Adli:"Il Milan, i tifosi, i gol, il soprannome...".

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"Se uno mi chiama Mozart o pittore, io gli faccio capire che sono Yacine e basta. E mi va bene così. Nel bene o nel male cerco sempre di stare nel mezzo”.

"Viviamo in un mondo fake, ma chi mi conosce sa che io mi mostro per come sono. L’uomo che vedi nello spogliatoio è lo stesso che canta sotto la curva dopo una vittoria. Questo amore per il Milan è sincero, è esploso in me in maniera spontanea, non lo controllo. Quanto sento 80mila tifosi che cantano, mi vengono i brividi e mi sento uno di loro”.

"Il gol alla Roma? Mi sono venuti i brividi, quasi le lacrime. Dopo tutto quello che ho passato, è stato un momento speciale”.

"Il mio nome? papà ha scelto Yacine perché così si chiama uno scrittore, Kateb Yacine appunto, algerino di etnia berbera come i miei genitori. È stato un simbolo della resistenza algerina contro la dittatura. Mio padre arrivò in Francia a 9 anni. Quando mamma ne aveva 18, è tornato in Algeria e l’ha portata con sé. C’è una storia che si racconta sul loro incontro: una donna importante di questa città, legata alle famiglie di origine dei miei, previde che mio padre, una volta adulto, avrebbe sposato mia madre. E così è stato. Mia madre Ouiza è speciale".

"Sono un giocatore atipico: posso fare il vertice basso, il trequartista, ho giocato da esterno sinistro e falso nove. Posso piacere o no: non ho le gambe forti di uno che ti fa uno scatto di 40 metri e lascia dietro l’avversario, ma capisco i tempi di gioco, 'vedo' passaggi che non tutti vedono. Sono come un giocatore di scacchi che muove i pezzi giusti al momento giusto per 'ammazzare' l’avversario. Sono cose di cui non sempre chi guarda si accorge e per questo non potrò mai piacere a tutti. Sarò sempre Yacine Adli, con le sue caratteristiche. E queste caratteristiche possono fare la differenza".

"Anche quando non giocavo non ho mai dubitato di me stesso. Me ne sarei andato. Ma la qualità che mettevo ogni giorno nel lavoro mi faceva essere fiducioso. Sapevo che mi mancava ancora qualcosa, ma sapevo anche che quel qualcosa stava arrivando. Ho cercato di lavorare forte, di non perdere tempo e guardare avanti. Cosa mi mancava? Un po’ di adattamento, tattico e fisico, al vostro calcio. Non sono uno che guarda molto i dati della partita, ma questi adesso dicono che sono migliorato tanto, specialmente in fase difensiva. E, visto che sono ancora giovane, sono sicuro che continuerò a migliorare. In quel periodo tutti i miei compagni mi sono stati vicini, e non è per essere banale. Mi sento vicino a Bennacer, che ha origini algerine come le mie, o a Theo, Giroud e Maignan, francesi come me, ma davvero non faccio distinzioni. E poi, i compagni non avevano motivo di preoccuparsi: mai una volta mi sono presentato a Milanello con la faccia delusa di quello che non gioca".


L'intervista completa: cliccare sugli screen per ingrandire

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"Viviamo in un mondo fake, ma chi mi conosce sa che io mi mostro per come sono. L’uomo che vedi nello spogliatoio è lo stesso che canta sotto la curva dopo una vittoria. Questo amore per il Milan è sincero, è esploso in me in maniera spontanea, non lo controllo. Quanto sento 80mila tifosi che cantano, mi vengono i brividi e mi sento uno di loro”.

"Il gol alla Roma? Mi sono venuti i brividi, quasi le lacrime. Dopo tutto quello che ho passato, è stato un momento speciale”.

"Il mio nome? papà ha scelto Yacine perché così si chiama uno scrittore, Kateb Yacine appunto, algerino di etnia berbera come i miei genitori. È stato un simbolo della resistenza algerina contro la dittatura. Mio padre arrivò in Francia a 9 anni. Quando mamma ne aveva 18, è tornato in Algeria e l’ha portata con sé. C’è una storia che si racconta sul loro incontro: una donna importante di questa città, legata alle famiglie di origine dei miei, previde che mio padre, una volta adulto, avrebbe sposato mia madre. E così è stato. Mia madre Ouiza è speciale".

"Sono un giocatore atipico: posso fare il vertice basso, il trequartista, ho giocato da esterno sinistro e falso nove. Posso piacere o no: non ho le gambe forti di uno che ti fa uno scatto di 40 metri e lascia dietro l’avversario, ma capisco i tempi di gioco, 'vedo' passaggi che non tutti vedono. Sono come un giocatore di scacchi che muove i pezzi giusti al momento giusto per 'ammazzare' l’avversario. Sono cose di cui non sempre chi guarda si accorge e per questo non potrò mai piacere a tutti. Sarò sempre Yacine Adli, con le sue caratteristiche. E queste caratteristiche possono fare la differenza".

