Papin:”il mio Milan e quello di oggi. I francesi rossoneri…”

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Lunga intervista di Papin a Repubblica. Le dichiarazioni

“L'unico rimpianto della mia carriera è quello di essere andato via dopo due anni".

Fu lei a deciderlo.
"Sì, perché non giocavo abbastanza. Capello mi disse 'la decisione è tua e la rispettiamo, ma nessuno qui vuole che tu te ne vada'. E la verità è che quando una squadra come il Milan ti dice di non andare via, non lo devi fare".

Che rapporto aveva con 'don' Fabio?
"Quando si parla di lui come un allenatore duro mi viene da ridere. Nella mia carriera non ho mai avuto un tecnico che non ci facesse lavorare sodo. Se vuoi giocare a calcio devi farlo. E anche quando l'allenatore è amico dei calciatori cambia poco: quando si deve lavorare, si lavora e basta. È l'allenatore a cui mi ispiro maggiormente. È stato lui a farmi capire il mio vero valore. Per me il calcio è quello che mi ha fatto giocare lui. È stato Capello a migliorare il mio gioco spalle alla porta, perché quando sono arrivato a Milano guardavo solo verso la porta avversaria".

Nel 1991 vinse il Pallone d'Oro a Marsiglia. Il suo sogno, però, era anche un altro.
"Sì, quello di giocare al Milan. È stato un privilegio far parte di quella squadra incredibile che non perdeva mai e giocava sempre per fare gol. Che ricordi! In quei due anni abbiamo vinto quasi tutto: due scudetti e una Coppa dei Campioni, perdendo l'altra in finale contro l'Olympique".

Il suo Olympique.
"Ero in campo, qualche anno prima al Velodrome, quando Galliani e Sacchi decisero di abbandonare il terreno di gioco. Un vero e proprio peccato".

Che le dicevano van Basten e compagni del loro ex allenatore?
"Che non avevano mai lavorato tanto sia dal punto di vista fisico che tattico, ma che era stato lui a permettergli di vincere la Coppa dei Campioni, il sogno di ogni calciatore".

Da Bernard Tapie a Silvio Berlusconi.
"Ho ottimi ricordi di entrambi perché sono persone incredibili, con una grande capacità di prendere decisioni importanti. Si tratta di figure fondamentali per una squadra che pretende di essere vincente. Erano presidenti veri".

Con chi è rimasto maggiormente in contatto?
"Con tutti, sebbene con Marco Simone mi senta più spesso che con gli altri. Oltre a giocare nella stessa squadra eravamo amici. E questo è fondamentale perché per un amico corri di più".

Segue ancora le partite del Milan?
"Assolutamente sì. Quest'anno la cavalcata della squadra di Pioli è stata difficile, ma stupenda. Hanno lottato fino alla fine e ce l'hanno fatta anche se non erano i favoriti. Tutto merito del loro carattere perché in Italia, più che in altri posti, il carattere è importante".

Il suo Milan, invece, era sempre favorito, la miglior squadra al mondo. Come ha vissuto gli anni della decadenza?
"Male, come tutti i tifosi, del resto. Ma sono cicli che prima o poi arrivano a tutte le squadre, anche alle più grandi perché quando una stagione va male e la successiva pure è sempre difficile tornare ai più alti livelli. Mi è dispiaciuto, ma ero sicuro che un giorno il Milan sarebbe tornato grande. Sotto questo aspetto, il passaggio di proprietà non ha aiutato di certo i calciatori. Transizioni di questo tipo sono sempre difficili da assimilare".

Lei avrebbe rinnovato il contratto a Ibrahimovic?
"Ibra è un uomo importante sia per la squadra che per lo spogliatoio perché ha un'esperienza incredibile e quello che dice lui è sempre importante".

E ai suoi tempi chi era quello che diceva le cose importanti?
"Eravamo tutti importanti, ma Franco Baresi era l'uomo che diceva le cose quando c'era bisogno che qualcuno le dicesse".

Maldini sta dimostrando di essere bravo anche come dirigente.
"Paolo è lo spirito di questa squadra. Ha passato tutta la sua carriera al Milan e, per questo, merita rispetto. È molto raro che succeda, ma lui è un uomo incredibile, un amico. Io sono stato sempre dalla sua parte, anche quando dicevano che aveva commesso qualche errore perché tutti possono sbagliare".

La colonia francese è stata uno dei pilastri del Milan campione d'Italia.
"Sono fiero di loro e di quello che hanno fatto. Olivier (Giroud, ndr) lo conosco bene. Ci siamo sentiti tante volte durante la stagione. È uno di quei calciatori che sa essere decisivo nelle partite importanti e la scorsa stagione ha segnato gol importantissimi contro le grandi. Ha deciso tante partite e quello che mi ha fatto più piacere è stato constatare che, in questi big match, l'uomo di riferimento della squadra fosse proprio lui".

Si aspettava un Maignan a questi livelli già al primo anno?
"In Francia sapevamo già che era un grande portiere e quando ha firmato con il Milan ero sicuro che avrebbe fatto bene. Detto questo, mi ha impressionato perché davvero non pensavo che il suo impatto potesse essere così immediato".

