Rivera e Sheva sul Milan di ieri e di oggi.

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Gianni Rivera e Sheva intervistati sul Milan di ieri e di oggi. Ecco le dichiarazioni più importanti

Rivera:"Bisogna dire che fare il centravanti di questo Milan non dev’essere facile. La squadra sta rendendo al di sotto del suo valore e quando accade questo di solito dipende da una situazione societaria incerta, che si ripercuote sul rendimento in campo. C’è qualcosa di poco chiaro, indubbiamente, nei rapporti tra le varie componenti. Non conosco la situazione reale e le strategie, però qualcosa che non quadra, che preoccupa, esiste. Ibra renderebbe più competitivo il Milan?Bisogna fidarsi dell’allenatore. Piatek finora ha segnato poco, ci si aspettava di più e Ibra è un attaccante di valore. Non più giovane, però: in quali condizioni fisiche e mentali arriverebbe? Sul piano delle caratteristiche individuali c’è da chiedersi se i due possono coesistere. Ma sono giudizi che deve esprimere l’allenatore. Rocco? Era unico, sapeva alleggerire il carico di responsabilità avvertito dai giocatori con le sue battute folgoranti. Sapeva cogliere i momenti per agire anzitutto in chiave psicologica. Arrivai al Milan grazie a? Furono Pedroni e Gipo Viani a portarmi da Alessandria a Milano per fare un provino sul campo di Linate. Una partita al termine della quale due giocatori della prima squadra, Liedholm e Schiaffino, andarono da Viani, il nostro d.s., a dirgli che quel ragazzino andava assolutamente preso. Non avevo ancora compiuto i 16 anni: la mia storia cominciò da questa raccomandazione illustre. Meglio Cesare o Paolo Malldini? Il mio Maldini è stato un difensore di rara efficacia e personalità, ma usava solo il destro. Paolo ha evidentemente ricevuto dal padre quel qualcosa in più che Cesare non era riuscito ad esprimere. Rammaricato per non aver fatto parte del Milan di Berlusconi? No, perché si trattò di una scelta. Avevo verificato che oltre un certo confine decisionale come dirigente rossonero non potevo spingermi e nel frattempo mi era giunta l’offerta di entrare in politica: così decisi di uscire dal club. Pirlo - Rivera paragone plausibile? La carriera di Andrea ha dimostrato che lui è stato più centrocampista di me. Esiste uno spirito Milan? Sì, c’è un filo che lega i vari periodi ed è la correttezza dei rapporti interni e la pacatezza degli atteggiamenti esterni: non siamo mai stati una squadra di urlatori. Al punto che i cronisti ci rimproveravano spesso: Gianni, non ci date mai dei titoloni...".


Sheva:"Il pallone d'oro? Vincerlo con la maglia del Milan mi ha dato una felicità immensa, era la squadra che sognavo da bambino. Certo, i gol che segnai con l’Ucraina al Mondiale mi aiutarono molto. Quando arrivai a Milano conoscevo il Milan di Sacchi e di Capello. Sapevo che era stata una grande squadra anche in anni lontani, con Nereo Rocco. Da bambino ero un tifoso, era il club che seguivo di più dopo la Dinamo Kiev. Vedevo le partite in tv, ricordo le finali di coppa dei Campioni: quella vinta a Barcellona contro la Steaua, l’altra persa con l’Olympique Marsiglia, quella dominata contro il Barcellona di Cruijff. Adoravo il Milan, per quello volevo venire a giocare in rossonero. Van Basten il mio idolo? Ai tempi di Sacchi c’erano tanti campioni: Gullit, Van Basten, e Baresi, Donadoni, Maldini. Una squadra incredibile, difficile scegliere. Mi sarebbe piaciuto lavorare con allenatori del passato? Lavorare con Sacchi sarebbe stato molto interessante. Sacchi come mentalità era simile a Lobanovski, il tecnico che mi ha formato alla Dinamo Kiev. Intensità, impegno, lavoro, pensiero collettivo, dedizione: i concetti erano quelli del calcio moderno. Sacchi ha rivoluzionato il calcio, un po’ come aveva fatto Lobanovski nella ex Unione Sovietica. Cosa mi è rimasto in mente dei primi tempi a Milano?L’accoglienza dei ragazzi, che fu caldissima. Billy Costacurta, Ambro, e Demetrio Albertini, e naturalmente Paolo Maldini: i senatori mi fecero subito sentire a mio agio. Anche con Zvone Boban e Leonardo parlavo tantissimo. Sentirsi a casa in fretta facilitò il mio inserimento. Il giocatore simbolo del Milan? Dico Maldini perché rappresenta il mio Milan ma ha attraversato gli anni. il club ha avuto tantissimi campioni: Rivera, Baresi, molti altri. Paolo è il simbolo del mio tempo, ma è anche un giocatore particolare: padre capitano, come lui, e poi allenatore, mentre lui ora è dirigente, con un figlio che gioca nel Milan. È una storia che attraversa quasi tutte le epoche e credo che sia più unica che rara nel calcio. Per questo penso che, alla fine, se proprio si dovesse scegliere un unico nome sarebbe giusto scegliere Paolo. Che è il simbolo di un club straordinario, che ha segnato tante epoche. Che augurio faccio al Milan? Faccio gli auguri a tutti quelli che hanno contribuito a creare questa lunga emozione, in un modo o nell’altro. È una festa per tutti noi, non soltanto per quelli che hanno avuto la fortuna di stare sul palcoscenico. Il Milan è unico, è un grande film che non finisce. Chi ama il calcio lo sa".
 
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