"Anche quando non giocavo non ho mai dubitato di me stesso. Me ne sarei andato. Ma la qualità che mettevo ogni giorno nel lavoro mi faceva essere fiducioso. Sapevo che mi mancava ancora qualcosa, ma sapevo anche che quel qualcosa stava arrivando. Ho cercato di lavorare forte, di non perdere tempo e guardare avanti. Cosa mi mancava? Un po’ di adattamento, tattico e fisico, al vostro calcio. Non sono uno che guarda molto i dati della partita, ma questi adesso dicono che sono migliorato tanto, specialmente in fase difensiva. E, visto che sono ancora giovane, sono sicuro che continuerò a migliorare. In quel periodo tutti i miei compagni mi sono stati vicini, e non è per essere banale. Mi sento vicino a Bennacer, che ha origini algerine come le mie, o a Theo, Giroud e Maignan, francesi come me, ma davvero non faccio distinzioni. E poi, i compagni non avevano motivo di preoccuparsi: mai una volta mi sono presentato a Milanello con la faccia delusa di quello che non gioca".


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"Viviamo in un mondo fake, ma chi mi conosce sa che io mi mostro per come sono. L’uomo che vedi nello spogliatoio è lo stesso che canta sotto la curva dopo una vittoria. Questo amore per il Milan è sincero, è esploso in me in maniera spontanea, non lo controllo. Quanto sento 80mila tifosi che cantano, mi vengono i brividi e mi sento uno di loro”.

"Il gol alla Roma? Mi sono venuti i brividi, quasi le lacrime. Dopo tutto quello che ho passato, è stato un momento speciale”.

"Il mio nome? papà ha scelto Yacine perché così si chiama uno scrittore, Kateb Yacine appunto, algerino di etnia berbera come i miei genitori. È stato un simbolo della resistenza algerina contro la dittatura. Mio padre arrivò in Francia a 9 anni. Quando mamma ne aveva 18, è tornato in Algeria e l’ha portata con sé. C’è una storia che si racconta sul loro incontro: una donna importante di questa città, legata alle famiglie di origine dei miei, previde che mio padre, una volta adulto, avrebbe sposato mia madre. E così è stato. Mia madre Ouiza è speciale".

"Sono un giocatore atipico: posso fare il vertice basso, il trequartista, ho giocato da esterno sinistro e falso nove. Posso piacere o no: non ho le gambe forti di uno che ti fa uno scatto di 40 metri e lascia dietro l’avversario, ma capisco i tempi di gioco, 'vedo' passaggi che non tutti vedono. Sono come un giocatore di scacchi che muove i pezzi giusti al momento giusto per 'ammazzare' l’avversario. Sono cose di cui non sempre chi guarda si accorge e per questo non potrò mai piacere a tutti. Sarò sempre Yacine Adli, con le sue caratteristiche. E queste caratteristiche possono fare la differenza".

"Anche quando non giocavo non ho mai dubitato di me stesso. Me ne sarei andato. Ma la qualità che mettevo ogni giorno nel lavoro mi faceva essere fiducioso. Sapevo che mi mancava ancora qualcosa, ma sapevo anche che quel qualcosa stava arrivando. Ho cercato di lavorare forte, di non perdere tempo e guardare avanti. Cosa mi mancava? Un po’ di adattamento, tattico e fisico, al vostro calcio. Non sono uno che guarda molto i dati della partita, ma questi adesso dicono che sono migliorato tanto, specialmente in fase difensiva. E, visto che sono ancora giovane, sono sicuro che continuerò a migliorare. In quel periodo tutti i miei compagni mi sono stati vicini, e non è per essere banale. Mi sento vicino a Bennacer, che ha origini algerine come le mie, o a Theo, Giroud e Maignan, francesi come me, ma davvero non faccio distinzioni. E poi, i compagni non avevano motivo di preoccuparsi: mai una volta mi sono presentato a Milanello con la faccia delusa di quello che non gioca".


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Swaitak

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"Se uno mi chiama Mozart o pittore, io gli faccio capire che sono Yacine e basta. E mi va bene così. Nel bene o nel male cerco sempre di stare nel mezzo”.

"Viviamo in un mondo fake, ma chi mi conosce sa che io mi mostro per come sono. L’uomo che vedi nello spogliatoio è lo stesso che canta sotto la curva dopo una vittoria. Questo amore per il Milan è sincero, è esploso in me in maniera spontanea, non lo controllo. Quanto sento 80mila tifosi che cantano, mi vengono i brividi e mi sento uno di loro”.

"Il gol alla Roma? Mi sono venuti i brividi, quasi le lacrime. Dopo tutto quello che ho passato, è stato un momento speciale”.

"Il mio nome? papà ha scelto Yacine perché così si chiama uno scrittore, Kateb Yacine appunto, algerino di etnia berbera come i miei genitori. È stato un simbolo della resistenza algerina contro la dittatura. Mio padre arrivò in Francia a 9 anni. Quando mamma ne aveva 18, è tornato in Algeria e l’ha portata con sé. C’è una storia che si racconta sul loro incontro: una donna importante di questa città, legata alle famiglie di origine dei miei, previde che mio padre, una volta adulto, avrebbe sposato mia madre. E così è stato. Mia madre Ouiza è speciale".