E, poi, c'è Theo, uno dei capitani.
"Quando è arrivato al Milan non era ancora un calciatore importante. È il classico esempio di giocatore che si è conquistato il rispetto di tutti sul terreno di gioco".

Fino a dove può arrivare Leao?
"Mi piace davvero tanto. È molto veloce e anche sotto porta è bravissimo. Anche lui, come Giroud, ha fatto gol importanti. Ora, però, viene il momento più difficile: quello della conferma. A questi livelli non basta fare bene un anno, devi riuscire a rimanere in alto anche la stagione successiva e quella dopo e quella dopo...".

Oggi i calciatori a fine carriera vanno a fare soldi in Arabia. Lei scelse La Réunion.
"L'ho fatto solo per il piacere di giocare in un Paese nuovo. Solo per divertirmi".

Le sembra poco?
"Quando sei a fine carriera non vai di certo a La Réunion a fare soldi, ma per vivere e giocare in un posto bellissimo. Andavo anche spesso a pescare. È stato molto bello".

Cos'ha imparato?
"Sapevo che in campo sarebbe stato più semplice di prima, ma quando ho deciso di fare quell'esperienza l'ho fatto soprattutto per la gente. Per rispettare la parola che avevo dato, per regalare un sorriso a chi veniva allo stadio a vedermi perché per loro era importante avere la possibilità di veder giocare da vicino calciatori come me. Il piacere era quello di giocare, il piacere vero, insomma".

Perché ha smesso di allenare per 10 anni o perché ha deciso di tornare?
"Avevo bisogno di stare con la mia famiglia e più vicino a mia figlia".

Come sta Emily?
"Molto bene. Siamo molto contenti dei progressi che ha fatto. Sappiamo che non sarà mai come gli altri, ma siamo contenti di quello che abbiamo oggi".

Era ancora a Milano quando le diedero la notizia che la sua primogenita sarebbe nata con lesioni al cervello.
"La cosa più dura è stata quella di non sapere cosa fare: quando hai la bambina a casa e sai che c'è qualcosa che non va, ma non puoi fare nulla per migliorare la situazione...".

La soluzione la trovarono negli Stati Uniti.
"Le cure erano costosissime, ma era nostra figlia. Per la medicina, Emily era un punto interrogativo".

Da allora, assieme a sua moglie Florence si è dedicato ad aiutare le famiglie con il vostro stesso problema attraverso l'associazione 'Neuf de coeur': nove di cuore.
"Il nostro obiettivo continua a essere quello di portare i metodi americani in Francia. È difficile, ma sin dall'inizio siamo sempre stati consapevoli che non ci saremmo più fermati".

Ha detto che "il calcio ha la memoria corta e se esci dal sistema è difficile tornare". A cosa si riferiva?
"A quello che succede ogni giorno. Sono tanti i casi di allenatori che si sono allontanati tre o quattro anni e, poi, hanno avuto difficoltà a trovare qualcosa. È senza dubbio importante restare nel giro, ma quando uno è bravo dovrebbero dargli un'altra chance".

Lei l'ha trovata in quarta divisione. Crede che il calcio sia stato ingiusto con lei?
"Non ho mai cercato alibi. La situazione di mia figlia non l'ho mai usata come scusa. È andata come doveva andare".

L'attaccante deve segnare, l'allenatore vincere e il papà fare il papà.
"C'est la vie".
 
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Lunga intervista di Papin a Repubblica. Le dichiarazioni

“L'unico rimpianto della mia carriera è quello di essere andato via dopo due anni".

Fu lei a deciderlo.
"Sì, perché non giocavo abbastanza. Capello mi disse 'la decisione è tua e la rispettiamo, ma nessuno qui vuole che tu te ne vada'. E la verità è che quando una squadra come il Milan ti dice di non andare via, non lo devi fare".

Che rapporto aveva con 'don' Fabio?
"Quando si parla di lui come un allenatore duro mi viene da ridere. Nella mia carriera non ho mai avuto un tecnico che non ci facesse lavorare sodo. Se vuoi giocare a calcio devi farlo. E anche quando l'allenatore è amico dei calciatori cambia poco: quando si deve lavorare, si lavora e basta. È l'allenatore a cui mi ispiro maggiormente. È stato lui a farmi capire il mio vero valore. Per me il calcio è quello che mi ha fatto giocare lui. È stato Capello a migliorare il mio gioco spalle alla porta, perché quando sono arrivato a Milano guardavo solo verso la porta avversaria".

Nel 1991 vinse il Pallone d'Oro a Marsiglia. Il suo sogno, però, era anche un altro.
"Sì, quello di giocare al Milan. È stato un privilegio far parte di quella squadra incredibile che non perdeva mai e giocava sempre per fare gol. Che ricordi! In quei due anni abbiamo vinto quasi tutto: due scudetti e una Coppa dei Campioni, perdendo l'altra in finale contro l'Olympique".

Il suo Olympique.
"Ero in campo, qualche anno prima al Velodrome, quando Galliani e Sacchi decisero di abbandonare il terreno di gioco. Un vero e proprio peccato".

