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Tuttosport: rewind, come direbbe Vasco. In questo caso il nastro da riavvolgere è quello che nella scatola nera dei ricordi fa capo al 17 ottobre. Giorno in cui a Roma, presso la cornice della Casina Poste di Lungotevere Flaminio, venivano svelati i vincitori del Golden Boy di Tuttosport nelle varie categorie. Ospite della giornata, tra gli altri: Sergio Conceiçao, all’epoca ancora molto lontano dal diventare nuovo allenatore del Milan, ma lontano per davvero. Tanto da rendersi protagonista di un gustoso siparietto che, riportato oggi, fa davvero sorridere. Dal palco il nostro Massimo Franchi aveva appena citato Jorge Mendes come vincitore del premio come Best Agent del 2024. Un agente che Conceiçao conosce molto bene, il migliore del mondo, aveva sottolineato il nostro collega. «Sì, lo conosco bene ed è il migliore al mondo, ma intanto quest’anno io sono ancora senza squadra...», aveva aff ettuosamente scherzato il tecnico portoghese, tra le risate dei presenti. Sarà che Mendes lo avrà ascoltato o sarà semplicemente che Mendes è davvero il migliore al mondo, ma fatto sta che alla fine Conceiçao una squadra ora ce l’ha - e che squadra. Il Milan, una delle big che per tradizione e storia non ha nulla da invidiare ad altre franchigie europee. Soprattutto una delle squadre più importanti della Serie A, al netto di una stagione che per ora non l’ha vista esprimersi nel migliore dei modi.
SERGIO-PENSIERO La cerimonia romana era stata anche l’occasione per fare quattro chiacchiere con Sergio Conceiçao, che aveva raccontato molti aspetti del suo pensiero, poi riproposti sulle pagine del nostro giornale. Per esempio su come allenare i giovani. «Nel 2017 ho trovato il Porto in diffi coltà, avevamo il fairplay finanziario. Dovevamo puntare sulla “formazione”, sul settore giovanile. E però devo dire che questo approccio fa parte della mia mentalità. È stimolante e dà soddisfazione lanciare nuovi talenti lavorando a questo obiettivo con lo staff , con il club». Un approccio che sicuramente ha avrà il suo peso in una squadra come il Milan, dove già si stanno affacciando alla prima squadra alcuni talenti che arrivano dal settore giovanile: Camarda, Jimenez, Liberali, Zeroli, Torriani, eccetera. Di sicuro, un tecnico come Conceiçao saprà come valorizzarli. «Noi allenatori dobbiamo lavorare non solo sulle qualità tecniche, ma anche sulla mentalità - raccontava il portoghese in ottobre al nostro giornale -. I ragazzi devono capire come stare nel calcio moderno e fi sicamente devono stare a un livello alto». Di talenti Sergio ne ha lasciati tanti, al Porto, cominciando da Militao e fi nendo con… Francisco, il figlio. «Ci vuole un po’ di follia per far esordire un proprio figlio… E poi ci vuole equilibrio, distacco: con me non ha giocato per 6 mesi di fi la, Francisco, perché avevo bisogno di un giocatore più di squadra. Il fratellino più piccolo la sera mi chiedeva: perché non hai fatto giocare Francisco? Francisco invece no, sapeva i limiti da non superare. Anche se forse lo mandava lui…», ricordava nell’intervista. In attesa di capire se il fi glio minore fosse inviato dal fratello o dalla madre - e di capire se adesso medierà durante le sfi - de che nasceranno sull’asse Torino-Milano tra i due congiunti - l’ultimo aspetto del Conceiçao pensiero da sottolineare è l’importanza data all’empatia. Una lezione imparata da un maestro della panchina quale è stato Sven-Goran Eriksson. I due si sono incontrati ai tempi della Lazio e Sergio ricorda quanto sia stato un’ispirazione del suo essere tecnico. «Noi allenatori dobbiamo sapere tutto dei nostri giocatori: se amano il riso o la pasta, se hanno cani o gatti, se sono fidanzati o no. Così da creare empatia. Questo è un insegnamento che devo a Sven Goran Eriksson. Che persona, che uomo. Nonostante dovesse gestire un gruppo pieno di personalità diffi cili, non ha perso la calma una volta».
SERGIO-PENSIERO La cerimonia romana era stata anche l’occasione per fare quattro chiacchiere con Sergio Conceiçao, che aveva raccontato molti aspetti del suo pensiero, poi riproposti sulle pagine del nostro giornale. Per esempio su come allenare i giovani. «Nel 2017 ho trovato il Porto in diffi coltà, avevamo il fairplay finanziario. Dovevamo puntare sulla “formazione”, sul settore giovanile. E però devo dire che questo approccio fa parte della mia mentalità. È stimolante e dà soddisfazione lanciare nuovi talenti lavorando a questo obiettivo con lo staff , con il club». Un approccio che sicuramente ha avrà il suo peso in una squadra come il Milan, dove già si stanno affacciando alla prima squadra alcuni talenti che arrivano dal settore giovanile: Camarda, Jimenez, Liberali, Zeroli, Torriani, eccetera. Di sicuro, un tecnico come Conceiçao saprà come valorizzarli. «Noi allenatori dobbiamo lavorare non solo sulle qualità tecniche, ma anche sulla mentalità - raccontava il portoghese in ottobre al nostro giornale -. I ragazzi devono capire come stare nel calcio moderno e fi sicamente devono stare a un livello alto». Di talenti Sergio ne ha lasciati tanti, al Porto, cominciando da Militao e fi nendo con… Francisco, il figlio. «Ci vuole un po’ di follia per far esordire un proprio figlio… E poi ci vuole equilibrio, distacco: con me non ha giocato per 6 mesi di fi la, Francisco, perché avevo bisogno di un giocatore più di squadra. Il fratellino più piccolo la sera mi chiedeva: perché non hai fatto giocare Francisco? Francisco invece no, sapeva i limiti da non superare. Anche se forse lo mandava lui…», ricordava nell’intervista. In attesa di capire se il fi glio minore fosse inviato dal fratello o dalla madre - e di capire se adesso medierà durante le sfi - de che nasceranno sull’asse Torino-Milano tra i due congiunti - l’ultimo aspetto del Conceiçao pensiero da sottolineare è l’importanza data all’empatia. Una lezione imparata da un maestro della panchina quale è stato Sven-Goran Eriksson. I due si sono incontrati ai tempi della Lazio e Sergio ricorda quanto sia stato un’ispirazione del suo essere tecnico. «Noi allenatori dobbiamo sapere tutto dei nostri giocatori: se amano il riso o la pasta, se hanno cani o gatti, se sono fidanzati o no. Così da creare empatia. Questo è un insegnamento che devo a Sven Goran Eriksson. Che persona, che uomo. Nonostante dovesse gestire un gruppo pieno di personalità diffi cili, non ha perso la calma una volta».