Baresi: dal Milan a Rangnick passando per Maldini e per il Covid-19

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Franco Baresi si racconta al CorSport in edicola oggi, 8 maggio.

Ecco le dichiarazioni dell'ex capitano


Sul ritorno al calcio giocato d’aiuto per il Paese: “So che tutti gli appassionati sperano che il campionato riparta e che possa essere portato a termine. Però mi metto nei panni dei giocatori e non è facile. Perché giocare in stadi vuoti non è semplice. Ma se saranno in sicurezza e ci saranno comportamenti responsabili, credo sia giusto provare a ricominciare, per dare anche allegria e svago. Una speranza in più per tutti, perché il calcio deve dimostrare di essere un esempio di responsabilità. Mi auguro che il campionato si possa completare, poi saranno gli addetti ai lavori a decidere quando”.

Su come ha vissuto l’emergenza coronavirus: “Sento spesso i miei parenti a Travagliato che, per fortuna, è stato colpito poco. Mi hanno raccontato che l’atmosfera nelle province di Bergamo e Brescia è tremenda. Il nostro Paese è stato messo a dura prova e c’è una ferita profonda che sarà dura rimarginare. Penso alla sofferenza di chi ha perso i propri cari, di chi ha vissuto in prima linea a contatto con la morte. Ed è stato qualcosa di devastante da vedere”.

Su cosa vuol dire essere milanista: “Tanti giovani mi hanno visto in televisione e non hanno vissuto dal vivo i miei anni. Il Milan è la mia vita. Penso alla mia infanzia ed alle tappe che ho dovuto affrontare. Sono arrivato adolescente ed oggi, a 60 anni, sono un po’ più maturo e più saggio. Con il Milan ne ho viste tante, sia sul campo sia da dirigente. Ho incontrato tante persone lungo il cammino che mi hanno fatto crescere, mi hanno forgiato e mi hanno dato”.

Sulle persone che gli hanno dato di più: “Vorrei citarne cinque: Gianni Rivera, Nereo Rocco, Nils Liedholm, Silvio Berlusconi e Arrigo Sacchi. Sono persone che mi hanno dato molto. Rivera è stato il mio capitano, da lui ho imparato tantissimo, anche se l’ho avuto solo un anno perché lui era a fine carriera. Mi è servito tantissimo quell’annata dove abbiamo vinto lo Scudetto della Stella con una squadra che non era, di certo, la favorita per vincere il campionato. Liedholm e Rocco sono state due icone: se penso a loro mi vengono i brividi”.

Su Rocco: “Mi ha dato fiducia. Lui era bravissimo con i giovani. Mi ha lanciato in un ruolo non semplice e mi ha fatto esordire in Serie A contro il Verona al ‘Bentegodi’. Vincemmo 2-1. La mia prestazione non fu esaltante. La vittoria aiuta. I compagni furono eccezionali con me. E negli spogliatoi mi fece una battuta che mi fece diventare rosso perché disse ‘Ah, hai giocato anche tu’, in dialetto triestino”.

Su Berlusconi: “Ho avuto la fortuna ed il privilegio di averlo per 30 anni come Presidente. È stato lungimirante e, per me, è stato fondamentale. Ha portato la sua mentalità vincente dentro una squadra di calcio”.

Su Sacchi: “Arrigo è stato quello che mi ha completato e migliorato sotto tanti punti di vista. Ha introdotto una cultura del lavoro diversa. Preparava le gare in maniera diversa da quello che era il metodo abituale dell’epoca”.

Sul momento più bello e quello più brutto della sua storia al Milan: “Belli ne ho avuti tanti. Quelli brutti sono stati pochi, anche se il più brutto è stato quello della seconda retrocessione. Ebbi un’infezione da stafilococco che mi tenne fuori da ottobre fino a febbraio. Venne comprato Maurizio Venturi per sostituirmi. Fu un’annata balorda”.

Sul momento migliore: “Uno solo è difficile. Anche se metterei in fila i primi due anni di Sacchi. Lo Scudetto del 1988 è stato pieno di sorprese perché praticavamo un calcio nuovo, diverso. L’anno dopo siamo tornati in Coppa dei Campioni e l’abbiamo vinta. In breve siamo arrivati in cima al mondo. È stato un momento grandioso”.

Sugli oratori come luoghi di formazione per i giovani calciatori: “Dare consigli al cuore dei giovani d’oggi non è semplice. Lo sport deve essere fatto con amore e passione. Gli oratori sono sempre stati tappe importanti per i giovani e per la loro crescita. Ma credo che siano anche fondamentali le persone che gestiscono questi ragazzi, che gli devono dare dei valori che vanno anche oltre il calcio”.

Sui Mondiali 1986, quando non fu convocato da Enzo Bearzot: “Ho vestito due maglie, quella del Milan e quella della Nazionale. Ho fatto tre Mondiali con un primo, un secondo ed un terzo posto. Mi è dispiaciuto non andare al Mondiale di Messico ’86, con Bearzot ho avuto delle divergenze normali, ma io posso solo ringraziarlo. Nel 1982 ero retrocesso con il Milan in Serie B e sono stato convocato per il Mondiale in Spagna. Partecipare a quella Coppa del Mondo mi ha fatto vivere momenti straordinari e mi ha lenito la delusione per la retrocessione. È stata un’esperienza che mi ha fatto crescere molto. La sua voglia era quella di vedermi giocare in coppia con Gaetano Scirea, per quello ho anche deciso di cambiare ruolo”.

