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Pioli intervistato da Il Fatto:"Gazidis? Tutto il Milan fa il tifo per lui. La sua forza è la nostra, siamo orgogliosi di far parte della sua famiglia. Guarirà e non vediamo l’ora di riaverlo con noi».
"Gli obiettivi? Siamo il Milan e non ci dobbiamo porre limiti. Sarà difficilissimo perché sette squadre lotteranno per quattro posti. Ma gli ostacoli sono troppo alti solo per chi non ha ambizioni abbastanza forti".
“Ibra Mi ha aiutato tanto. Ibra è un esempio in tutto quello che fa. Non ci sta a sbagliare neanche un passaggio nel torello. Pretende il massimo da se stesso e dagli altri. Zlatan e Kjaer hanno cambiato la squadra non solo in sento tecnico, ma anche e soprattutto in senso morale".
Stranamente la scintilla tra di noi è nata nelle riunioni su Zoom durante il primo lockdown. Ci siamo dati il tempo di conoscerci, abbiamo parlato delle nostre vite. Non solo di calcio. Ed è nato il gruppo. Amici? No. Non siamo amici: siamo appartenenti a un’idea di valori comune. Sento che c’è empatia, forse addirittura un po’ di magia tra noi".
"La nazionale? La chiave del trionfo sono gli occhi dei giocatori che guardavano Mancini e si guardavano tra loro: lo stesso sguardo di Berrettini. Passa tutto da lì. L’Italia ha vinto gli Europei per quegli occhi: per quello spirito di gruppo. Non vinci con la tattica. Vinci mettendo da parte l’ “io” e anteponendo a tutto il “noi”. È in quel modo che hanno vinto. Hanno rappresentato al meglio l’Italia. E abbiamo esultato tutti, perché ci siamo sentiti partecipi di una cosa bella".
"Ho rivisto il Milan in quel gruppo? In piccolo sì. Sento che c’è empatia, forse addirittura un po’ di magia tra noi».
"Astori? Sono un allenatore che impronta tutta la sua gestione sul confronto e sul dialogo con i giocatori. Quella tragedia mi ha fatto capire che i calciatori sono anzitutto uomini. Sono dovuto entrare nelle loro teste. A uno a uno ho dovuto raccontargli che il medico, alle 9 del mattino, mi aveva detto che Davide non c’era più. Ho passato tutti i mesi successivi ad aiutarli a elaborare quella scomparsa. In certi momenti devi andare in profondità. Conta la tecnica, conta la tattica, ma è ancora più importante la componente mentale".
"Baggio? Il Roberto che ha giocato con me, stagione ’89/’90, valeva Maradona. Il nostro schema, da difensori, era facilissimo: recuperavamo palla, la passavamo a Dunga che la passava a Roberto e poi andavamo tutti ad abbracciarlo dopo il gol".
"L'Heysel? Avevo il piede ingessato, ero in tribuna e vidi i primi scontri sugli spalti. A quel punto ci portarono negli spogliatoi. Ho seguito la partita a fianco della panchina. Le notizie non arrivavano. Credevamo che avrebbero interrotto tutto a fine primo tempo. Alla fine ci dissero di fare il giro d’onore e, quando rientrammo in hotel, pensavamo davvero che quella partita non contasse. Fu una tragedia enorme, di cui non fummo pienamente consapevoli".
"Aderirei al BLM, se fossi giocatore? Sì, mi inginocchierei».
"Cosa vorrei si dicesse di me a fine carriera? Che ho migliorato molti dei giocatori che ho avuto a mia disposizione».
"Gli obiettivi? Siamo il Milan e non ci dobbiamo porre limiti. Sarà difficilissimo perché sette squadre lotteranno per quattro posti. Ma gli ostacoli sono troppo alti solo per chi non ha ambizioni abbastanza forti".
“Ibra Mi ha aiutato tanto. Ibra è un esempio in tutto quello che fa. Non ci sta a sbagliare neanche un passaggio nel torello. Pretende il massimo da se stesso e dagli altri. Zlatan e Kjaer hanno cambiato la squadra non solo in sento tecnico, ma anche e soprattutto in senso morale".
Stranamente la scintilla tra di noi è nata nelle riunioni su Zoom durante il primo lockdown. Ci siamo dati il tempo di conoscerci, abbiamo parlato delle nostre vite. Non solo di calcio. Ed è nato il gruppo. Amici? No. Non siamo amici: siamo appartenenti a un’idea di valori comune. Sento che c’è empatia, forse addirittura un po’ di magia tra noi".
"La nazionale? La chiave del trionfo sono gli occhi dei giocatori che guardavano Mancini e si guardavano tra loro: lo stesso sguardo di Berrettini. Passa tutto da lì. L’Italia ha vinto gli Europei per quegli occhi: per quello spirito di gruppo. Non vinci con la tattica. Vinci mettendo da parte l’ “io” e anteponendo a tutto il “noi”. È in quel modo che hanno vinto. Hanno rappresentato al meglio l’Italia. E abbiamo esultato tutti, perché ci siamo sentiti partecipi di una cosa bella".
"Ho rivisto il Milan in quel gruppo? In piccolo sì. Sento che c’è empatia, forse addirittura un po’ di magia tra noi».
"Astori? Sono un allenatore che impronta tutta la sua gestione sul confronto e sul dialogo con i giocatori. Quella tragedia mi ha fatto capire che i calciatori sono anzitutto uomini. Sono dovuto entrare nelle loro teste. A uno a uno ho dovuto raccontargli che il medico, alle 9 del mattino, mi aveva detto che Davide non c’era più. Ho passato tutti i mesi successivi ad aiutarli a elaborare quella scomparsa. In certi momenti devi andare in profondità. Conta la tecnica, conta la tattica, ma è ancora più importante la componente mentale".
"Baggio? Il Roberto che ha giocato con me, stagione ’89/’90, valeva Maradona. Il nostro schema, da difensori, era facilissimo: recuperavamo palla, la passavamo a Dunga che la passava a Roberto e poi andavamo tutti ad abbracciarlo dopo il gol".
"L'Heysel? Avevo il piede ingessato, ero in tribuna e vidi i primi scontri sugli spalti. A quel punto ci portarono negli spogliatoi. Ho seguito la partita a fianco della panchina. Le notizie non arrivavano. Credevamo che avrebbero interrotto tutto a fine primo tempo. Alla fine ci dissero di fare il giro d’onore e, quando rientrammo in hotel, pensavamo davvero che quella partita non contasse. Fu una tragedia enorme, di cui non fummo pienamente consapevoli".
"Aderirei al BLM, se fossi giocatore? Sì, mi inginocchierei».
"Cosa vorrei si dicesse di me a fine carriera? Che ho migliorato molti dei giocatori che ho avuto a mia disposizione».