A.C Milan 1899
Bannato
- Registrato
- 7 Aprile 2019
- Messaggi
- 21,708
- Reaction score
- 1,446
Cominciamo con i brutal facts, quelli relativi alle vittorie, dopodiché faremo un discorso più approfondito che riguarda sia le prospettive future che una analisi storica riguardante non solo le vittorie ma la competitività in senso più ampio:
Anni ‘10: 1 scudetto, 2 supercoppe italiane.
Anni 2000: 1 scudetto, 1 coppa Italia, 1 Supercoppa italiana, 2 Champions League, 2 supercoppe UEFA, 1 coppa del mondo per club.
Anni ‘90: 5 scudetti, 3 supercoppe italiane, 2 Champions, 2 Supercoppe UEFA, 1 coppa intercontinentale.
Anni ‘80: 1 scudetto, 1 Supercoppa italiana, 1 Champions League, 1 supercoppa UEFA, 1 coppa Intercontinentale
Anni ‘70: 1 scudetto, 3 coppe Italia, 1 coppa delle coppe.
Anni ‘60: 2 scudetti, 1 coppa Italia, 2 Champions, 1 coppa delle coppe, 1 coppa intercontinentale.
Anni ‘50: 4 scudetti.
Anni ‘40: zero tituli.
Anni ‘30: zero tituli.
Anni ‘20: zero tituli.
Anni ‘10: zero tituli.
Anni 1900: tre scudetti
Ora, quello che si nota è che abbiamo trascorso il decennio più perdente dagli anni ‘50 a questa parte. 3 trofei in un solo decennio, di cui due di questi della stessa rilevanza di un Trofeo Birra Moretti, è una situazione che per il popolo milanista era inimmaginabile fin dall’inizio degli anni ‘50. Da lì il “decennio nero” che compare nel titolo da me scelto per questo topic.
Non solo: analizzando le statistiche si nota un dato ancora peggiore ed è quello relativo alla competitività: il Milan con il campionato 2018/2019 ha chiuso il suo sesto campionato consecutivo senza arrivare tra le prime tre in campionato, senza arrivare sul podio. Questo è un dato gravissimo, visto che una cosa del genere dai summenzionati anni ‘50 (nei quali il Milan si consolidò come potenza italiana, prima di farlo anche a livello europeo e mondiale nel decennio successivo) era successa una sola volta, cioè nei terribili anni che seguirono lo scudetto della Stella fino all’avvento di Berlusconi. Dopo lo scudetto della Stella ci fu un terzo posto nel campionato 1979/1980, dopodichè ci fu la retrocessione in B per calcioscommesse, una risalita e una nuova retrocessione seguita da una nuova risalita e da una serie di campionati anonimi, nei quali il Milan, fino allo scudetto del 1987/1988, non arrivò mai tra le prime tre, per un totale di sette campionati di fila (serie B 1980/1981, Serie A 1981/1982, Serie B 1982/1983, Serie A 1983/1984, Serie A 1984/1985, Serie A 1985/1986, Serie A 1986/1987) senza raggiungere il podio della massima Serie.
Quindi questa mancanza di competitività così prolungata non è cosa nuova, ci è già successo in passato.
Sennonché ad essere cambiate sono le prospettive: il quinto posto posto del Milan nel campionato 1986/1987 fu il quinto posto di un club che era stato appena rilevato da Berlusconi, che si stava preparando ad investire pesantemente
(possiamo dire che il Milan di Berlusconi nacque nel Luglio dell’87 quando arrivarono Arrigo Sacchi, Gullit e Van Basten) e che era in rampa di lancio. Quindi sarà pure stato il settimo anno di fila per A.C Milan lontano dal podio della massima serie, ma le prospettive erano totalmente diverse.