Sul Milan attuale paragonato alla sua storia: “No. In ogni club ci sono dei cicli, anche con dei cambiamenti. Ci sono stati dei cambi di proprietà. Berlusconi è rimasto per 30 anni e quello, di certo, è un punto favorevole. Oggi c’è tanta concorrenza, non è semplice perché vanno rispettate diverse regole, come il Fair Play Finanziario. Penso che il Milan, comunque, possa tornare in alto”.

Sul no alla Juventus nel 1982: “Erano solo voci. A me personalmente non è mai arrivata la richiesta di cambiare e penso che il Milan non abbia mai voluto vendermi. Sono cresciuto in questo club e non ho avuto nemmeno il pensiero, quell’anno mi fecero capitano, non so se ero pronto ma ho imparato strada facendo. La mia scelta è stata ricambiata: diventare capitano è stato un onore ed uno stimolo enorme”.

Sulla finale persa in Champions League che gli ha fatto più male: “Forse Marsiglia, anche se era una squadra molto difficile da affrontare, forte fisicamente. Il Milan in quell’occasione meritava di più. Chiaro che poi su ciò che è venuto fuori uno ci pensa. Ma nelle finale deve girare tutto bene. Si vede che era destino”.

Sul difendere i compagni dagli allenatori: “Non ho mai avuto questi problemi. All’inizio della mia esperienza da capitano non mi sono mai imposto con la voce, perché non contavo niente. Dovevo farmi valere in campo, sono diventato un punto di riferimento con il comportamento. Ho cercato di essere sempre un uomo sincero, di avere coraggio e di ispirare i compagni senza mai lasciare indietro nessuno. Credo che questo sia il segreto”.

Sul ritiro della sua maglia numero 6: “Ricordo quell’estate quando Berlusconi decise di togliere la maglia numero 6, fu un gesto emozionante per me. C’è sempre stata riconoscenza nei miei confronti da parte della società, Berlusconi anche lì giocò d’anticipo e sorprese tutti”.

Sul rigore sbagliato ai Mondiali del 1994 in finale contro il Brasile: “Tenevo moltissimo a quel Mondiale perché ero capitano, c’erano tanti compagni di club e Sacchi allenatore. Quando mi sono infortunato alla seconda gara il morale era sotto i tacchi, vedevo che si stava frantumando la mia occasione. Devo solo ringraziare i miei compagni per aver giocato la finale, la squadra dimostrò grande carattere. È stato un successo giocare la finale, poi i rigori fanno parte del gioco. Anni dopo ci è andata meglio, nel 2006, sempre ai rigori”.

Sui rimpianti per il mancato Pallone d’Oro: “Ci sono andato vicino, ma davanti a me arrivò Marco van Basten in due occasioni, quindi non ebbi rimpianti”.

Sulla sua Top 11 del Milan: “Come faccio a trovarne undici? Ho avuto la fortuna di aver vissuto tante formazioni e non voglio dimenticare nessuno. Ho avuto compagni meravigliosi, tanti campioni”.

Sul possibile arrivo di Ralf Rangnick al Milan: “Non bisogna mai essere prevenuti alle novità. Questa è la mia prerogativa. Poi, ci mancherebbe, ora c’è un allenatore ed una proprietà che decide, ci sono le persone che dovranno decidere il meglio. Credo che alla base debba sempre esserci il club, non c’è bisogno di individualità ma di coesione. Bisogna pensare insieme senza mai dimenticare la storia di questo club e la sua filosofia”.

Su Alessio Romagnoli: “Sappiamo quali sono le qualità di Alessio, uno dei migliori giocatori che abbiamo in Italia. È al Milan da diversi anni e credo che stia capendo l’importanza di giocare con la maglia rossonera. La fascia al braccio è un pezzo di stoffa, ma ha effetti incredibili su chi la indossa”.

Su Paolo Maldini: “Se deve rimanere in società? Difficile rispondere quando non sappiamo Paolo come la pensi. Eviterei di fare supposizioni, sappiamo chi è stato e cosa abbia fatto per il Milan”.

Sull’ultima volta che il Milan recente l’ha fatta emozionare: “Il Milan ha disputato buone partite, ma deve imporre il proprio gioco con coraggio e non avere paura. Questo aiuta a crescere”.

Su Gigio Donnarumma: “Se deve restare? Le opportunità sono diverse rispetto ai miei tempi, dare consigli è sempre molto difficile. Se fossi Donnarumma non esiterei a rimanere”.

Sul difensore che gli piace di più al giorno d’oggi: “L’annata di Virgil van Dijk è stata strepitosa, un giocatore che mi ha impressionato. Al Liverpool ha fatto la differenza per la sua padronanza, per la personalità. Hanno speso tanto, ma credo che i ‘Reds‘ abbiano fatto un gran colpo”.
 

