Milan: il mercato si fa all'estero. Calabria unico titolare italiano.

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Tuttosport: il decreto crescita, approvato nel 2019, viene criticato soprattutto per una circostanza: con le sue agevolazioni fiscali, applicate al lordo degli ingaggi dei calciatori provenienti dall’estero, spinge i club del nostro campionato a dare spazio prevalentemente agli stranieri a danno degli italiani. Da qui nascono le percentuali di minutaggio vicine al 70% dei giocatori non convocabili in azzurro (le più alte d’Europa dopo la Premier League). Ma c’è anche un altro fattore che viene preso meno in considerazione. Lo fotografa bene il mercato del Milan degli ultimi quattro anni. Dalla sessione estiva 2019, la prima dopo l’approvazione del Decreto crescita, il Milan ha completato 32 operazioni in entrata con pagamento del cartellino, escludendo quindi i parametri zero. Di queste, appena sei sono state effettuate con acquisti da altre società di Serie A, pari al 18% del totale. Il flusso economico reinvestito sul sistema del calcio italiano quindi è stato limitato: 65 milioni (nello stesso periodo il Milan ha incassato circa 300 milioni di soli diritti tv). L’ultimo trasferimento nazionale è stato quello di Messias dal Crotone. Il più caro è stato quello di Tonali dal Brescia per circa 25 milioni. Poi Krunic e Bennacer dall’Empoli, Florenzi dalla Roma (ma di rientro dai prestiti a Psg e Valencia) e il prestito oneroso, ma senza riscatto, di Meité dal Torino. Nei giorni scorsi è arrivato Sportiello, ultima destinazione Atalanta, ma a scadenza di contratto. Per fare un parallelo con i rivali cittadini, l’Inter nello stesso periodo, su 21 operazioni con trasferimento di denaro ne ha concluse 10 in Italia: Barella, Sensi, Darmian, Kolarov, Correa, Dzeko, Gosens, Acerbi, Bellanova e Asllani. Per una somma mobilitata pari a 142 milioni (quasi un terzo per Barella dal Cagliari a 45 milioni nel 2019).

Quindi alla distorsione sportiva del Decreto crescita, che limita il numero dei selezionabili per la Nazionale, se ne accompagna una economica, che impoverisce ulteriormente le provinciali. In questo modo non funziona in Italia quel travaso interno molto visibile in Premier League dove le grandi comprano talvolta a prezzi elevati dalle medio-piccole per una forma di tacita solidarietà interna, come dimostra il recentissimo passaggio di Declan Rice dal West Ham all’Arsenal per l’esorbitante cifra di 120 milioni di euro. Dello stesso genere il trasferimento di Harry Maguire dal Leicester al Manchester United per quasi 90 milioni quattro anni fa. Questo correttivo in Italia funziona meno perché i nostri diritti tv sono molto meno ricchi di quelli inglesi, ma anche perché il Decreto crescita rende più conveniente dirigere la propria attenzione all’estero. Con la creazione di un circolo tutt’altro che virtuoso. Perché le stesse provinciali si imbottiscono di stranieri e lanciano meno giovani italiani, con la conseguenza di avere pochi talenti del nostro Paese da mettere in vetrina per favorire gli acquisti delle grandi, costrette a iscrivere un numero minimo di italiani in rosa per le liste da consegnare alla Uefa prima del via delle coppe europee. Spesso i club assolvono a questo obbligo con calciatori presi quasi per riempire l’elenco senza un effettivo apprezzamento tecnico. Non a caso, tornando al Milan, in questo momento, dopo la cessione di Tonali, c’è un solo italiano titolare sicuro: Davide Calabria. Il capitano che, con lungimiranza e senza timore di esporsi, nelle interviste successive allo scudetto a maggio 2022 non esitava a criticare gli effetti perversi del Decreto crescita.
 

iceman.