"Sono un giocatore atipico: posso fare il vertice basso, il trequartista, ho giocato da esterno sinistro e falso nove. Posso piacere o no: non ho le gambe forti di uno che ti fa uno scatto di 40 metri e lascia dietro l’avversario, ma capisco i tempi di gioco, 'vedo' passaggi che non tutti vedono. Sono come un giocatore di scacchi che muove i pezzi giusti al momento giusto per 'ammazzare' l’avversario. Sono cose di cui non sempre chi guarda si accorge e per questo non potrò mai piacere a tutti. Sarò sempre Yacine Adli, con le sue caratteristiche. E queste caratteristiche possono fare la differenza".

"Anche quando non giocavo non ho mai dubitato di me stesso. Me ne sarei andato. Ma la qualità che mettevo ogni giorno nel lavoro mi faceva essere fiducioso. Sapevo che mi mancava ancora qualcosa, ma sapevo anche che quel qualcosa stava arrivando. Ho cercato di lavorare forte, di non perdere tempo e guardare avanti. Cosa mi mancava? Un po’ di adattamento, tattico e fisico, al vostro calcio. Non sono uno che guarda molto i dati della partita, ma questi adesso dicono che sono migliorato tanto, specialmente in fase difensiva. E, visto che sono ancora giovane, sono sicuro che continuerò a migliorare. In quel periodo tutti i miei compagni mi sono stati vicini, e non è per essere banale. Mi sento vicino a Bennacer, che ha origini algerine come le mie, o a Theo, Giroud e Maignan, francesi come me, ma davvero non faccio distinzioni. E poi, i compagni non avevano motivo di preoccuparsi: mai una volta mi sono presentato a Milanello con la faccia delusa di quello che non gioca".


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non mi sembra ritardato come gli altri calciatori, ora però non deve farsi risucchiare dal vortice delle interviste.
 
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È stato bravo a non mollare e a non abbattersi nonostante sia stato trattato, a lungo e inspiegabilmente, peggio dell'ultimo dei primavera aggregati.
 

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"Viviamo in un mondo fake, ma chi mi conosce sa che io mi mostro per come sono. L’uomo che vedi nello spogliatoio è lo stesso che canta sotto la curva dopo una vittoria. Questo amore per il Milan è sincero, è esploso in me in maniera spontanea, non lo controllo. Quanto sento 80mila tifosi che cantano, mi vengono i brividi e mi sento uno di loro”.

"Il gol alla Roma? Mi sono venuti i brividi, quasi le lacrime. Dopo tutto quello che ho passato, è stato un momento speciale”.

"Il mio nome? papà ha scelto Yacine perché così si chiama uno scrittore, Kateb Yacine appunto, algerino di etnia berbera come i miei genitori. È stato un simbolo della resistenza algerina contro la dittatura. Mio padre arrivò in Francia a 9 anni. Quando mamma ne aveva 18, è tornato in Algeria e l’ha portata con sé. C’è una storia che si racconta sul loro incontro: una donna importante di questa città, legata alle famiglie di origine dei miei, previde che mio padre, una volta adulto, avrebbe sposato mia madre. E così è stato. Mia madre Ouiza è speciale".

"Sono un giocatore atipico: posso fare il vertice basso, il trequartista, ho giocato da esterno sinistro e falso nove. Posso piacere o no: non ho le gambe forti di uno che ti fa uno scatto di 40 metri e lascia dietro l’avversario, ma capisco i tempi di gioco, 'vedo' passaggi che non tutti vedono. Sono come un giocatore di scacchi che muove i pezzi giusti al momento giusto per 'ammazzare' l’avversario. Sono cose di cui non sempre chi guarda si accorge e per questo non potrò mai piacere a tutti. Sarò sempre Yacine Adli, con le sue caratteristiche. E queste caratteristiche possono fare la differenza".

"Anche quando non giocavo non ho mai dubitato di me stesso. Me ne sarei andato. Ma la qualità che mettevo ogni giorno nel lavoro mi faceva essere fiducioso. Sapevo che mi mancava ancora qualcosa, ma sapevo anche che quel qualcosa stava arrivando. Ho cercato di lavorare forte, di non perdere tempo e guardare avanti. Cosa mi mancava? Un po’ di adattamento, tattico e fisico, al vostro calcio. Non sono uno che guarda molto i dati della partita, ma questi adesso dicono che sono migliorato tanto, specialmente in fase difensiva. E, visto che sono ancora giovane, sono sicuro che continuerò a migliorare. In quel periodo tutti i miei compagni mi sono stati vicini, e non è per essere banale. Mi sento vicino a Bennacer, che ha origini algerine come le mie, o a Theo, Giroud e Maignan, francesi come me, ma davvero non faccio distinzioni. E poi, i compagni non avevano motivo di preoccuparsi: mai una volta mi sono presentato a Milanello con la faccia delusa di quello che non gioca".


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Ben vengano giocatori un pò fuori dal coro come Yacine o Nicolussi-Caviglia...Possono essere esempi anche loro per i nostri figli, non esistono solo i Ronaldo e Leao
 

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