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Franco Baresi si racconta al CorSport in edicola oggi, 8 maggio.

Ecco le dichiarazioni dell'ex capitano


Sul ritorno al calcio giocato d’aiuto per il Paese: “So che tutti gli appassionati sperano che il campionato riparta e che possa essere portato a termine. Però mi metto nei panni dei giocatori e non è facile. Perché giocare in stadi vuoti non è semplice. Ma se saranno in sicurezza e ci saranno comportamenti responsabili, credo sia giusto provare a ricominciare, per dare anche allegria e svago. Una speranza in più per tutti, perché il calcio deve dimostrare di essere un esempio di responsabilità. Mi auguro che il campionato si possa completare, poi saranno gli addetti ai lavori a decidere quando”.

Su come ha vissuto l’emergenza coronavirus: “Sento spesso i miei parenti a Travagliato che, per fortuna, è stato colpito poco. Mi hanno raccontato che l’atmosfera nelle province di Bergamo e Brescia è tremenda. Il nostro Paese è stato messo a dura prova e c’è una ferita profonda che sarà dura rimarginare. Penso alla sofferenza di chi ha perso i propri cari, di chi ha vissuto in prima linea a contatto con la morte. Ed è stato qualcosa di devastante da vedere”.

Su cosa vuol dire essere milanista: “Tanti giovani mi hanno visto in televisione e non hanno vissuto dal vivo i miei anni. Il Milan è la mia vita. Penso alla mia infanzia ed alle tappe che ho dovuto affrontare. Sono arrivato adolescente ed oggi, a 60 anni, sono un po’ più maturo e più saggio. Con il Milan ne ho viste tante, sia sul campo sia da dirigente. Ho incontrato tante persone lungo il cammino che mi hanno fatto crescere, mi hanno forgiato e mi hanno dato”.

Sulle persone che gli hanno dato di più: “Vorrei citarne cinque: Gianni Rivera, Nereo Rocco, Nils Liedholm, Silvio Berlusconi e Arrigo Sacchi. Sono persone che mi hanno dato molto. Rivera è stato il mio capitano, da lui ho imparato tantissimo, anche se l’ho avuto solo un anno perché lui era a fine carriera. Mi è servito tantissimo quell’annata dove abbiamo vinto lo Scudetto della Stella con una squadra che non era, di certo, la favorita per vincere il campionato. Liedholm e Rocco sono state due icone: se penso a loro mi vengono i brividi”.

Su Rocco: “Mi ha dato fiducia. Lui era bravissimo con i giovani. Mi ha lanciato in un ruolo non semplice e mi ha fatto esordire in Serie A contro il Verona al ‘Bentegodi’. Vincemmo 2-1. La mia prestazione non fu esaltante. La vittoria aiuta. I compagni furono eccezionali con me. E negli spogliatoi mi fece una battuta che mi fece diventare rosso perché disse ‘Ah, hai giocato anche tu’, in dialetto triestino”.

Su Berlusconi: “Ho avuto la fortuna ed il privilegio di averlo per 30 anni come Presidente. È stato lungimirante e, per me, è stato fondamentale. Ha portato la sua mentalità vincente dentro una squadra di calcio”.

Su Sacchi: “Arrigo è stato quello che mi ha completato e migliorato sotto tanti punti di vista. Ha introdotto una cultura del lavoro diversa. Preparava le gare in maniera diversa da quello che era il metodo abituale dell’epoca”.

Sul momento più bello e quello più brutto della sua storia al Milan: “Belli ne ho avuti tanti. Quelli brutti sono stati pochi, anche se il più brutto è stato quello della seconda retrocessione. Ebbi un’infezione da stafilococco che mi tenne fuori da ottobre fino a febbraio. Venne comprato Maurizio Venturi per sostituirmi. Fu un’annata balorda”.

Sul momento migliore: “Uno solo è difficile. Anche se metterei in fila i primi due anni di Sacchi. Lo Scudetto del 1988 è stato pieno di sorprese perché praticavamo un calcio nuovo, diverso. L’anno dopo siamo tornati in Coppa dei Campioni e l’abbiamo vinta. In breve siamo arrivati in cima al mondo. È stato un momento grandioso”.

Sugli oratori come luoghi di formazione per i giovani calciatori: “Dare consigli al cuore dei giovani d’oggi non è semplice. Lo sport deve essere fatto con amore e passione. Gli oratori sono sempre stati tappe importanti per i giovani e per la loro crescita. Ma credo che siano anche fondamentali le persone che gestiscono questi ragazzi, che gli devono dare dei valori che vanno anche oltre il calcio”.

Sui Mondiali 1986, quando non fu convocato da Enzo Bearzot: “Ho vestito due maglie, quella del Milan e quella della Nazionale. Ho fatto tre Mondiali con un primo, un secondo ed un terzo posto. Mi è dispiaciuto non andare al Mondiale di Messico ’86, con Bearzot ho avuto delle divergenze normali, ma io posso solo ringraziarlo. Nel 1982 ero retrocesso con il Milan in Serie B e sono stato convocato per il Mondiale in Spagna. Partecipare a quella Coppa del Mondo mi ha fatto vivere momenti straordinari e mi ha lenito la delusione per la retrocessione. È stata un’esperienza che mi ha fatto crescere molto. La sua voglia era quella di vedermi giocare in coppia con Gaetano Scirea, per quello ho anche deciso di cambiare ruolo”.