Il quinto posto del Milan del 2018/2019, invece, ha un sapore totalmente diverso, perché a differenza del Milan del 1986/1987 qui non si vede una luce in fondo al tunnel. Non solo: la situazione ha tutta l’aria di essere in continuo peggioramento, tra bilanci horror e squadra sempre meno competitiva, che quest’anno, miracoli di zio Zlatan a parte, con ogni probabilità chiuderà la stagione in una posizione peggiore di quella del 2018/2019. Raggiungerà quindi il “record” del Milan anni ‘80, cioè sette stagioni senza podio in Serie A, e a differenza del Milan anni ‘80 lo farà con la prospettiva di continuare con un andazzo simile, se non peggiore, per molti anni ancora (senza contare poi che dai già menzionati anni ‘50 in poi non siamo mai stati senza vittorie di trofei importanti, cioè scudetti e Champions, per più di 10 anni -gli anni dalla seconda Champions del 1969 allo scudetto della Stella del ‘79, anni nei quali comunque vincemmo coppe italie e coppe delle coppe, all’epoca trofeo anche più prestigioso della UEFA- mentre la prospettiva attuale ci porta a pensare che, senza poderosi cambiamenti esterni, passeranno molti anni, sicuramente più di un lustro, per poter anche solo immaginare di poter lottare per il titolo nazionale, figuriamoci per poterlo fare davvero).
Ed è precisamente questo il nodo della questione: non possiamo permetterci di essere “questi”, di essere questo “banter era Milan”, per molti anni ancora. Il calcio da un decennio si sta espandendo a livello mondiale in modo incontrollato, sia per quanto riguarda la visibilità che le revenues, per non parlare della riforma della Champions prossima ventura (la riforma del mondiale per club è già avvenuta, il nuovo mondiale per club partirà nel 2021, sarà quadriennale e porterà introiti enormi nelle casse dei clubs che vi parteciperanno) che aumenterà ulteriormente il divario tra the Haves and the Have Nots, tra i ricchi e i poveri, tra chi vince e chi perde, tra chi mangia e chi resta a guardare, tra chi soffre e chi gode.
Rimanere tagliati fuori dal prossimo treno per noi significherebbe una sola cosa: oblio. Ma oblio vero, duro, spietato, immisericordioso e, soprattutto, definitivo.
Con lo strozzino che a Luglio 2018 ha escusso il pegno rappresentato dalle quote di A.C Milan è fin troppo chiaro a chiunque il San Daniele abbia l’abitudine di mangiarlo e non di usarlo per foderarcisi gli occhi che, con questa proprietà, prospettive di risalita non ce ne sono, anzi, semmai le prospettive sono di andare sempre più a fondo.
L’unica speranza concreta che abbiamo, aldilà delle voci su Arnault che tutti i milanisti sperano siano vere, risiede nel residuo appeal del brand Milan, un brand maltrattato, violentato da sette anni di gestione criminale che avrebbe fatto fallire quasi qualunque altro club ma che non cancella il fascino di un brand e di una squadra che ha scritto la storia del calcio come nessun’altra ha saputo fare, Real Madrid a parte, e che quindi ha ancora un bacino d’utenza secondo a pochi nel mondo, e nella città di Milano, una città in crescita esponenziale che negli ultimi cinque anni ha avuto una crescita del proprio Pil pari al 9,7%, una crescita notevolissima che rende Milano, oggi, una meta appetibile per gli investitori stranieri.
L’unica speranza risiede in questo, nella possibilità concreta che il nostro glorioso club venga rilevato da qualcuno che abbia interesse a vincere e non solo a partecipare, qualcuno che, forte delle opportunità offerte dal brand A.C Milan e da una Milano in crescita, possa ridare a questo club e ai suoi tifosi il lustro che meritano, perché gente come noi, che in questo periodo, in questi anni di fango, melma, infamia, sconfitta e oblio, riempie ancora San Siro a ritmi di 60/65.000 presenze, questo schifo non lo merita.
Dovessero le cose, per qualche strano scherzo del destino o di qualcuno che conosciamo fin troppo bene, andare diversamente, sarebbe davvero la fine; perché il divario coi top clubs, già ampissimo, diventerebbe insormontabile, coi cambiamenti prossimi venturi che ci saranno e di cui ho accennato sopra, e questo segnerebbe la fine delle speranze per il vecchio Diavolo di risalire la china, speranze che attualmente, posto che venga rilevato da un proprietario degno del suo blasone e si liberi degli squallidi e prezzolati strozzini che lo tengono in pugno, ancora ha.