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Tuttosport: il decreto crescita, approvato nel 2019, viene criticato soprattutto per una circostanza: con le sue agevolazioni fiscali, applicate al lordo degli ingaggi dei calciatori provenienti dall’estero, spinge i club del nostro campionato a dare spazio prevalentemente agli stranieri a danno degli italiani. Da qui nascono le percentuali di minutaggio vicine al 70% dei giocatori non convocabili in azzurro (le più alte d’Europa dopo la Premier League). Ma c’è anche un altro fattore che viene preso meno in considerazione. Lo fotografa bene il mercato del Milan degli ultimi quattro anni. Dalla sessione estiva 2019, la prima dopo l’approvazione del Decreto crescita, il Milan ha completato 32 operazioni in entrata con pagamento del cartellino, escludendo quindi i parametri zero. Di queste, appena sei sono state effettuate con acquisti da altre società di Serie A, pari al 18% del totale. Il flusso economico reinvestito sul sistema del calcio italiano quindi è stato limitato: 65 milioni (nello stesso periodo il Milan ha incassato circa 300 milioni di soli diritti tv). L’ultimo trasferimento nazionale è stato quello di Messias dal Crotone. Il più caro è stato quello di Tonali dal Brescia per circa 25 milioni. Poi Krunic e Bennacer dall’Empoli, Florenzi dalla Roma (ma di rientro dai prestiti a Psg e Valencia) e il prestito oneroso, ma senza riscatto, di Meité dal Torino. Nei giorni scorsi è arrivato Sportiello, ultima destinazione Atalanta, ma a scadenza di contratto. Per fare un parallelo con i rivali cittadini, l’Inter nello stesso periodo, su 21 operazioni con trasferimento di denaro ne ha concluse 10 in Italia: Barella, Sensi, Darmian, Kolarov, Correa, Dzeko, Gosens, Acerbi, Bellanova e Asllani. Per una somma mobilitata pari a 142 milioni (quasi un terzo per Barella dal Cagliari a 45 milioni nel 2019).

Quindi alla distorsione sportiva del Decreto crescita, che limita il numero dei selezionabili per la Nazionale, se ne accompagna una economica, che impoverisce ulteriormente le provinciali. In questo modo non funziona in Italia quel travaso interno molto visibile in Premier League dove le grandi comprano talvolta a prezzi elevati dalle medio-piccole per una forma di tacita solidarietà interna, come dimostra il recentissimo passaggio di Declan Rice dal West Ham all’Arsenal per l’esorbitante cifra di 120 milioni di euro. Dello stesso genere il trasferimento di Harry Maguire dal Leicester al Manchester United per quasi 90 milioni quattro anni fa. Questo correttivo in Italia funziona meno perché i nostri diritti tv sono molto meno ricchi di quelli inglesi, ma anche perché il Decreto crescita rende più conveniente dirigere la propria attenzione all’estero. Con la creazione di un circolo tutt’altro che virtuoso. Perché le stesse provinciali si imbottiscono di stranieri e lanciano meno giovani italiani, con la conseguenza di avere pochi talenti del nostro Paese da mettere in vetrina per favorire gli acquisti delle grandi, costrette a iscrivere un numero minimo di italiani in rosa per le liste da consegnare alla Uefa prima del via delle coppe europee. Spesso i club assolvono a questo obbligo con calciatori presi quasi per riempire l’elenco senza un effettivo apprezzamento tecnico. Non a caso, tornando al Milan, in questo momento, dopo la cessione di Tonali, c’è un solo italiano titolare sicuro: Davide Calabria. Il capitano che, con lungimiranza e senza timore di esporsi, nelle interviste successive allo scudetto a maggio 2022 non esitava a criticare gli effetti perversi del Decreto crescita.

Unico titolare italiano (mediocrissimo) perché l'altro più forte è stato venduto per fare spazio a due americani altrettanto mediocri e all'origi del cc.
Sto schifo se lo guardassero loro mentre infilano le dita delle mani nei capelli unti del loro capo.
 