Sul Milan attuale paragonato alla sua storia: “No. In ogni club ci sono dei cicli, anche con dei cambiamenti. Ci sono stati dei cambi di proprietà. Berlusconi è rimasto per 30 anni e quello, di certo, è un punto favorevole. Oggi c’è tanta concorrenza, non è semplice perché vanno rispettate diverse regole, come il Fair Play Finanziario. Penso che il Milan, comunque, possa tornare in alto”.

Sul no alla Juventus nel 1982: “Erano solo voci. A me personalmente non è mai arrivata la richiesta di cambiare e penso che il Milan non abbia mai voluto vendermi. Sono cresciuto in questo club e non ho avuto nemmeno il pensiero, quell’anno mi fecero capitano, non so se ero pronto ma ho imparato strada facendo. La mia scelta è stata ricambiata: diventare capitano è stato un onore ed uno stimolo enorme”.

Sulla finale persa in Champions League che gli ha fatto più male: “Forse Marsiglia, anche se era una squadra molto difficile da affrontare, forte fisicamente. Il Milan in quell’occasione meritava di più. Chiaro che poi su ciò che è venuto fuori uno ci pensa. Ma nelle finale deve girare tutto bene. Si vede che era destino”.

Sul difendere i compagni dagli allenatori: “Non ho mai avuto questi problemi. All’inizio della mia esperienza da capitano non mi sono mai imposto con la voce, perché non contavo niente. Dovevo farmi valere in campo, sono diventato un punto di riferimento con il comportamento. Ho cercato di essere sempre un uomo sincero, di avere coraggio e di ispirare i compagni senza mai lasciare indietro nessuno. Credo che questo sia il segreto”.

Sul ritiro della sua maglia numero 6: “Ricordo quell’estate quando Berlusconi decise di togliere la maglia numero 6, fu un gesto emozionante per me. C’è sempre stata riconoscenza nei miei confronti da parte della società, Berlusconi anche lì giocò d’anticipo e sorprese tutti”.

Sul rigore sbagliato ai Mondiali del 1994 in finale contro il Brasile: “Tenevo moltissimo a quel Mondiale perché ero capitano, c’erano tanti compagni di club e Sacchi allenatore. Quando mi sono infortunato alla seconda gara il morale era sotto i tacchi, vedevo che si stava frantumando la mia occasione. Devo solo ringraziare i miei compagni per aver giocato la finale, la squadra dimostrò grande carattere. È stato un successo giocare la finale, poi i rigori fanno parte del gioco. Anni dopo ci è andata meglio, nel 2006, sempre ai rigori”.

Sui rimpianti per il mancato Pallone d’Oro: “Ci sono andato vicino, ma davanti a me arrivò Marco van Basten in due occasioni, quindi non ebbi rimpianti”.

Sulla sua Top 11 del Milan: “Come faccio a trovarne undici? Ho avuto la fortuna di aver vissuto tante formazioni e non voglio dimenticare nessuno. Ho avuto compagni meravigliosi, tanti campioni”.

Sul possibile arrivo di Ralf Rangnick al Milan: “Non bisogna mai essere prevenuti alle novità. Questa è la mia prerogativa. Poi, ci mancherebbe, ora c’è un allenatore ed una proprietà che decide, ci sono le persone che dovranno decidere il meglio. Credo che alla base debba sempre esserci il club, non c’è bisogno di individualità ma di coesione. Bisogna pensare insieme senza mai dimenticare la storia di questo club e la sua filosofia”.

Su Alessio Romagnoli: “Sappiamo quali sono le qualità di Alessio, uno dei migliori giocatori che abbiamo in Italia. È al Milan da diversi anni e credo che stia capendo l’importanza di giocare con la maglia rossonera. La fascia al braccio è un pezzo di stoffa, ma ha effetti incredibili su chi la indossa”.

Su Paolo Maldini: “Se deve rimanere in società? Difficile rispondere quando non sappiamo Paolo come la pensi. Eviterei di fare supposizioni, sappiamo chi è stato e cosa abbia fatto per il Milan”.

Sull’ultima volta che il Milan recente l’ha fatta emozionare: “Il Milan ha disputato buone partite, ma deve imporre il proprio gioco con coraggio e non avere paura. Questo aiuta a crescere”.

Su Gigio Donnarumma: “Se deve restare? Le opportunità sono diverse rispetto ai miei tempi, dare consigli è sempre molto difficile. Se fossi Donnarumma non esiterei a rimanere”.

Sul difensore che gli piace di più al giorno d’oggi: “L’annata di Virgil van Dijk è stata strepitosa, un giocatore che mi ha impressionato. Al Liverpool ha fatto la differenza per la sua padronanza, per la personalità. Hanno speso tanto, ma credo che i ‘Reds‘ abbiano fatto un gran colpo”.

Uomo d' altri tempi e giocatore strepitoso per cui ho finito gli aggettivi gia' quando giocava.
 