Che le dicevano van Basten e compagni del loro ex allenatore?
"Che non avevano mai lavorato tanto sia dal punto di vista fisico che tattico, ma che era stato lui a permettergli di vincere la Coppa dei Campioni, il sogno di ogni calciatore".

Da Bernard Tapie a Silvio Berlusconi.
"Ho ottimi ricordi di entrambi perché sono persone incredibili, con una grande capacità di prendere decisioni importanti. Si tratta di figure fondamentali per una squadra che pretende di essere vincente. Erano presidenti veri".

Con chi è rimasto maggiormente in contatto?
"Con tutti, sebbene con Marco Simone mi senta più spesso che con gli altri. Oltre a giocare nella stessa squadra eravamo amici. E questo è fondamentale perché per un amico corri di più".

Segue ancora le partite del Milan?
"Assolutamente sì. Quest'anno la cavalcata della squadra di Pioli è stata difficile, ma stupenda. Hanno lottato fino alla fine e ce l'hanno fatta anche se non erano i favoriti. Tutto merito del loro carattere perché in Italia, più che in altri posti, il carattere è importante".

Il suo Milan, invece, era sempre favorito, la miglior squadra al mondo. Come ha vissuto gli anni della decadenza?
"Male, come tutti i tifosi, del resto. Ma sono cicli che prima o poi arrivano a tutte le squadre, anche alle più grandi perché quando una stagione va male e la successiva pure è sempre difficile tornare ai più alti livelli. Mi è dispiaciuto, ma ero sicuro che un giorno il Milan sarebbe tornato grande. Sotto questo aspetto, il passaggio di proprietà non ha aiutato di certo i calciatori. Transizioni di questo tipo sono sempre difficili da assimilare".

Lei avrebbe rinnovato il contratto a Ibrahimovic?
"Ibra è un uomo importante sia per la squadra che per lo spogliatoio perché ha un'esperienza incredibile e quello che dice lui è sempre importante".

E ai suoi tempi chi era quello che diceva le cose importanti?
"Eravamo tutti importanti, ma Franco Baresi era l'uomo che diceva le cose quando c'era bisogno che qualcuno le dicesse".

Maldini sta dimostrando di essere bravo anche come dirigente.
"Paolo è lo spirito di questa squadra. Ha passato tutta la sua carriera al Milan e, per questo, merita rispetto. È molto raro che succeda, ma lui è un uomo incredibile, un amico. Io sono stato sempre dalla sua parte, anche quando dicevano che aveva commesso qualche errore perché tutti possono sbagliare".

La colonia francese è stata uno dei pilastri del Milan campione d'Italia.
"Sono fiero di loro e di quello che hanno fatto. Olivier (Giroud, ndr) lo conosco bene. Ci siamo sentiti tante volte durante la stagione. È uno di quei calciatori che sa essere decisivo nelle partite importanti e la scorsa stagione ha segnato gol importantissimi contro le grandi. Ha deciso tante partite e quello che mi ha fatto più piacere è stato constatare che, in questi big match, l'uomo di riferimento della squadra fosse proprio lui".

Si aspettava un Maignan a questi livelli già al primo anno?
"In Francia sapevamo già che era un grande portiere e quando ha firmato con il Milan ero sicuro che avrebbe fatto bene. Detto questo, mi ha impressionato perché davvero non pensavo che il suo impatto potesse essere così immediato".

E, poi, c'è Theo, uno dei capitani.
"Quando è arrivato al Milan non era ancora un calciatore importante. È il classico esempio di giocatore che si è conquistato il rispetto di tutti sul terreno di gioco".

Fino a dove può arrivare Leao?
"Mi piace davvero tanto. È molto veloce e anche sotto porta è bravissimo. Anche lui, come Giroud, ha fatto gol importanti. Ora, però, viene il momento più difficile: quello della conferma. A questi livelli non basta fare bene un anno, devi riuscire a rimanere in alto anche la stagione successiva e quella dopo e quella dopo...".

Oggi i calciatori a fine carriera vanno a fare soldi in Arabia. Lei scelse La Réunion.
"L'ho fatto solo per il piacere di giocare in un Paese nuovo. Solo per divertirmi".

Le sembra poco?
"Quando sei a fine carriera non vai di certo a La Réunion a fare soldi, ma per vivere e giocare in un posto bellissimo. Andavo anche spesso a pescare. È stato molto bello".

Cos'ha imparato?
"Sapevo che in campo sarebbe stato più semplice di prima, ma quando ho deciso di fare quell'esperienza l'ho fatto soprattutto per la gente. Per rispettare la parola che avevo dato, per regalare un sorriso a chi veniva allo stadio a vedermi perché per loro era importante avere la possibilità di veder giocare da vicino calciatori come me. Il piacere era quello di giocare, il piacere vero, insomma".

Perché ha smesso di allenare per 10 anni o perché ha deciso di tornare?
"Avevo bisogno di stare con la mia famiglia e più vicino a mia figlia".

