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Intervista fuori dalle righe di Faustino Asprilla, ex campione del Parma, al Corriere della Sera:
"Il calcio è noioso, non lo seguo più. Mi piacciono solo Vinicius e Yamal.
Mi sono sposato giovanissimo e l'ho subito lasciata. Io non sono fatto per la fedeltà, per la vita di coppia. Mi piacciono le donne: appena ne vedo una, le corro dietro. È così anche adesso che non sono più un ragazzino. A quel tempo pensavo al calcio, a divertirmi, ai soldi.
Per lasciare la Colombia e sbarcare al Parma ci fu il benestare di Pablo Escobar? Così si dice, non lo so. Di sicuro Escobar aveva a cuore il Nacional Medellin e all’epoca non si faceva nulla senza il suo consenso. Cosa comprai con i primi soldi guadagnati in Italia? Cento rubinetti. Li andai ad acquistare in un centro commerciale a Parma e li spedii in Colombia. Erano dorati, meravigliosi. Gli amici che li ricevettero credettero che fossero d’oro puro. E io, così, mi feci la fama di un ragazzo che in pochissimo tempo era diventato ricco.
Scala? A me della tattica non è mai fregato niente. Non ci capivo nulla. Figuratevi se mi importava del 3-5-2 o delle marcature a scalare. Un giorno mi chiese di correre per mezz’ora. Gli lanciai contro le scarpe e gli dissi: “Non sono mica Forrest Gump, io faccio il calciatore”. E me ne andai dallo spogliatoio.
Il gol che interruppe l'imbattibilità del Milan? Scala mi disse di non tirare la punizione. Non dimentico nulla. Dalla panchina urlava: “No, Tino. No, Tino”. Io me ne fregai di Scala, partii e disegnai una palombella fantastica. Sebastiano Rossi non si mosse.
Avevamo battuto gli invincibili. DIventai un eroe in patria, ero prima notizia del TG in Colombia.
A capodanno del 95 festeggiai sparando in aria quattro o cinque colpi di rivoltella, che cosa volete che sia dalle nostre parti? Solo che io ero un personaggio famoso, i poliziotti mi portarono in caserma, chiamarono i dirigenti del Parma che dovettero pagare la cauzione. E la domenica dovevo essere in campo perché c’era Parma-Juventus. Non il modo migliore per prepararsi alle partite.
Ho preso a pallonate il presidente del Parma Giorgio Pedraneschi.
Mamma mia che paura! Per scommessa, da centrocampo calciai forte con l’intenzione di colpirlo proprio in testa e ci riuscii. Lui cadde, sembrava morto. Non mi diedi pace finché non lo rimisero in piedi."
"Il calcio è noioso, non lo seguo più. Mi piacciono solo Vinicius e Yamal.
Mi sono sposato giovanissimo e l'ho subito lasciata. Io non sono fatto per la fedeltà, per la vita di coppia. Mi piacciono le donne: appena ne vedo una, le corro dietro. È così anche adesso che non sono più un ragazzino. A quel tempo pensavo al calcio, a divertirmi, ai soldi.
Per lasciare la Colombia e sbarcare al Parma ci fu il benestare di Pablo Escobar? Così si dice, non lo so. Di sicuro Escobar aveva a cuore il Nacional Medellin e all’epoca non si faceva nulla senza il suo consenso. Cosa comprai con i primi soldi guadagnati in Italia? Cento rubinetti. Li andai ad acquistare in un centro commerciale a Parma e li spedii in Colombia. Erano dorati, meravigliosi. Gli amici che li ricevettero credettero che fossero d’oro puro. E io, così, mi feci la fama di un ragazzo che in pochissimo tempo era diventato ricco.
Scala? A me della tattica non è mai fregato niente. Non ci capivo nulla. Figuratevi se mi importava del 3-5-2 o delle marcature a scalare. Un giorno mi chiese di correre per mezz’ora. Gli lanciai contro le scarpe e gli dissi: “Non sono mica Forrest Gump, io faccio il calciatore”. E me ne andai dallo spogliatoio.
Il gol che interruppe l'imbattibilità del Milan? Scala mi disse di non tirare la punizione. Non dimentico nulla. Dalla panchina urlava: “No, Tino. No, Tino”. Io me ne fregai di Scala, partii e disegnai una palombella fantastica. Sebastiano Rossi non si mosse.
Avevamo battuto gli invincibili. DIventai un eroe in patria, ero prima notizia del TG in Colombia.
A capodanno del 95 festeggiai sparando in aria quattro o cinque colpi di rivoltella, che cosa volete che sia dalle nostre parti? Solo che io ero un personaggio famoso, i poliziotti mi portarono in caserma, chiamarono i dirigenti del Parma che dovettero pagare la cauzione. E la domenica dovevo essere in campo perché c’era Parma-Juventus. Non il modo migliore per prepararsi alle partite.
Ho preso a pallonate il presidente del Parma Giorgio Pedraneschi.
Mamma mia che paura! Per scommessa, da centrocampo calciai forte con l’intenzione di colpirlo proprio in testa e ci riuscii. Lui cadde, sembrava morto. Non mi diedi pace finché non lo rimisero in piedi."
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