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Franco Baresi si racconta al CorSport in edicola oggi, 8 maggio.

Ecco le dichiarazioni dell'ex capitano


Sul ritorno al calcio giocato d’aiuto per il Paese: “So che tutti gli appassionati sperano che il campionato riparta e che possa essere portato a termine. Però mi metto nei panni dei giocatori e non è facile. Perché giocare in stadi vuoti non è semplice. Ma se saranno in sicurezza e ci saranno comportamenti responsabili, credo sia giusto provare a ricominciare, per dare anche allegria e svago. Una speranza in più per tutti, perché il calcio deve dimostrare di essere un esempio di responsabilità. Mi auguro che il campionato si possa completare, poi saranno gli addetti ai lavori a decidere quando”.

Su come ha vissuto l’emergenza coronavirus: “Sento spesso i miei parenti a Travagliato che, per fortuna, è stato colpito poco. Mi hanno raccontato che l’atmosfera nelle province di Bergamo e Brescia è tremenda. Il nostro Paese è stato messo a dura prova e c’è una ferita profonda che sarà dura rimarginare. Penso alla sofferenza di chi ha perso i propri cari, di chi ha vissuto in prima linea a contatto con la morte. Ed è stato qualcosa di devastante da vedere”.

Su cosa vuol dire essere milanista: “Tanti giovani mi hanno visto in televisione e non hanno vissuto dal vivo i miei anni. Il Milan è la mia vita. Penso alla mia infanzia ed alle tappe che ho dovuto affrontare. Sono arrivato adolescente ed oggi, a 60 anni, sono un po’ più maturo e più saggio. Con il Milan ne ho viste tante, sia sul campo sia da dirigente. Ho incontrato tante persone lungo il cammino che mi hanno fatto crescere, mi hanno forgiato e mi hanno dato”.

Sulle persone che gli hanno dato di più: “Vorrei citarne cinque: Gianni Rivera, Nereo Rocco, Nils Liedholm, Silvio Berlusconi e Arrigo Sacchi. Sono persone che mi hanno dato molto. Rivera è stato il mio capitano, da lui ho imparato tantissimo, anche se l’ho avuto solo un anno perché lui era a fine carriera. Mi è servito tantissimo quell’annata dove abbiamo vinto lo Scudetto della Stella con una squadra che non era, di certo, la favorita per vincere il campionato. Liedholm e Rocco sono state due icone: se penso a loro mi vengono i brividi”.

Su Rocco: “Mi ha dato fiducia. Lui era bravissimo con i giovani. Mi ha lanciato in un ruolo non semplice e mi ha fatto esordire in Serie A contro il Verona al ‘Bentegodi’. Vincemmo 2-1. La mia prestazione non fu esaltante. La vittoria aiuta. I compagni furono eccezionali con me. E negli spogliatoi mi fece una battuta che mi fece diventare rosso perché disse ‘Ah, hai giocato anche tu’, in dialetto triestino”.

Su Berlusconi: “Ho avuto la fortuna ed il privilegio di averlo per 30 anni come Presidente. È stato lungimirante e, per me, è stato fondamentale. Ha portato la sua mentalità vincente dentro una squadra di calcio”.

Su Sacchi: “Arrigo è stato quello che mi ha completato e migliorato sotto tanti punti di vista. Ha introdotto una cultura del lavoro diversa. Preparava le gare in maniera diversa da quello che era il metodo abituale dell’epoca”.

Sul momento più bello e quello più brutto della sua storia al Milan: “Belli ne ho avuti tanti. Quelli brutti sono stati pochi, anche se il più brutto è stato quello della seconda retrocessione. Ebbi un’infezione da stafilococco che mi tenne fuori da ottobre fino a febbraio. Venne comprato Maurizio Venturi per sostituirmi. Fu un’annata balorda”.

Sul momento migliore: “Uno solo è difficile. Anche se metterei in fila i primi due anni di Sacchi. Lo Scudetto del 1988 è stato pieno di sorprese perché praticavamo un calcio nuovo, diverso. L’anno dopo siamo tornati in Coppa dei Campioni e l’abbiamo vinta. In breve siamo arrivati in cima al mondo. È stato un momento grandioso”.

Sugli oratori come luoghi di formazione per i giovani calciatori: “Dare consigli al cuore dei giovani d’oggi non è semplice. Lo sport deve essere fatto con amore e passione. Gli oratori sono sempre stati tappe importanti per i giovani e per la loro crescita. Ma credo che siano anche fondamentali le persone che gestiscono questi ragazzi, che gli devono dare dei valori che vanno anche oltre il calcio”.

Sui Mondiali 1986, quando non fu convocato da Enzo Bearzot: “Ho vestito due maglie, quella del Milan e quella della Nazionale. Ho fatto tre Mondiali con un primo, un secondo ed un terzo posto. Mi è dispiaciuto non andare al Mondiale di Messico ’86, con Bearzot ho avuto delle divergenze normali, ma io posso solo ringraziarlo. Nel 1982 ero retrocesso con il Milan in Serie B e sono stato convocato per il Mondiale in Spagna. Partecipare a quella Coppa del Mondo mi ha fatto vivere momenti straordinari e mi ha lenito la delusione per la retrocessione. È stata un’esperienza che mi ha fatto crescere molto. La sua voglia era quella di vedermi giocare in coppia con Gaetano Scirea, per quello ho anche deciso di cambiare ruolo”.