Come sta Emily?
"Molto bene. Siamo molto contenti dei progressi che ha fatto. Sappiamo che non sarà mai come gli altri, ma siamo contenti di quello che abbiamo oggi".

Era ancora a Milano quando le diedero la notizia che la sua primogenita sarebbe nata con lesioni al cervello.
"La cosa più dura è stata quella di non sapere cosa fare: quando hai la bambina a casa e sai che c'è qualcosa che non va, ma non puoi fare nulla per migliorare la situazione...".

La soluzione la trovarono negli Stati Uniti.
"Le cure erano costosissime, ma era nostra figlia. Per la medicina, Emily era un punto interrogativo".

Da allora, assieme a sua moglie Florence si è dedicato ad aiutare le famiglie con il vostro stesso problema attraverso l'associazione 'Neuf de coeur': nove di cuore.
"Il nostro obiettivo continua a essere quello di portare i metodi americani in Francia. È difficile, ma sin dall'inizio siamo sempre stati consapevoli che non ci saremmo più fermati".

Ha detto che "il calcio ha la memoria corta e se esci dal sistema è difficile tornare". A cosa si riferiva?
"A quello che succede ogni giorno. Sono tanti i casi di allenatori che si sono allontanati tre o quattro anni e, poi, hanno avuto difficoltà a trovare qualcosa. È senza dubbio importante restare nel giro, ma quando uno è bravo dovrebbero dargli un'altra chance".

Lei l'ha trovata in quarta divisione. Crede che il calcio sia stato ingiusto con lei?
"Non ho mai cercato alibi. La situazione di mia figlia non l'ho mai usata come scusa. È andata come doveva andare".

L'attaccante deve segnare, l'allenatore vincere e il papà fare il papà.
"C'est la vie".
Il grande JPP e quel"lascia" riferito a Gullit (in un Porto Milan di Champions nel lontano 93 ) prima di eseguire una volée purissima , una "papinade" all'incrocio dei pali.
Jean Pierre uomo umile, uomo di cuore .
Ha sempre parlato benissimo del Milan nei media francesi e ha sempre avuto il rammarico di aver lasciato il club rossonero.
 
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TheKombo

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Lunga intervista di Papin a Repubblica. Le dichiarazioni

“L'unico rimpianto della mia carriera è quello di essere andato via dopo due anni".

Fu lei a deciderlo.
"Sì, perché non giocavo abbastanza. Capello mi disse 'la decisione è tua e la rispettiamo, ma nessuno qui vuole che tu te ne vada'. E la verità è che quando una squadra come il Milan ti dice di non andare via, non lo devi fare".

Che rapporto aveva con 'don' Fabio?
"Quando si parla di lui come un allenatore duro mi viene da ridere. Nella mia carriera non ho mai avuto un tecnico che non ci facesse lavorare sodo. Se vuoi giocare a calcio devi farlo. E anche quando l'allenatore è amico dei calciatori cambia poco: quando si deve lavorare, si lavora e basta. È l'allenatore a cui mi ispiro maggiormente. È stato lui a farmi capire il mio vero valore. Per me il calcio è quello che mi ha fatto giocare lui. È stato Capello a migliorare il mio gioco spalle alla porta, perché quando sono arrivato a Milano guardavo solo verso la porta avversaria".

Nel 1991 vinse il Pallone d'Oro a Marsiglia. Il suo sogno, però, era anche un altro.
"Sì, quello di giocare al Milan. È stato un privilegio far parte di quella squadra incredibile che non perdeva mai e giocava sempre per fare gol. Che ricordi! In quei due anni abbiamo vinto quasi tutto: due scudetti e una Coppa dei Campioni, perdendo l'altra in finale contro l'Olympique".

Il suo Olympique.
"Ero in campo, qualche anno prima al Velodrome, quando Galliani e Sacchi decisero di abbandonare il terreno di gioco. Un vero e proprio peccato".

Che le dicevano van Basten e compagni del loro ex allenatore?
"Che non avevano mai lavorato tanto sia dal punto di vista fisico che tattico, ma che era stato lui a permettergli di vincere la Coppa dei Campioni, il sogno di ogni calciatore".

Da Bernard Tapie a Silvio Berlusconi.
"Ho ottimi ricordi di entrambi perché sono persone incredibili, con una grande capacità di prendere decisioni importanti. Si tratta di figure fondamentali per una squadra che pretende di essere vincente. Erano presidenti veri".

Con chi è rimasto maggiormente in contatto?
"Con tutti, sebbene con Marco Simone mi senta più spesso che con gli altri. Oltre a giocare nella stessa squadra eravamo amici. E questo è fondamentale perché per un amico corri di più".

Segue ancora le partite del Milan?
"Assolutamente sì. Quest'anno la cavalcata della squadra di Pioli è stata difficile, ma stupenda. Hanno lottato fino alla fine e ce l'hanno fatta anche se non erano i favoriti. Tutto merito del loro carattere perché in Italia, più che in altri posti, il carattere è importante".