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Unico titolare italiano (mediocrissimo) perché l'altro più forte è stato venduto per fare spazio a due americani altrettanto mediocri e all'origi del cc.
Sto schifo se lo guardassero loro mentre infilano le dita delle mani nei capelli unti del loro capo.
La verità è che non si compra in Italia, perché le società italiane chiedono cifre assurde anche per giocatori mediocri. Quindi o sei come la Juve che con le sue “succursali” controlla il 50% dei calciatori italiani, o per prendere un Frattesi qualunque, ti chiedono 40 mln.
 

Ragnet_7

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Tuttosport: il decreto crescita, approvato nel 2019, viene criticato soprattutto per una circostanza: con le sue agevolazioni fiscali, applicate al lordo degli ingaggi dei calciatori provenienti dall’estero, spinge i club del nostro campionato a dare spazio prevalentemente agli stranieri a danno degli italiani. Da qui nascono le percentuali di minutaggio vicine al 70% dei giocatori non convocabili in azzurro (le più alte d’Europa dopo la Premier League). Ma c’è anche un altro fattore che viene preso meno in considerazione. Lo fotografa bene il mercato del Milan degli ultimi quattro anni. Dalla sessione estiva 2019, la prima dopo l’approvazione del Decreto crescita, il Milan ha completato 32 operazioni in entrata con pagamento del cartellino, escludendo quindi i parametri zero. Di queste, appena sei sono state effettuate con acquisti da altre società di Serie A, pari al 18% del totale. Il flusso economico reinvestito sul sistema del calcio italiano quindi è stato limitato: 65 milioni (nello stesso periodo il Milan ha incassato circa 300 milioni di soli diritti tv). L’ultimo trasferimento nazionale è stato quello di Messias dal Crotone. Il più caro è stato quello di Tonali dal Brescia per circa 25 milioni. Poi Krunic e Bennacer dall’Empoli, Florenzi dalla Roma (ma di rientro dai prestiti a Psg e Valencia) e il prestito oneroso, ma senza riscatto, di Meité dal Torino. Nei giorni scorsi è arrivato Sportiello, ultima destinazione Atalanta, ma a scadenza di contratto. Per fare un parallelo con i rivali cittadini, l’Inter nello stesso periodo, su 21 operazioni con trasferimento di denaro ne ha concluse 10 in Italia: Barella, Sensi, Darmian, Kolarov, Correa, Dzeko, Gosens, Acerbi, Bellanova e Asllani. Per una somma mobilitata pari a 142 milioni (quasi un terzo per Barella dal Cagliari a 45 milioni nel 2019).

Quindi alla distorsione sportiva del Decreto crescita, che limita il numero dei selezionabili per la Nazionale, se ne accompagna una economica, che impoverisce ulteriormente le provinciali. In questo modo non funziona in Italia quel travaso interno molto visibile in Premier League dove le grandi comprano talvolta a prezzi elevati dalle medio-piccole per una forma di tacita solidarietà interna, come dimostra il recentissimo passaggio di Declan Rice dal West Ham all’Arsenal per l’esorbitante cifra di 120 milioni di euro. Dello stesso genere il trasferimento di Harry Maguire dal Leicester al Manchester United per quasi 90 milioni quattro anni fa. Questo correttivo in Italia funziona meno perché i nostri diritti tv sono molto meno ricchi di quelli inglesi, ma anche perché il Decreto crescita rende più conveniente dirigere la propria attenzione all’estero. Con la creazione di un circolo tutt’altro che virtuoso. Perché le stesse provinciali si imbottiscono di stranieri e lanciano meno giovani italiani, con la conseguenza di avere pochi talenti del nostro Paese da mettere in vetrina per favorire gli acquisti delle grandi, costrette a iscrivere un numero minimo di italiani in rosa per le liste da consegnare alla Uefa prima del via delle coppe europee. Spesso i club assolvono a questo obbligo con calciatori presi quasi per riempire l’elenco senza un effettivo apprezzamento tecnico. Non a caso, tornando al Milan, in questo momento, dopo la cessione di Tonali, c’è un solo italiano titolare sicuro: Davide Calabria. Il capitano che, con lungimiranza e senza timore di esporsi, nelle interviste successive allo scudetto a maggio 2022 non esitava a criticare gli effetti perversi del Decreto crescita.