Sul Milan attuale paragonato alla sua storia: “No. In ogni club ci sono dei cicli, anche con dei cambiamenti. Ci sono stati dei cambi di proprietà. Berlusconi è rimasto per 30 anni e quello, di certo, è un punto favorevole. Oggi c’è tanta concorrenza, non è semplice perché vanno rispettate diverse regole, come il Fair Play Finanziario. Penso che il Milan, comunque, possa tornare in alto”.

Sul no alla Juventus nel 1982: “Erano solo voci. A me personalmente non è mai arrivata la richiesta di cambiare e penso che il Milan non abbia mai voluto vendermi. Sono cresciuto in questo club e non ho avuto nemmeno il pensiero, quell’anno mi fecero capitano, non so se ero pronto ma ho imparato strada facendo. La mia scelta è stata ricambiata: diventare capitano è stato un onore ed uno stimolo enorme”.

Sulla finale persa in Champions League che gli ha fatto più male: “Forse Marsiglia, anche se era una squadra molto difficile da affrontare, forte fisicamente. Il Milan in quell’occasione meritava di più. Chiaro che poi su ciò che è venuto fuori uno ci pensa. Ma nelle finale deve girare tutto bene. Si vede che era destino”.

Sul difendere i compagni dagli allenatori: “Non ho mai avuto questi problemi. All’inizio della mia esperienza da capitano non mi sono mai imposto con la voce, perché non contavo niente. Dovevo farmi valere in campo, sono diventato un punto di riferimento con il comportamento. Ho cercato di essere sempre un uomo sincero, di avere coraggio e di ispirare i compagni senza mai lasciare indietro nessuno. Credo che questo sia il segreto”.

Sul ritiro della sua maglia numero 6: “Ricordo quell’estate quando Berlusconi decise di togliere la maglia numero 6, fu un gesto emozionante per me. C’è sempre stata riconoscenza nei miei confronti da parte della società, Berlusconi anche lì giocò d’anticipo e sorprese tutti”.

Sul rigore sbagliato ai Mondiali del 1994 in finale contro il Brasile: “Tenevo moltissimo a quel Mondiale perché ero capitano, c’erano tanti compagni di club e Sacchi allenatore. Quando mi sono infortunato alla seconda gara il morale era sotto i tacchi, vedevo che si stava frantumando la mia occasione. Devo solo ringraziare i miei compagni per aver giocato la finale, la squadra dimostrò grande carattere. È stato un successo giocare la finale, poi i rigori fanno parte del gioco. Anni dopo ci è andata meglio, nel 2006, sempre ai rigori”.

Sui rimpianti per il mancato Pallone d’Oro: “Ci sono andato vicino, ma davanti a me arrivò Marco van Basten in due occasioni, quindi non ebbi rimpianti”.

Sulla sua Top 11 del Milan: “Come faccio a trovarne undici? Ho avuto la fortuna di aver vissuto tante formazioni e non voglio dimenticare nessuno. Ho avuto compagni meravigliosi, tanti campioni”.

Sul possibile arrivo di Ralf Rangnick al Milan: “Non bisogna mai essere prevenuti alle novità. Questa è la mia prerogativa. Poi, ci mancherebbe, ora c’è un allenatore ed una proprietà che decide, ci sono le persone che dovranno decidere il meglio. Credo che alla base debba sempre esserci il club, non c’è bisogno di individualità ma di coesione. Bisogna pensare insieme senza mai dimenticare la storia di questo club e la sua filosofia”.

Su Alessio Romagnoli: “Sappiamo quali sono le qualità di Alessio, uno dei migliori giocatori che abbiamo in Italia. È al Milan da diversi anni e credo che stia capendo l’importanza di giocare con la maglia rossonera. La fascia al braccio è un pezzo di stoffa, ma ha effetti incredibili su chi la indossa”.

Su Paolo Maldini: “Se deve rimanere in società? Difficile rispondere quando non sappiamo Paolo come la pensi. Eviterei di fare supposizioni, sappiamo chi è stato e cosa abbia fatto per il Milan”.

Sull’ultima volta che il Milan recente l’ha fatta emozionare: “Il Milan ha disputato buone partite, ma deve imporre il proprio gioco con coraggio e non avere paura. Questo aiuta a crescere”.

Su Gigio Donnarumma: “Se deve restare? Le opportunità sono diverse rispetto ai miei tempi, dare consigli è sempre molto difficile. Se fossi Donnarumma non esiterei a rimanere”.

Sul difensore che gli piace di più al giorno d’oggi: “L’annata di Virgil van Dijk è stata strepitosa, un giocatore che mi ha impressionato. Al Liverpool ha fatto la differenza per la sua padronanza, per la personalità. Hanno speso tanto, ma credo che i ‘Reds‘ abbiano fatto un gran colpo”.

Giocatore straordinario, con una grinta in campo da far rabbrividire chiunque giocasse contro. Ciò detto, trapela sempre umiltà e pacatezza dalle sue parole: non averlo visto giocare rimarrà un dispiacere enorme.
 