Il suo Milan, invece, era sempre favorito, la miglior squadra al mondo. Come ha vissuto gli anni della decadenza?
"Male, come tutti i tifosi, del resto. Ma sono cicli che prima o poi arrivano a tutte le squadre, anche alle più grandi perché quando una stagione va male e la successiva pure è sempre difficile tornare ai più alti livelli. Mi è dispiaciuto, ma ero sicuro che un giorno il Milan sarebbe tornato grande. Sotto questo aspetto, il passaggio di proprietà non ha aiutato di certo i calciatori. Transizioni di questo tipo sono sempre difficili da assimilare".

Lei avrebbe rinnovato il contratto a Ibrahimovic?
"Ibra è un uomo importante sia per la squadra che per lo spogliatoio perché ha un'esperienza incredibile e quello che dice lui è sempre importante".

E ai suoi tempi chi era quello che diceva le cose importanti?
"Eravamo tutti importanti, ma Franco Baresi era l'uomo che diceva le cose quando c'era bisogno che qualcuno le dicesse".

Maldini sta dimostrando di essere bravo anche come dirigente.
"Paolo è lo spirito di questa squadra. Ha passato tutta la sua carriera al Milan e, per questo, merita rispetto. È molto raro che succeda, ma lui è un uomo incredibile, un amico. Io sono stato sempre dalla sua parte, anche quando dicevano che aveva commesso qualche errore perché tutti possono sbagliare".

La colonia francese è stata uno dei pilastri del Milan campione d'Italia.
"Sono fiero di loro e di quello che hanno fatto. Olivier (Giroud, ndr) lo conosco bene. Ci siamo sentiti tante volte durante la stagione. È uno di quei calciatori che sa essere decisivo nelle partite importanti e la scorsa stagione ha segnato gol importantissimi contro le grandi. Ha deciso tante partite e quello che mi ha fatto più piacere è stato constatare che, in questi big match, l'uomo di riferimento della squadra fosse proprio lui".

Si aspettava un Maignan a questi livelli già al primo anno?
"In Francia sapevamo già che era un grande portiere e quando ha firmato con il Milan ero sicuro che avrebbe fatto bene. Detto questo, mi ha impressionato perché davvero non pensavo che il suo impatto potesse essere così immediato".

E, poi, c'è Theo, uno dei capitani.
"Quando è arrivato al Milan non era ancora un calciatore importante. È il classico esempio di giocatore che si è conquistato il rispetto di tutti sul terreno di gioco".

Fino a dove può arrivare Leao?
"Mi piace davvero tanto. È molto veloce e anche sotto porta è bravissimo. Anche lui, come Giroud, ha fatto gol importanti. Ora, però, viene il momento più difficile: quello della conferma. A questi livelli non basta fare bene un anno, devi riuscire a rimanere in alto anche la stagione successiva e quella dopo e quella dopo...".

Oggi i calciatori a fine carriera vanno a fare soldi in Arabia. Lei scelse La Réunion.
"L'ho fatto solo per il piacere di giocare in un Paese nuovo. Solo per divertirmi".

Le sembra poco?
"Quando sei a fine carriera non vai di certo a La Réunion a fare soldi, ma per vivere e giocare in un posto bellissimo. Andavo anche spesso a pescare. È stato molto bello".

Cos'ha imparato?
"Sapevo che in campo sarebbe stato più semplice di prima, ma quando ho deciso di fare quell'esperienza l'ho fatto soprattutto per la gente. Per rispettare la parola che avevo dato, per regalare un sorriso a chi veniva allo stadio a vedermi perché per loro era importante avere la possibilità di veder giocare da vicino calciatori come me. Il piacere era quello di giocare, il piacere vero, insomma".

Perché ha smesso di allenare per 10 anni o perché ha deciso di tornare?
"Avevo bisogno di stare con la mia famiglia e più vicino a mia figlia".

Come sta Emily?
"Molto bene. Siamo molto contenti dei progressi che ha fatto. Sappiamo che non sarà mai come gli altri, ma siamo contenti di quello che abbiamo oggi".

Era ancora a Milano quando le diedero la notizia che la sua primogenita sarebbe nata con lesioni al cervello.
"La cosa più dura è stata quella di non sapere cosa fare: quando hai la bambina a casa e sai che c'è qualcosa che non va, ma non puoi fare nulla per migliorare la situazione...".

La soluzione la trovarono negli Stati Uniti.
"Le cure erano costosissime, ma era nostra figlia. Per la medicina, Emily era un punto interrogativo".

Da allora, assieme a sua moglie Florence si è dedicato ad aiutare le famiglie con il vostro stesso problema attraverso l'associazione 'Neuf de coeur': nove di cuore.
"Il nostro obiettivo continua a essere quello di portare i metodi americani in Francia. È difficile, ma sin dall'inizio siamo sempre stati consapevoli che non ci saremmo più fermati".

Ha detto che "il calcio ha la memoria corta e se esci dal sistema è difficile tornare". A cosa si riferiva?
"A quello che succede ogni giorno. Sono tanti i casi di allenatori che si sono allontanati tre o quattro anni e, poi, hanno avuto difficoltà a trovare qualcosa. È senza dubbio importante restare nel giro, ma quando uno è bravo dovrebbero dargli un'altra chance".

