Berlusconi, in qualche dichiarazione dello scorso anno, a ridosso dell'accordo del 6 agosto con il gruppo di Li, ebbe a dire che Fininvest aveva ricevuto diverse proposte da parte di consorzi cinesi, o a prevalente composizione cinese, o comunque China based, per la acquisizione di tutto o di una parte del Milan, ma che si intese dare preferenza al gruppo, che apprendemmo poi essere di Li, per la serietà e profondità dei programmi, delle garanzie finanziarie a supporto, e soprattutto per la natura dei soggetti coinvolti: aziende statali, o comunque pubbliche, specializzate in investimenti in equity in aziende straniere, quindi gruppi finanziari più che industriali, che eseguivano progetti di sviluppo concepiti in ambito statale in funzione di obiettivi rispondenti all'interesse nazionale cinese, in questo caso nel settore sportivo calcistico. I fatti, poi, hanno dato riscontro a queste dichiarazioni; certamente Berlusconi non trattava con Xi, come fu enfaticamente scritto allora, ma, nella colossale macchina burocratica di uno Stato in cui tutto è pubblico, si individuarono soggetti le cui strutture rispondevano a catene di comando e controllo facenti capo direttamente agli uffici della Amministrazione centrale del Governo di Pechino. Questo, a mio modesto avviso, si rivelerà in futuro un vantaggio, quanto alla disponibilità di capitali, al loro smobilizzo, alla possibilità di allargare la platea degli investitori in Cina, attratti dalla prospettiva di un investimento condotto da primari gruppi pubblici statali e locali, con una condivisione ragionevole dei rischi, e con un effetto moltiplicatore derivante dalla eccezionale proiezione mediatica dell'investimento per la identità del target. È presto per dirlo, ma questo modello potrà funzionare laddove, invece, si constateranno i limiti operativi di una partecipazione solitaria di gruppi imprenditoriali privati cinesi, come nel caso di Suning, soprattutto in relazione ai limiti all'utilizzo di fondi interni alla Repubblica Popolare, tuttora esistenti, ma in attesa di una loro completa rimozione. Il merito di Li, e di chi lo ha scelto come investitore, sta appunto in questo duplice livello, una struttura di investimento aperta potenzialmente a nuove partecipazioni, potenzialmente diffusa a seguito del prevedibile collocamento del capitale in Borsa, ed a forte proiezione pubblica, statale e provinciale, cinese. Non c'è alcun dubbio che la enorme dotazione di investimenti per il mercato, che stiamo apprezzando, anche e per il momento sotto forma di debito finanziario, non sarebbe stata possibile senza le forti garanzie pubbliche agli investimenti offerte agli attuali finanziatori dai gruppi finanziari, alcuni dei quali celati, che stanno supportando Li. Quello che ora il tifoso deve suspicare è che, complici le aperture agli investimenti esteri, attese dopo il Congresso del Popolo del Partito Comunista cinese, previsto tradizionalmente nel mese di ottobre, essi entrino a pieno titolo nel capitale del club, per annullare la forte esposizione finanziaria verso Elliott del Milan e, si direbbe, della sua controllante, e si dispieghi a pieno la forza del gruppo nella attuazione dei progetti, tra cui auspicabilmente quello dello stadio di proprietà, per consegnare il club, nell'arco di tre, cinque anni, sulla riva agognata dell'autofinanziamento. Ma per il momento, godiamoci questo mercato, ed il Milan prossimo che verrà.