Ma anche se non fosse un vantaggio fiscale, basta guardare i risultati della nazionale italiana per capire che il movimento italiano attualmente è morto.
 

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Tuttosport: il decreto crescita, approvato nel 2019, viene criticato soprattutto per una circostanza: con le sue agevolazioni fiscali, applicate al lordo degli ingaggi dei calciatori provenienti dall’estero, spinge i club del nostro campionato a dare spazio prevalentemente agli stranieri a danno degli italiani. Da qui nascono le percentuali di minutaggio vicine al 70% dei giocatori non convocabili in azzurro (le più alte d’Europa dopo la Premier League). Ma c’è anche un altro fattore che viene preso meno in considerazione. Lo fotografa bene il mercato del Milan degli ultimi quattro anni. Dalla sessione estiva 2019, la prima dopo l’approvazione del Decreto crescita, il Milan ha completato 32 operazioni in entrata con pagamento del cartellino, escludendo quindi i parametri zero. Di queste, appena sei sono state effettuate con acquisti da altre società di Serie A, pari al 18% del totale. Il flusso economico reinvestito sul sistema del calcio italiano quindi è stato limitato: 65 milioni (nello stesso periodo il Milan ha incassato circa 300 milioni di soli diritti tv). L’ultimo trasferimento nazionale è stato quello di Messias dal Crotone. Il più caro è stato quello di Tonali dal Brescia per circa 25 milioni. Poi Krunic e Bennacer dall’Empoli, Florenzi dalla Roma (ma di rientro dai prestiti a Psg e Valencia) e il prestito oneroso, ma senza riscatto, di Meité dal Torino. Nei giorni scorsi è arrivato Sportiello, ultima destinazione Atalanta, ma a scadenza di contratto. Per fare un parallelo con i rivali cittadini, l’Inter nello stesso periodo, su 21 operazioni con trasferimento di denaro ne ha concluse 10 in Italia: Barella, Sensi, Darmian, Kolarov, Correa, Dzeko, Gosens, Acerbi, Bellanova e Asllani. Per una somma mobilitata pari a 142 milioni (quasi un terzo per Barella dal Cagliari a 45 milioni nel 2019).

Quindi alla distorsione sportiva del Decreto crescita, che limita il numero dei selezionabili per la Nazionale, se ne accompagna una economica, che impoverisce ulteriormente le provinciali. In questo modo non funziona in Italia quel travaso interno molto visibile in Premier League dove le grandi comprano talvolta a prezzi elevati dalle medio-piccole per una forma di tacita solidarietà interna, come dimostra il recentissimo passaggio di Declan Rice dal West Ham all’Arsenal per l’esorbitante cifra di 120 milioni di euro. Dello stesso genere il trasferimento di Harry Maguire dal Leicester al Manchester United per quasi 90 milioni quattro anni fa. Questo correttivo in Italia funziona meno perché i nostri diritti tv sono molto meno ricchi di quelli inglesi, ma anche perché il Decreto crescita rende più conveniente dirigere la propria attenzione all’estero. Con la creazione di un circolo tutt’altro che virtuoso. Perché le stesse provinciali si imbottiscono di stranieri e lanciano meno giovani italiani, con la conseguenza di avere pochi talenti del nostro Paese da mettere in vetrina per favorire gli acquisti delle grandi, costrette a iscrivere un numero minimo di italiani in rosa per le liste da consegnare alla Uefa prima del via delle coppe europee. Spesso i club assolvono a questo obbligo con calciatori presi quasi per riempire l’elenco senza un effettivo apprezzamento tecnico. Non a caso, tornando al Milan, in questo momento, dopo la cessione di Tonali, c’è un solo italiano titolare sicuro: Davide Calabria. Il capitano che, con lungimiranza e senza timore di esporsi, nelle interviste successive allo scudetto a maggio 2022 non esitava a criticare gli effetti perversi del Decreto crescita.
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La verità è che non si compra in Italia, perché le società italiane chiedono cifre assurde anche per giocatori mediocri. Quindi o sei come la Juve che con le sue “succursali” controlla il 50% dei calciatori italiani, o per prendere un Frattesi qualunque, ti chiedono 40 mln.