Lei l'ha trovata in quarta divisione. Crede che il calcio sia stato ingiusto con lei?
"Non ho mai cercato alibi. La situazione di mia figlia non l'ho mai usata come scusa. È andata come doveva andare".

L'attaccante deve segnare, l'allenatore vincere e il papà fare il papà.
"C'est la vie".
Avevo letto in passato della figlia....grandissimo JPP
 

Blu71

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Lunga intervista di Papin a Repubblica. Le dichiarazioni

“L'unico rimpianto della mia carriera è quello di essere andato via dopo due anni".

Fu lei a deciderlo.
"Sì, perché non giocavo abbastanza. Capello mi disse 'la decisione è tua e la rispettiamo, ma nessuno qui vuole che tu te ne vada'. E la verità è che quando una squadra come il Milan ti dice di non andare via, non lo devi fare".

Tanti dovrebbero farne tesoro.
 

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Lunga intervista di Papin a Repubblica. Le dichiarazioni

“L'unico rimpianto della mia carriera è quello di essere andato via dopo due anni".

Fu lei a deciderlo.
"Sì, perché non giocavo abbastanza. Capello mi disse 'la decisione è tua e la rispettiamo, ma nessuno qui vuole che tu te ne vada'. E la verità è che quando una squadra come il Milan ti dice di non andare via, non lo devi fare".

Che rapporto aveva con 'don' Fabio?
"Quando si parla di lui come un allenatore duro mi viene da ridere. Nella mia carriera non ho mai avuto un tecnico che non ci facesse lavorare sodo. Se vuoi giocare a calcio devi farlo. E anche quando l'allenatore è amico dei calciatori cambia poco: quando si deve lavorare, si lavora e basta. È l'allenatore a cui mi ispiro maggiormente. È stato lui a farmi capire il mio vero valore. Per me il calcio è quello che mi ha fatto giocare lui. È stato Capello a migliorare il mio gioco spalle alla porta, perché quando sono arrivato a Milano guardavo solo verso la porta avversaria".

Nel 1991 vinse il Pallone d'Oro a Marsiglia. Il suo sogno, però, era anche un altro.
"Sì, quello di giocare al Milan. È stato un privilegio far parte di quella squadra incredibile che non perdeva mai e giocava sempre per fare gol. Che ricordi! In quei due anni abbiamo vinto quasi tutto: due scudetti e una Coppa dei Campioni, perdendo l'altra in finale contro l'Olympique".

Il suo Olympique.
"Ero in campo, qualche anno prima al Velodrome, quando Galliani e Sacchi decisero di abbandonare il terreno di gioco. Un vero e proprio peccato".

Che le dicevano van Basten e compagni del loro ex allenatore?
"Che non avevano mai lavorato tanto sia dal punto di vista fisico che tattico, ma che era stato lui a permettergli di vincere la Coppa dei Campioni, il sogno di ogni calciatore".

Da Bernard Tapie a Silvio Berlusconi.
"Ho ottimi ricordi di entrambi perché sono persone incredibili, con una grande capacità di prendere decisioni importanti. Si tratta di figure fondamentali per una squadra che pretende di essere vincente. Erano presidenti veri".

Con chi è rimasto maggiormente in contatto?
"Con tutti, sebbene con Marco Simone mi senta più spesso che con gli altri. Oltre a giocare nella stessa squadra eravamo amici. E questo è fondamentale perché per un amico corri di più".

Segue ancora le partite del Milan?
"Assolutamente sì. Quest'anno la cavalcata della squadra di Pioli è stata difficile, ma stupenda. Hanno lottato fino alla fine e ce l'hanno fatta anche se non erano i favoriti. Tutto merito del loro carattere perché in Italia, più che in altri posti, il carattere è importante".

Il suo Milan, invece, era sempre favorito, la miglior squadra al mondo. Come ha vissuto gli anni della decadenza?
"Male, come tutti i tifosi, del resto. Ma sono cicli che prima o poi arrivano a tutte le squadre, anche alle più grandi perché quando una stagione va male e la successiva pure è sempre difficile tornare ai più alti livelli. Mi è dispiaciuto, ma ero sicuro che un giorno il Milan sarebbe tornato grande. Sotto questo aspetto, il passaggio di proprietà non ha aiutato di certo i calciatori. Transizioni di questo tipo sono sempre difficili da assimilare".

Lei avrebbe rinnovato il contratto a Ibrahimovic?
"Ibra è un uomo importante sia per la squadra che per lo spogliatoio perché ha un'esperienza incredibile e quello che dice lui è sempre importante".

E ai suoi tempi chi era quello che diceva le cose importanti?
"Eravamo tutti importanti, ma Franco Baresi era l'uomo che diceva le cose quando c'era bisogno che qualcuno le dicesse".

Maldini sta dimostrando di essere bravo anche come dirigente.
"Paolo è lo spirito di questa squadra. Ha passato tutta la sua carriera al Milan e, per questo, merita rispetto. È molto raro che succeda, ma lui è un uomo incredibile, un amico. Io sono stato sempre dalla sua parte, anche quando dicevano che aveva commesso qualche errore perché tutti possono sbagliare".

