Giungo a fagiolo, anche se ancora non ho esperienza pratica.
Il punto da chiarire è la questione della natura giuridica del documento. Io come semplice aspirante leguleio non ho certo esperienza diretta di queste cose, ma conosco i testi specialistici che si occupano a livello di approfondimento monografico della circolazione delle partecipazioni azionarie e descrivono analiticamente la prassi internazionale del settore, cosa che mi può tornare utile per provare a fare delle ipotesi sul grado di vincolatività del documento che dovrebbe essere firmato, elemento su cui, comprensibilmente, si appunta l’attenzione dei tifosi, timorosi degli ondivaghi umori del vecchio Silvio. Non possiamo essere certi di nulla, ma possiamo ricostruire un quadro presumibilmente realistico sulla scorta delle notizie giornalistiche, confrontandole con la consolidata prassi di settore, tenendo presente che nulla vieta nulla in questo campo, dove l’autonomia privata regna (ehm…quasi) sovrana, ma io dubito fortemente che un soggetto come Berlusconi, con la psicologia che ha, si faccia imporre un iter stravagante che fuoriesca dal seminato della prassi internazionale, che ormai si è cristallizzata notevolmente. Vediamo se riesco a dire cose comprensibili. Dunque, come premessa possiamo dire che la società ha sede in Italia e il venditore non è uno straccione, quindi si presume che abbia preteso come legge applicabile il diritto italiano. La prassi conosce un iter fondamentale, come accennato nei giorni scorsi da Casnop, che sostanzialmente è questo:
1a lettera di intenti , 2a contratto definitivo di trasferimento delle azioni, 3a closing differito; oppure:
1b lettera di intenti, 2b contratto preliminare di trasferimento delle azioni, 3b contratto definitivo e closing contestuale
Si tratta di percorsi in parte formalmente diversi ma che hanno un significato equivalente. Il lasso di tempo che intercorre tra il 2 e il 3 serve ad una moltitudine di atti e controlli che variano molto a seconda della complessità della società target: il contratto vincolante è il numero 2 nella sostanza, il closing è nient’altro che l’esecuzione delle numerose obbligazioni che le parti hanno assunto contrattualmente con il definitivo - oppure si sono impegnate contrattualmente ad assumere nel caso si faccia prima un preliminare - tra le quali spiccano le due fondamentali: il pagamento del prezzo e la girata delle azioni. Questo fenomeno dipende dal fatto che in questo campo anche il definitivo viene usato come preliminare, perché quasi mai gli viene riconosciuto il normale effetto traslativo della proprietà, ma solo un effetto obbligatorio, l’effetto “reale” qui di solito avviene solo al momento del closing, quando il venditore adempie all’obbligo di fare la girata delle azioni, cosa che determina il passaggio di proprietà del pacchetto azionario e fornisce al nuovo titolare la legittimazione ad esercitare i diritti amministrativi, incorporati nei titoli azionari, nei confronti della società target, che naturalmente nel nostro caso è il Milan.
Io sono ragionevolmente certo che siamo ancora alla fase 1, che è una fase, come detto da Casnop, di natura precontrattuale. Nel settore di cui parliamo la lettera di intenti ormai da tempo si è venuta a configurare come un documento non vincolante se non nei termini minimi che dirò. Essa ha una grande importanza pratica nel programmare e scandire i futuri passi della trattativa, e spesso segnala che le parti nella sostanza sono addivenute ad un intesa di massima sui termini essenziali del futuro contratto,
ma da essa normalmente non sorgono obbligazioni contrattuali che riguardino l’oggetto principale della futura compravendita. Eventuali riferimenti allo stato della trattativa e ai termini di massima già concordati informalmente (heads of agreement, term sheet etc.) sono circondati solitamente da ferree espressioni volte a segnalare la loro natura giuridicamente non vincolante (subject to contract è sintagma che ricorre spesso).
Gli unici “binding agreements” che in genere tale documento contiene, ossia veri accordi di natura contrattuale, sono gli accordi di standstill e quelli di non-disclosure/confidentiality, (assieme ad altri che non fanno al caso nostro, tipo divieti di insider trading e di storno di dipendenti), ossia i patti di esclusiva e di riservatezza, la cui eventuale violazione comporta sicuramente una responsabilità per inadempimento. E quindi molto spesso delle clausole penali ci sono, ma bisogna chiarire che esse appunto fanno riferimento solo agli obblighi che ho citato sopra (durante la vigenza del patto di esclusiva la Fininvest non può certo trattare con altri o addirittura vendere le azioni senza incorrere in una violazione contrattuale; le violazioni degli obblighi di segretezza invece sono scarsamente giustiziabili nella pratica, per ovvie ragioni), e non sono assolutamente volte a sanzionare la rottura ingiustificata di trattative ben avviate che abbiano fatto sorgere in una della parti un legittimo affidamento sulla loro buona riuscita. Tale condotta al massimo può dar luogo a una forma di responsabilità precontrattuale, (malgrado la moderna tendenza di inserire clausole che escludano seccamente anche quest’ultima) che però riguarda solamente, e sempre che si dimostri la malafede della controparte, l’obbligo di risarcimento delle spese affrontate (avvocati consulenti etc.) e dei danni per le eventuali occasioni perse, che in questo caso sarebbero ardue da dimostrare (tipo: “se non mi facevi perdere tempo compravo un’altra squadra che nel frattempo altri hanno acquisito"): si tratta della lesione del cd. interesse contrattuale negativo, che come ben capite è ben diverso e più limitato rispetto all’interesse contrattuale positivo, che un vero e proprio inadempimento contrattuale può ledere, esponendo il “colpevole” ad una piena responsabilità. D’altronde anche la logica può soccorrere un osservatore digiuno di conoscenze delle pratiche di settore: se io concedo un’esclusiva a trattare significa che nessuna obbligazione contrattuale per il momento è sorta sull’oggetto principale della trattativa e quindi nessuna penale potrebbe preventivamente quantificare un danno da inadempimento neppure astrattamente concepibile; una stravagante penale di dimensioni spropositate, paragonabile a quella che comparirebbe a buon diritto in un preliminare o in un definitivo, costruita surrettiziamente per sanzionare la rottura ingiustificata delle trattative, sarebbe drasticamente ridotta in sede giudiziale in quanto abusiva e manifestamente eccessiva.
Naturalmente, sul piano strettamente pratico, non avessimo a che fare con un soggetto prono ai colpi di testa, potremmo stare tranquilli, perché quando ci si scambia le lettere di intenti vuol dire che le prospettive sono ottime e una felice conclusione dell’affare è molto probabile.
Se si pretendono certezze giuridiche, la lettera di intenti in sé per sé non serve a un fico secco, cari amici bisognerà pazientare ancora un po’… Corre l’obbligo di accennare, per altro, che spesso vengono firmati patti di esclusiva nudi e crudi, senza neppure una lettera di intenti, ma non sembra essere questo il caso. Ho aspettato prima di postare il mio contributo, attendendo la versione finale di Campopiano, perché se avesse tenuto duro sul concetto di “preliminare” avrei scritto cose diverse, ma il concetto di patto di esclusiva è un chiodo piantato nella bara degli entusiasmi prematuri, almeno per coloro che pretendono robusti vincoli giuridici e non solo reputazionali. Per concludere:
clausole penali presenti in un patto di esclusiva che eccedano la legittima e circoscritta funzione di liquidare preventivamente il danno da inadempimento del patto medesimo, secondo il mio umilissimo parere, non stanno né in cielo né in terra, mentre salatissime penali poste a presidio di un contratto preliminare o definitivo sarebbero normalissime e in linea con la prassi.