Non troviamo scuse, i giocatori italiani si possono costruire anche in casa.
Ma bisogna tornare ad investire sulla squadra primavera (più che investire soldi, investire sulla competenza delle persone scelte nella catena di comando...)

La nostra primavera non è mai stata eccellente, neanche quando Filippo Galli era direttore sportivo, però almeno qualcosa di interessante ogni tanto saltava fuori. Ma da qualche anno a questa parte è un vero e proprio disastro.

Senza citare le solite note, andate ad osservare le giovanili di squadre come empoli, fiorentina, torino e lecce.
Loro lavorano benissimo con i giovani, come mai invece noi non riusciamo a cavarne un ragno dal buco?
 
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Tuttosport: il decreto crescita, approvato nel 2019, viene criticato soprattutto per una circostanza: con le sue agevolazioni fiscali, applicate al lordo degli ingaggi dei calciatori provenienti dall’estero, spinge i club del nostro campionato a dare spazio prevalentemente agli stranieri a danno degli italiani. Da qui nascono le percentuali di minutaggio vicine al 70% dei giocatori non convocabili in azzurro (le più alte d’Europa dopo la Premier League). Ma c’è anche un altro fattore che viene preso meno in considerazione. Lo fotografa bene il mercato del Milan degli ultimi quattro anni. Dalla sessione estiva 2019, la prima dopo l’approvazione del Decreto crescita, il Milan ha completato 32 operazioni in entrata con pagamento del cartellino, escludendo quindi i parametri zero. Di queste, appena sei sono state effettuate con acquisti da altre società di Serie A, pari al 18% del totale. Il flusso economico reinvestito sul sistema del calcio italiano quindi è stato limitato: 65 milioni (nello stesso periodo il Milan ha incassato circa 300 milioni di soli diritti tv). L’ultimo trasferimento nazionale è stato quello di Messias dal Crotone. Il più caro è stato quello di Tonali dal Brescia per circa 25 milioni. Poi Krunic e Bennacer dall’Empoli, Florenzi dalla Roma (ma di rientro dai prestiti a Psg e Valencia) e il prestito oneroso, ma senza riscatto, di Meité dal Torino. Nei giorni scorsi è arrivato Sportiello, ultima destinazione Atalanta, ma a scadenza di contratto. Per fare un parallelo con i rivali cittadini, l’Inter nello stesso periodo, su 21 operazioni con trasferimento di denaro ne ha concluse 10 in Italia: Barella, Sensi, Darmian, Kolarov, Correa, Dzeko, Gosens, Acerbi, Bellanova e Asllani. Per una somma mobilitata pari a 142 milioni (quasi un terzo per Barella dal Cagliari a 45 milioni nel 2019).