La colonia francese è stata uno dei pilastri del Milan campione d'Italia.
"Sono fiero di loro e di quello che hanno fatto. Olivier (Giroud, ndr) lo conosco bene. Ci siamo sentiti tante volte durante la stagione. È uno di quei calciatori che sa essere decisivo nelle partite importanti e la scorsa stagione ha segnato gol importantissimi contro le grandi. Ha deciso tante partite e quello che mi ha fatto più piacere è stato constatare che, in questi big match, l'uomo di riferimento della squadra fosse proprio lui".

Si aspettava un Maignan a questi livelli già al primo anno?
"In Francia sapevamo già che era un grande portiere e quando ha firmato con il Milan ero sicuro che avrebbe fatto bene. Detto questo, mi ha impressionato perché davvero non pensavo che il suo impatto potesse essere così immediato".

E, poi, c'è Theo, uno dei capitani.
"Quando è arrivato al Milan non era ancora un calciatore importante. È il classico esempio di giocatore che si è conquistato il rispetto di tutti sul terreno di gioco".

Fino a dove può arrivare Leao?
"Mi piace davvero tanto. È molto veloce e anche sotto porta è bravissimo. Anche lui, come Giroud, ha fatto gol importanti. Ora, però, viene il momento più difficile: quello della conferma. A questi livelli non basta fare bene un anno, devi riuscire a rimanere in alto anche la stagione successiva e quella dopo e quella dopo...".

Oggi i calciatori a fine carriera vanno a fare soldi in Arabia. Lei scelse La Réunion.
"L'ho fatto solo per il piacere di giocare in un Paese nuovo. Solo per divertirmi".

Le sembra poco?
"Quando sei a fine carriera non vai di certo a La Réunion a fare soldi, ma per vivere e giocare in un posto bellissimo. Andavo anche spesso a pescare. È stato molto bello".

Cos'ha imparato?
"Sapevo che in campo sarebbe stato più semplice di prima, ma quando ho deciso di fare quell'esperienza l'ho fatto soprattutto per la gente. Per rispettare la parola che avevo dato, per regalare un sorriso a chi veniva allo stadio a vedermi perché per loro era importante avere la possibilità di veder giocare da vicino calciatori come me. Il piacere era quello di giocare, il piacere vero, insomma".

Perché ha smesso di allenare per 10 anni o perché ha deciso di tornare?
"Avevo bisogno di stare con la mia famiglia e più vicino a mia figlia".

Come sta Emily?
"Molto bene. Siamo molto contenti dei progressi che ha fatto. Sappiamo che non sarà mai come gli altri, ma siamo contenti di quello che abbiamo oggi".

Era ancora a Milano quando le diedero la notizia che la sua primogenita sarebbe nata con lesioni al cervello.
"La cosa più dura è stata quella di non sapere cosa fare: quando hai la bambina a casa e sai che c'è qualcosa che non va, ma non puoi fare nulla per migliorare la situazione...".

La soluzione la trovarono negli Stati Uniti.
"Le cure erano costosissime, ma era nostra figlia. Per la medicina, Emily era un punto interrogativo".

Da allora, assieme a sua moglie Florence si è dedicato ad aiutare le famiglie con il vostro stesso problema attraverso l'associazione 'Neuf de coeur': nove di cuore.
"Il nostro obiettivo continua a essere quello di portare i metodi americani in Francia. È difficile, ma sin dall'inizio siamo sempre stati consapevoli che non ci saremmo più fermati".

Ha detto che "il calcio ha la memoria corta e se esci dal sistema è difficile tornare". A cosa si riferiva?
"A quello che succede ogni giorno. Sono tanti i casi di allenatori che si sono allontanati tre o quattro anni e, poi, hanno avuto difficoltà a trovare qualcosa. È senza dubbio importante restare nel giro, ma quando uno è bravo dovrebbero dargli un'altra chance".

Lei l'ha trovata in quarta divisione. Crede che il calcio sia stato ingiusto con lei?
"Non ho mai cercato alibi. La situazione di mia figlia non l'ho mai usata come scusa. È andata come doveva andare".

L'attaccante deve segnare, l'allenatore vincere e il papà fare il papà.
"C'est la vie".
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Lunga intervista di Papin a Repubblica. Le dichiarazioni

“L'unico rimpianto della mia carriera è quello di essere andato via dopo due anni".

Fu lei a deciderlo.
"Sì, perché non giocavo abbastanza. Capello mi disse 'la decisione è tua e la rispettiamo, ma nessuno qui vuole che tu te ne vada'. E la verità è che quando una squadra come il Milan ti dice di non andare via, non lo devi fare".

