Che avere lo stadio condiviso con quelli là possa dare fastidio lo comprendo (e la penso uguale). Però, lato economico, esistono studi di settore (per lo più americani) che mostrano come i ricavi da stadio siano, grosso modo, ripartiti in tre voci: botteghino (45% circa), merchandising e indotto (30%) e naming rights (25%). Le prime due voci, come è logico intuire, non variano a seconda di avere uno stadio proprio o in condivisione. I naming rights, invece, sono più alti (ma non il doppio) in caso di stadio condiviso (perchè chi se li accaparra avrà più visibilità, essendoci più eventi) ma da dividere in due. Quindi le società hanno semplicemente stimato che la cifra persa alla voce naming rights (25% circa degli incassi) sia inferiore ai costi di costruzione (ridotti al 50%) e, cosa ancora più importante, a quelli di manutenzione periodica del complesso (anch'essi ridotti della metà). In conclusione, avere uno stadio condiviso è finanziaramente conveniente. Nel nostro caso specifico, essere costretti a dividerlo con i complessati è un aborto, ma questo è un altro discorso.
Personalmente, credo che, oltre al lato finanziario, la scelta di andare insieme sia stata politica, per mettere pressione alle istituzioni. Inoltre, sono anche convinto che nessuna delle parti volesse andare via per prima, consegnando, di fatti, San Siro e le relative speculazioni edilizie alla controparte.