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Arrigo Sacchi, intervistato dalla Gazzetta dello Sport in edicola oggi, 14 gennaio 2018, sul Milan:"È un’incognita in tutto. È stata fatta una campagna acquisti sbalorditiva, ma è stato messo il gioco al centro del progetto? È stata valutata la professionalità e la compatibilità dei prescelti? Sono adatti al gioco? Gattuso ha ricevuto una patata bollente, ma sa tirare fuori il meglio da ognuno. Il primo contratto al Milan lo firmai in bianco? Sì e presi meno che al Parma. Ma al secondo anno me lo raddoppiarono per lo scudetto. Poi mi chiamarono e mi spiegarono: “Non possiamo raddoppiare ogni anno. Anche perché lo scudetto ormai è perso e la Coppa Campioni è dura da vincere...”. C’era una bella differenza tra quello che offrivano e quello che chiedevo io. Allora proposi: “Ok, se non vinciamo la coppa prendo quello che mi date, ma se vinciamo la Coppa Campioni, triplicate la differenza che c’è ora”. Quando mi abbracciò in campo a Barcellona, dopo la finale, Berlusconi mi disse: “Mai stato così felice di pagare dei soldi...". Come è nato quel Milan rivoluzionario? Da me stesso, da come sono. Quando vado in bici e incontro una discesa ripida, volto la bici e faccio la salita. Per me è sempre stato tutto una sfida. Dicevano: bravo quel Sacchi, ma vince solo con i giovani...; poi: ma vince solo in C, poi ma vin- ce solo in B... Sempre una sfida. Pavese ha scritto: “Non c’è arte senza ossessione”. Per me il calcio è sempre stato ossessione, ricerca continua del massi- mo, della bellezza. Pensavo che lo spettacolo del gioco aiutasse e amplificasse la vittoria. Senza ossessione non c’è evoluzione. Guardiola ha ossessione, anche Conte, ma soffre di tatticismo. Da piccolo tifoso dell’Inter ammiravo il grande Real Madrid. A 8 anni scappai di casa per vedere la finale del Mondiale del ’54 in uno dei po- chi televisori del paese. Mio padre, sapendo la mia passione, mi ritrovò subito. Mia madre più che dalla fuga fu sorpresa che tifassi per la grande Ungheria: “Stai con i comunisti?” Quegli squadroni e poi il gran- de Ajax mi gonfiavano il cuore e le idee. Quando arrivai a Milano, in Piazzale Lotto, da dove poi il pullman ci portava a Milanello osservavo i milanesi che camminavano tutti di fretta e pensavo: qui sarà facile in- segnare pressing. Ho sempre dato tutto me stesso con ossessione e alla fine mi sono svuotato. Tornai al Parma per poche partite, vincemmo a Verona, ma non provai la minima soddisfazione. Ero vuoto, avevo dato tutto. Telefonai a mia mo- glie e le dissi che tornavo a casa. Andai da uno psicologo a Bologna e gli chiesi se fosse normale la reazione di Verona. Mi rispose: “Non è normale tutto quello che ha fatto prima. Come cambierei oggi quel Milan? A Baresi dicevo sempre:“Franco, sappi che ogni tuo lancio mi dà un dispiacere”. Ecco oggi avremmo ancora di più l’esigenza di restare corti e compatti, tipo Napoli. E di guadagnare tempi di gioco. Se quando Maldini avanzava , Evani gli veniva incontro. Or adirei a Evani di tagliare in mezzo. E tantissime altre cose".