbe fare al caso mio, ma, visto che devo restare solo sei mesi e tutti mi ripetono che la città è abbastanza caotica, sto valutando anche la possibilità di vivere in barca.
Il giorno in cui devo firmare a Napoli, l’11 dicembre 2019, il presidente De Laurentiis caccia Ancelotti. A metà campionato. Ho una brutta sensazione. È un cattivo segnale. Io di questo presidente non posso fidarmi. Non può dare stabilità a me e alla squadra uno così. E poi so che Rino Gattuso, anche se è un amico, ha bisogno di un altro tipo di centravanti per il suo 4-3-3. Infatti, non si è fatto sentire. Salta tutto.
Qualche giorno dopo chiamo Mino e gli chiedo: «A chi servo di più? Qual è la squadra più nella *****?». Io non sto cercando un contratto, io sto cercando una sfida. «Il Milan ha perso 5-0 a Bergamo.»
Di solito, per principio, non torno mai in una squadra in cui sono già stato con il rischio di fare peggio della volta precedente. Ma questa volta è diverso. Il Milan ha perso 5-0.
Ordino a Mino: «Chiama il Milan. Andiamo al Milan».
La mia sfida sarà riportare al top uno dei più prestigiosi club del mondo. Se ci riesco, vale più di tutto quello che ho fatto nelle altre squadre. Questa è la mia adrenalina.
Un estratto da Adrenalina, il nuovo libro, in cui parla del mancato accordo col Napoli e del passaggio al Milan
Beverly Hills, autunno 2019. È sera, siamo appena rientrati a casa da una cena al ristorante.
Suona il telefonino.
Helena prova a indovinare: «Mino». Indovinato: Mino Raiola, il mio agente. Ma non era difficile. È da giorni che mi sta martellando. Conclusa l’esperienza ai Los Angeles Galaxy, con l’eliminazione dai playoff della MLS, ho deciso di appendere le scarpe al chiodo e lui sta facendo di tutto per farmi cambiare idea. Ci riprova un’altra volta: «Zlatan, uno del tuo livello e col tuo passato sportivo non può concludere la carriera in America. Diranno che sei un codardo, che ti sei rammollito, che ti sei accontentato delle cose facili. Dov’è finito il leone del calcio, il re della foresta?». «Sono arrivato, Mino. Ho chiuso. Fattene una ragione.» Ma insiste: «No. Tu devi tornare in Europa e dimostrare che puoi giocare ancora con i migliori, nonostante l’infortunio di Manchester. Anche solo per sei mesi, da gennaio a giugno. Vinci la sfida e poi fai quello che vuoi. Tu sei Ibra. Devi uscire di scena alla Ibra. Un contratto te lo trovo quando voglio». «Ascolta, Mino, c’è solo un modo con cui puoi convincermi: con l’adrenalina. Non mi serve un contratto qualsiasi, a me serve una sfida che mi metta una carica nelle vene. Ce l’hai?»
A trentotto anni posso ancora ammazzarmi in allenamento, sentirmi tutto rotto e tirare dritto, ma al mattino, quando mi alzo dal letto, mi serve una buona risposta alla domanda: perché lo fai, Zlatan? E la risposta può essere una sola: perché tutta questa sofferenza mi tornerà indietro sotto forma di adrenalina e mi farà sentire bene. Qualche sera più tardi, sono a casa che sto guardando il documentario HBO su Diego Armando Maradona. A un certo punto passano le immagini di una vecchia partita del Napoli e inquadrano il pubblico del San Paolo. Lo stadio è pieno zeppo. Il regista stringe l’immagine sulla curva più calda, i ragazzi sono accalcati uno sull’altro, cantano, urlano, pestano dei tamburi, si percepisce un’elettricità incredibile.
Mi raddrizzo sul divano, osservo con attenzione e sento che l’adrenalina comincia a pompare, qui, nelle vene del collo. Tum, tum, tum... Telefono subito a Mino: «Chiama il Napoli. Vado al Napoli».
«Il Napoli?» «Sì, vado a giocare a Napoli.» «Ma sei sicuro?» mi chiede lui, perplesso. «Tu vuoi che io continui a giocare? La mia adrenalina sono i tifosi del Napoli. Vado là, a ogni partita porto allo stadio ottantamila persone e vinco lo scudetto come ai tempi di Diego. Con la vittoria del campionato italiano, li faccio impazzire tutti. Questa è la mia adrenalina.»
Parliamo con il club, trattiamo e troviamo l’accordo. Tutto fatto. Sono del Napoli. L’allenatore è Carlo Ancelotti, che conosco bene, siamo stati insieme a Parigi. È felicissimo di ritrovarmi, ci sentiamo quasi tutti i giorni. Mi spiega come intende farmi giocare. Non ho parlato con il presidente, Aurelio De Laurentiis, ma lo conoscevo già. È successo qualche anno prima, mentre ero in vacanza a Los Angeles con la mia famiglia.
De Laurentiis aveva saputo che alloggiavamo nello stesso hotel e ci aveva lasciato un biglietto alla reception: «Questa sera siete invitati al ristorante». Allegata una nota con l’indirizzo. Non sembrava un invito, ma un ordine.
«Andiamo» ha detto subito Helena. Abbiamo passato una serata molto piacevole.
Individuo una casa a Posillipo che potrebbe fare al caso mio, ma, visto che devo restare solo sei mesi e tutti mi ripetono che la città è abbastanza caotica, sto valutando anche la possibilità di vivere in barca.
Il giorno in cui devo firmare a Napoli, l’11 dicembre 2019, il presidente De Laurentiis caccia Ancelotti. A metà campionato. Ho una brutta sensazione. È un cattivo segnale. Io di questo presidente non posso fidarmi. Non può dare stabilità a me e alla squadra uno così. E poi so che Rino Gattuso, anche se è un amico, ha bisogno di un altro tipo di centravanti per il suo 4-3-3. Infatti, non si è fatto sentire. Salta tutto.
Qualche giorno dopo chiamo Mino e gli chiedo: «A chi servo di più? Qual è la squadra più nella *****?». Io non sto cercando un contratto, io sto cercando una sfida. «Il Milan ha perso 5-0 a Bergamo.»
Di solito, per principio, non torno mai in una squadra in cui sono già stato con il rischio di fare peggio della volta precedente. Ma questa volta è diverso. Il Milan ha perso 5-0.
Ordino a Mino: «Chiama il Milan. Andiamo al Milan».
La mia sfida sarà riportare al top uno dei più prestigiosi club del mondo. Se ci riesco, vale più di tutto quello che ho fatto nelle altre squadre. Questa è la mia adrenalina.