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Franco Baresi si racconta al CorSport in edicola oggi, 8 maggio.

Ecco le dichiarazioni dell'ex capitano


Sul ritorno al calcio giocato d’aiuto per il Paese: “So che tutti gli appassionati sperano che il campionato riparta e che possa essere portato a termine. Però mi metto nei panni dei giocatori e non è facile. Perché giocare in stadi vuoti non è semplice. Ma se saranno in sicurezza e ci saranno comportamenti responsabili, credo sia giusto provare a ricominciare, per dare anche allegria e svago. Una speranza in più per tutti, perché il calcio deve dimostrare di essere un esempio di responsabilità. Mi auguro che il campionato si possa completare, poi saranno gli addetti ai lavori a decidere quando”.

Su come ha vissuto l’emergenza coronavirus: “Sento spesso i miei parenti a Travagliato che, per fortuna, è stato colpito poco. Mi hanno raccontato che l’atmosfera nelle province di Bergamo e Brescia è tremenda. Il nostro Paese è stato messo a dura prova e c’è una ferita profonda che sarà dura rimarginare. Penso alla sofferenza di chi ha perso i propri cari, di chi ha vissuto in prima linea a contatto con la morte. Ed è stato qualcosa di devastante da vedere”.

Su cosa vuol dire essere milanista: “Tanti giovani mi hanno visto in televisione e non hanno vissuto dal vivo i miei anni. Il Milan è la mia vita. Penso alla mia infanzia ed alle tappe che ho dovuto affrontare. Sono arrivato adolescente ed oggi, a 60 anni, sono un po’ più maturo e più saggio. Con il Milan ne ho viste tante, sia sul campo sia da dirigente. Ho incontrato tante persone lungo il cammino che mi hanno fatto crescere, mi hanno forgiato e mi hanno dato”.

Sulle persone che gli hanno dato di più: “Vorrei citarne cinque: Gianni Rivera, Nereo Rocco, Nils Liedholm, Silvio Berlusconi e Arrigo Sacchi. Sono persone che mi hanno dato molto. Rivera è stato il mio capitano, da lui ho imparato tantissimo, anche se l’ho avuto solo un anno perché lui era a fine carriera. Mi è servito tantissimo quell’annata dove abbiamo vinto lo Scudetto della Stella con una squadra che non era, di certo, la favorita per vincere il campionato. Liedholm e Rocco sono state due icone: se penso a loro mi vengono i brividi”.

Su Rocco: “Mi ha dato fiducia. Lui era bravissimo con i giovani. Mi ha lanciato in un ruolo non semplice e mi ha fatto esordire in Serie A contro il Verona al ‘Bentegodi’. Vincemmo 2-1. La mia prestazione non fu esaltante. La vittoria aiuta. I compagni furono eccezionali con me. E negli spogliatoi mi fece una battuta che mi fece diventare rosso perché disse ‘Ah, hai giocato anche tu’, in dialetto triestino”.

Su Berlusconi: “Ho avuto la fortuna ed il privilegio di averlo per 30 anni come Presidente. È stato lungimirante e, per me, è stato fondamentale. Ha portato la sua mentalità vincente dentro una squadra di calcio”.

Su Sacchi: “Arrigo è stato quello che mi ha completato e migliorato sotto tanti punti di vista. Ha introdotto una cultura del lavoro diversa. Preparava le gare in maniera diversa da quello che era il metodo abituale dell’epoca”.

Sul momento più bello e quello più brutto della sua storia al Milan: “Belli ne ho avuti tanti. Quelli brutti sono stati pochi, anche se il più brutto è stato quello della seconda retrocessione. Ebbi un’infezione da stafilococco che mi tenne fuori da ottobre fino a febbraio. Venne comprato Maurizio Venturi per sostituirmi. Fu un’annata balorda”.

Sul momento migliore: “Uno solo è difficile. Anche se metterei in fila i primi due anni di Sacchi. Lo Scudetto del 1988 è stato pieno di sorprese perché praticavamo un calcio nuovo, diverso. L’anno dopo siamo tornati in Coppa dei Campioni e l’abbiamo vinta. In breve siamo arrivati in cima al mondo. È stato un momento grandioso”.

Sugli oratori come luoghi di formazione per i giovani calciatori: “Dare consigli al cuore dei giovani d’oggi non è semplice. Lo sport deve essere fatto con amore e passione. Gli oratori sono sempre stati tappe importanti per i giovani e per la loro crescita. Ma credo che siano anche fondamentali le persone che gestiscono questi ragazzi, che gli devono dare dei valori che vanno anche oltre il calcio”.

Sui Mondiali 1986, quando non fu convocato da Enzo Bearzot: “Ho vestito due maglie, quella del Milan e quella della Nazionale. Ho fatto tre Mondiali con un primo, un secondo ed un terzo posto. Mi è dispiaciuto non andare al Mondiale di Messico ’86, con Bearzot ho avuto delle divergenze normali, ma io posso solo ringraziarlo. Nel 1982 ero retrocesso con il Milan in Serie B e sono stato convocato per il Mondiale in Spagna. Partecipare a quella Coppa del Mondo mi ha fatto vivere momenti straordinari e mi ha lenito la delusione per la retrocessione. È stata un’esperienza che mi ha fatto crescere molto. La sua voglia era quella di vedermi giocare in coppia con Gaetano Scirea, per quello ho anche deciso di cambiare ruolo”.