Quindi alla distorsione sportiva del Decreto crescita, che limita il numero dei selezionabili per la Nazionale, se ne accompagna una economica, che impoverisce ulteriormente le provinciali. In questo modo non funziona in Italia quel travaso interno molto visibile in Premier League dove le grandi comprano talvolta a prezzi elevati dalle medio-piccole per una forma di tacita solidarietà interna, come dimostra il recentissimo passaggio di Declan Rice dal West Ham all’Arsenal per l’esorbitante cifra di 120 milioni di euro. Dello stesso genere il trasferimento di Harry Maguire dal Leicester al Manchester United per quasi 90 milioni quattro anni fa. Questo correttivo in Italia funziona meno perché i nostri diritti tv sono molto meno ricchi di quelli inglesi, ma anche perché il Decreto crescita rende più conveniente dirigere la propria attenzione all’estero. Con la creazione di un circolo tutt’altro che virtuoso. Perché le stesse provinciali si imbottiscono di stranieri e lanciano meno giovani italiani, con la conseguenza di avere pochi talenti del nostro Paese da mettere in vetrina per favorire gli acquisti delle grandi, costrette a iscrivere un numero minimo di italiani in rosa per le liste da consegnare alla Uefa prima del via delle coppe europee. Spesso i club assolvono a questo obbligo con calciatori presi quasi per riempire l’elenco senza un effettivo apprezzamento tecnico. Non a caso, tornando al Milan, in questo momento, dopo la cessione di Tonali, c’è un solo italiano titolare sicuro: Davide Calabria. Il capitano che, con lungimiranza e senza timore di esporsi, nelle interviste successive allo scudetto a maggio 2022 non esitava a criticare gli effetti perversi del Decreto crescita.
Tuttosport:"Il Milan cattivo caccapupù non arricchisce le succursali della Juventus, bleah che schifo, viva li Taglia del calcio, grande Gravina!".
 
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Non troviamo scuse, i giocatori italiani si possono costruire anche in casa.
Ma bisogna tornare ad investire sulla squadra primavera (più che investire soldi, investire sulla competenza delle persone scelte nella catena di comando...)

La nostra primavera non è mai stata eccellente, neanche quando Filippo Galli era direttore sportivo, però almeno qualcosa di interessante ogni tanto saltava fuori. Ma da qualche anno a questa parte è un vero e proprio disastro.

Senza citare le solite note, andate ad osservare le giovanili di squadre come empoli, fiorentina, torino e lecce.
Loro lavorano benissimo con i giovani, come mai invece noi non riusciamo a cavarne un ragno dal buco?
Sul settore giovanile concordo con te.
Ovviamente mi riferivo all'acquisto di giocatori da squadre di medio-bassa classifica. Se vai dal Sassuolo per Frattesi ti chiede 40 mln, l'Atalanta per Scalvini ne chiede 35-40 mln (e forse non bastano), ecc...
 

numero 3

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La cosa preoccupante è che anche le " primavera" sono infarcite di giocatori provenienti da altre federazioni per poi ottenere lo status di " italiani" ma che poi non giocheranno mai per la nostra nazionale.
Siamo sempre lì, il sistema è marcio e dispiace perche' non vedo tanti ragazzi italiani tentare l'avventura nelle giovanili estere...Quindi stiamo impoverendo sempre di più il bacino d'utenza...Fra poco saremo come l'Ungheria o l'Uruguay nobili senza futuro
 

Jino

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Non troviamo scuse, i giocatori italiani si possono costruire anche in casa.
Ma bisogna tornare ad investire sulla squadra primavera (più che investire soldi, investire sulla competenza delle persone scelte nella catena di comando...)

La nostra primavera non è mai stata eccellente, neanche quando Filippo Galli era direttore sportivo, però almeno qualcosa di interessante ogni tanto saltava fuori. Ma da qualche anno a questa parte è un vero e proprio disastro.

Senza citare le solite note, andate ad osservare le giovanili di squadre come empoli, fiorentina, torino e lecce.
Loro lavorano benissimo con i giovani, come mai invece noi non riusciamo a cavarne un ragno dal buco?

Non c'è la pazienza di costruire in casa, ultimanente rimpolpano la primavera con stranieri che arrivano già a 18 anni, cosa vuoi che diano. Il campionato primavera poi, è ridicolo. Urge la seconda squadra.

Come dici tu bisogna investire sulle competenze, ma sopratutto dare continuità, non si può cambiare politica giovanile ogni 2-3 anni, è follia. Un ragazzo che entra nel settore giovanile deve avere continuità.
 
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