Anni ‘10: 1 scudetto, 2 supercoppe italiane.
Anni 2000: 1 scudetto, 1 coppa Italia, 1 Supercoppa italiana, 2 Champions League, 2 supercoppe UEFA, 1 coppa del mondo per club.
Anni ‘90: 5 scudetti, 3 supercoppe italiane, 2 Champions, 2 Supercoppe UEFA, 1 coppa intercontinentale.
Anni ‘80: 1 scudetto, 1 Supercoppa italiana, 1 Champions League, 1 supercoppa UEFA, 1 coppa Intercontinentale
Anni ‘70: 1 scudetto, 3 coppe Italia, 1 coppa delle coppe.
Anni ‘60: 2 scudetti, 1 coppa Italia, 2 Champions, 1 coppa delle coppe, 1 coppa intercontinentale.
Anni ‘50: 4 scudetti.
Anni ‘40: zero tituli.
Anni ‘30: zero tituli.
Anni ‘20: zero tituli.
Anni ‘10: zero tituli.
Anni 1900: tre scudetti
Ora, quello che si nota è che abbiamo trascorso il decennio più perdente dagli anni ‘50 a questa parte. 3 trofei in un solo decennio, di cui due di questi della stessa rilevanza di un Trofeo Birra Moretti, è una situazione che per il popolo milanista era inimmaginabile fin dall’inizio degli anni ‘50. Da lì il “decennio nero” che compare nel titolo da me scelto per questo topic.
Non solo: analizzando le statistiche si nota un dato ancora peggiore ed è quello relativo alla competitività: il Milan con il campionato 2018/2019 ha chiuso il suo sesto campionato consecutivo senza arrivare tra le prime tre in campionato, senza arrivare sul podio. Questo è un dato gravissimo, visto che una cosa del genere dai summenzionati anni ‘50 (nei quali il Milan si consolidò come potenza italiana, prima di farlo anche a livello europeo e mondiale nel decennio successivo) era successa una sola volta, cioè nei terribili anni che seguirono lo scudetto della Stella fino all’avvento di Berlusconi. Dopo lo scudetto della Stella ci fu un terzo posto nel campionato 1979/1980, dopodichè ci fu la retrocessione in B per calcioscommesse, una risalita e una nuova retrocessione seguita da una nuova risalita e da una serie di campionati anonimi, nei quali il Milan, fino allo scudetto del 1987/1988, non arrivò mai tra le prime tre, per un totale di sette campionati di fila (serie B 1980/1981, Serie A 1981/1982, Serie B 1982/1983, Serie A 1983/1984, Serie A 1984/1985, Serie A 1985/1986, Serie A 1986/1987) senza raggiungere il podio della massima Serie.
Quindi questa mancanza di competitività così prolungata non è cosa nuova, ci è già successo in passato.
Sennonché ad essere cambiate sono le prospettive: il quinto posto posto del Milan nel campionato 1986/1987 fu il quinto posto di un club che era stato appena rilevato da Berlusconi, che si stava preparando ad investire pesantemente
(possiamo dire che il Milan di Berlusconi nacque nel Luglio dell’87 quando arrivarono Arrigo Sacchi, Gullit e Van Basten) e che era in rampa di lancio. Quindi sarà pure stato il settimo anno di fila per A.C Milan lontano dal podio della massima serie, ma le prospettive erano totalmente diverse.