Sul Milan attuale paragonato alla sua storia: “No. In ogni club ci sono dei cicli, anche con dei cambiamenti. Ci sono stati dei cambi di proprietà. Berlusconi è rimasto per 30 anni e quello, di certo, è un punto favorevole. Oggi c’è tanta concorrenza, non è semplice perché vanno rispettate diverse regole, come il Fair Play Finanziario. Penso che il Milan, comunque, possa tornare in alto”.

Sul no alla Juventus nel 1982: “Erano solo voci. A me personalmente non è mai arrivata la richiesta di cambiare e penso che il Milan non abbia mai voluto vendermi. Sono cresciuto in questo club e non ho avuto nemmeno il pensiero, quell’anno mi fecero capitano, non so se ero pronto ma ho imparato strada facendo. La mia scelta è stata ricambiata: diventare capitano è stato un onore ed uno stimolo enorme”.

Sulla finale persa in Champions League che gli ha fatto più male: “Forse Marsiglia, anche se era una squadra molto difficile da affrontare, forte fisicamente. Il Milan in quell’occasione meritava di più. Chiaro che poi su ciò che è venuto fuori uno ci pensa. Ma nelle finale deve girare tutto bene. Si vede che era destino”.

Sul difendere i compagni dagli allenatori: “Non ho mai avuto questi problemi. All’inizio della mia esperienza da capitano non mi sono mai imposto con la voce, perché non contavo niente. Dovevo farmi valere in campo, sono diventato un punto di riferimento con il comportamento. Ho cercato di essere sempre un uomo sincero, di avere coraggio e di ispirare i compagni senza mai lasciare indietro nessuno. Credo che questo sia il segreto”.

Sul ritiro della sua maglia numero 6: “Ricordo quell’estate quando Berlusconi decise di togliere la maglia numero 6, fu un gesto emozionante per me. C’è sempre stata riconoscenza nei miei confronti da parte della società, Berlusconi anche lì giocò d’anticipo e sorprese tutti”.

Sul rigore sbagliato ai Mondiali del 1994 in finale contro il Brasile: “Tenevo moltissimo a quel Mondiale perché ero capitano, c’erano tanti compagni di club e Sacchi allenatore. Quando mi sono infortunato alla seconda gara il morale era sotto i tacchi, vedevo che si stava frantumando la mia occasione. Devo solo ringraziare i miei compagni per aver giocato la finale, la squadra dimostrò grande carattere. È stato un successo giocare la finale, poi i rigori fanno parte del gioco. Anni dopo ci è andata meglio, nel 2006, sempre ai rigori”.

Sui rimpianti per il mancato Pallone d’Oro: “Ci sono andato vicino, ma davanti a me arrivò Marco van Basten in due occasioni, quindi non ebbi rimpianti”.

Sulla sua Top 11 del Milan: “Come faccio a trovarne undici? Ho avuto la fortuna di aver vissuto tante formazioni e non voglio dimenticare nessuno. Ho avuto compagni meravigliosi, tanti campioni”.

Sul possibile arrivo di Ralf Rangnick al Milan: “Non bisogna mai essere prevenuti alle novità. Questa è la mia prerogativa. Poi, ci mancherebbe, ora c’è un allenatore ed una proprietà che decide, ci sono le persone che dovranno decidere il meglio. Credo che alla base debba sempre esserci il club, non c’è bisogno di individualità ma di coesione. Bisogna pensare insieme senza mai dimenticare la storia di questo club e la sua filosofia”.

Su Alessio Romagnoli: “Sappiamo quali sono le qualità di Alessio, uno dei migliori giocatori che abbiamo in Italia. È al Milan da diversi anni e credo che stia capendo l’importanza di giocare con la maglia rossonera. La fascia al braccio è un pezzo di stoffa, ma ha effetti incredibili su chi la indossa”.

Su Paolo Maldini: “Se deve rimanere in società? Difficile rispondere quando non sappiamo Paolo come la pensi. Eviterei di fare supposizioni, sappiamo chi è stato e cosa abbia fatto per il Milan”.

Sull’ultima volta che il Milan recente l’ha fatta emozionare: “Il Milan ha disputato buone partite, ma deve imporre il proprio gioco con coraggio e non avere paura. Questo aiuta a crescere”.

Su Gigio Donnarumma: “Se deve restare? Le opportunità sono diverse rispetto ai miei tempi, dare consigli è sempre molto difficile. Se fossi Donnarumma non esiterei a rimanere”.

Sul difensore che gli piace di più al giorno d’oggi: “L’annata di Virgil van Dijk è stata strepitosa, un giocatore che mi ha impressionato. Al Liverpool ha fatto la differenza per la sua padronanza, per la personalità. Hanno speso tanto, ma credo che i ‘Reds‘ abbiano fatto un gran colpo”.
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