Il quinto posto del Milan del 2018/2019, invece, ha un sapore totalmente diverso, perché a differenza del Milan del 1986/1987 qui non si vede una luce in fondo al tunnel. Non solo: la situazione ha tutta l’aria di essere in continuo peggioramento, tra bilanci horror e squadra sempre meno competitiva, che quest’anno, miracoli di zio Zlatan a parte, con ogni probabilità chiuderà la stagione in una posizione peggiore di quella del 2018/2019. Raggiungerà quindi il “record” del Milan anni ‘80, cioè sette stagioni senza podio in Serie A, e a differenza del Milan anni ‘80 lo farà con la prospettiva di continuare con un andazzo simile, se non peggiore, per molti anni ancora (senza contare poi che dai già menzionati anni ‘50 in poi non siamo mai stati senza vittorie di trofei importanti, cioè scudetti e Champions, per più di 10 anni -gli anni dalla seconda Champions del 1969 allo scudetto della Stella del ‘79, anni nei quali comunque vincemmo coppe italie e coppe delle coppe, all’epoca trofeo anche più prestigioso della UEFA- mentre la prospettiva attuale ci porta a pensare che, senza poderosi cambiamenti esterni, passeranno molti anni, sicuramente più di un lustro, per poter anche solo immaginare di poter lottare per il titolo nazionale, figuriamoci per poterlo fare davvero).
Ed è precisamente questo il nodo della questione: non possiamo permetterci di essere “questi”, di essere questo “banter era Milan”, per molti anni ancora. Il calcio da un decennio si sta espandendo a livello mondiale in modo incontrollato, sia per quanto riguarda la visibilità che le revenues, per non parlare della riforma della Champions prossima ventura (la riforma del mondiale per club è già avvenuta, il nuovo mondiale per club partirà nel 2021, sarà quadriennale e porterà introiti enormi nelle casse dei clubs che vi parteciperanno) che aumenterà ulteriormente il divario tra the Haves and the Have Nots, tra i ricchi e i poveri, tra chi vince e chi perde, tra chi mangia e chi resta a guardare, tra chi soffre e chi gode.
Rimanere tagliati fuori dal prossimo treno per noi significherebbe una sola cosa: oblio. Ma oblio vero, duro, spietato, immisericordioso e, soprattutto, definitivo.
Con lo strozzino che a Luglio 2018 ha escusso il pegno rappresentato dalle quote di A.C Milan è fin troppo chiaro a chiunque il San Daniele abbia l’abitudine di mangiarlo e non di usarlo per foderarcisi gli occhi che, con questa proprietà, prospettive di risalita non ce ne sono, anzi, semmai le prospettive sono di andare sempre più a fondo.
L’unica speranza concreta che abbiamo, aldilà delle voci su Arnault che tutti i milanisti sperano siano vere, risiede nel residuo appeal del brand Milan, un brand maltrattato, violentato da sette anni di gestione criminale che avrebbe fatto fallire quasi qualunque altro club ma che non cancella il fascino di un brand e di una squadra che ha scritto la storia del calcio come nessun’altra ha saputo fare, Real Madrid a parte, e che quindi ha ancora un bacino d’utenza secondo a pochi nel mondo, e nella città di Milano, una città in crescita esponenziale che negli ultimi cinque anni ha avuto una crescita del proprio Pil pari al 9,7%, una crescita notevolissima che rende Milano, oggi, una meta appetibile per gli investitori stranieri.
L’unica speranza risiede in questo, nella possibilità concreta che il nostro glorioso club venga rilevato da qualcuno che abbia interesse a vincere e non solo a partecipare, qualcuno che, forte delle opportunità offerte dal brand A.C Milan e da una Milano in crescita, possa ridare a questo club e ai suoi tifosi il lustro che meritano, perché gente come noi, che in questo periodo, in questi anni di fango, melma, infamia, sconfitta e oblio, riempie ancora San Siro a ritmi di 60/65.000 presenze, questo schifo non lo merita.
Dovessero le cose, per qualche strano scherzo del destino o di qualcuno che conosciamo fin troppo bene, andare diversamente, sarebbe davvero la fine; perché il divario coi top clubs, già ampissimo, diventerebbe insormontabile, coi cambiamenti prossimi venturi che ci saranno e di cui ho accennato sopra, e questo segnerebbe la fine delle speranze per il vecchio Diavolo di risalire la china, speranze che attualmente, posto che venga rilevato da un proprietario degno del suo blasone e si liberi degli squallidi e prezzolati strozzini che lo tengono in pugno, ancora ha.