Che rapporto aveva con 'don' Fabio?
"Quando si parla di lui come un allenatore duro mi viene da ridere. Nella mia carriera non ho mai avuto un tecnico che non ci facesse lavorare sodo. Se vuoi giocare a calcio devi farlo. E anche quando l'allenatore è amico dei calciatori cambia poco: quando si deve lavorare, si lavora e basta. È l'allenatore a cui mi ispiro maggiormente. È stato lui a farmi capire il mio vero valore. Per me il calcio è quello che mi ha fatto giocare lui. È stato Capello a migliorare il mio gioco spalle alla porta, perché quando sono arrivato a Milano guardavo solo verso la porta avversaria".

Nel 1991 vinse il Pallone d'Oro a Marsiglia. Il suo sogno, però, era anche un altro.
"Sì, quello di giocare al Milan. È stato un privilegio far parte di quella squadra incredibile che non perdeva mai e giocava sempre per fare gol. Che ricordi! In quei due anni abbiamo vinto quasi tutto: due scudetti e una Coppa dei Campioni, perdendo l'altra in finale contro l'Olympique".

Il suo Olympique.
"Ero in campo, qualche anno prima al Velodrome, quando Galliani e Sacchi decisero di abbandonare il terreno di gioco. Un vero e proprio peccato".

Che le dicevano van Basten e compagni del loro ex allenatore?
"Che non avevano mai lavorato tanto sia dal punto di vista fisico che tattico, ma che era stato lui a permettergli di vincere la Coppa dei Campioni, il sogno di ogni calciatore".

Da Bernard Tapie a Silvio Berlusconi.
"Ho ottimi ricordi di entrambi perché sono persone incredibili, con una grande capacità di prendere decisioni importanti. Si tratta di figure fondamentali per una squadra che pretende di essere vincente. Erano presidenti veri".

Con chi è rimasto maggiormente in contatto?
"Con tutti, sebbene con Marco Simone mi senta più spesso che con gli altri. Oltre a giocare nella stessa squadra eravamo amici. E questo è fondamentale perché per un amico corri di più".

Segue ancora le partite del Milan?
"Assolutamente sì. Quest'anno la cavalcata della squadra di Pioli è stata difficile, ma stupenda. Hanno lottato fino alla fine e ce l'hanno fatta anche se non erano i favoriti. Tutto merito del loro carattere perché in Italia, più che in altri posti, il carattere è importante".

Il suo Milan, invece, era sempre favorito, la miglior squadra al mondo. Come ha vissuto gli anni della decadenza?
"Male, come tutti i tifosi, del resto. Ma sono cicli che prima o poi arrivano a tutte le squadre, anche alle più grandi perché quando una stagione va male e la successiva pure è sempre difficile tornare ai più alti livelli. Mi è dispiaciuto, ma ero sicuro che un giorno il Milan sarebbe tornato grande. Sotto questo aspetto, il passaggio di proprietà non ha aiutato di certo i calciatori. Transizioni di questo tipo sono sempre difficili da assimilare".

Lei avrebbe rinnovato il contratto a Ibrahimovic?
"Ibra è un uomo importante sia per la squadra che per lo spogliatoio perché ha un'esperienza incredibile e quello che dice lui è sempre importante".

E ai suoi tempi chi era quello che diceva le cose importanti?
"Eravamo tutti importanti, ma Franco Baresi era l'uomo che diceva le cose quando c'era bisogno che qualcuno le dicesse".

Maldini sta dimostrando di essere bravo anche come dirigente.
"Paolo è lo spirito di questa squadra. Ha passato tutta la sua carriera al Milan e, per questo, merita rispetto. È molto raro che succeda, ma lui è un uomo incredibile, un amico. Io sono stato sempre dalla sua parte, anche quando dicevano che aveva commesso qualche errore perché tutti possono sbagliare".

La colonia francese è stata uno dei pilastri del Milan campione d'Italia.
"Sono fiero di loro e di quello che hanno fatto. Olivier (Giroud, ndr) lo conosco bene. Ci siamo sentiti tante volte durante la stagione. È uno di quei calciatori che sa essere decisivo nelle partite importanti e la scorsa stagione ha segnato gol importantissimi contro le grandi. Ha deciso tante partite e quello che mi ha fatto più piacere è stato constatare che, in questi big match, l'uomo di riferimento della squadra fosse proprio lui".

Si aspettava un Maignan a questi livelli già al primo anno?
"In Francia sapevamo già che era un grande portiere e quando ha firmato con il Milan ero sicuro che avrebbe fatto bene. Detto questo, mi ha impressionato perché davvero non pensavo che il suo impatto potesse essere così immediato".

E, poi, c'è Theo, uno dei capitani.
"Quando è arrivato al Milan non era ancora un calciatore importante. È il classico esempio di giocatore che si è conquistato il rispetto di tutti sul terreno di gioco".

Fino a dove può arrivare Leao?
"Mi piace davvero tanto. È molto veloce e anche sotto porta è bravissimo. Anche lui, come Giroud, ha fatto gol importanti. Ora, però, viene il momento più difficile: quello della conferma. A questi livelli non basta fare bene un anno, devi riuscire a rimanere in alto anche la stagione successiva e quella dopo e quella dopo...".

Oggi i calciatori a fine carriera vanno a fare soldi in Arabia. Lei scelse La Réunion.
"L'ho fatto solo per il piacere di giocare in un Paese nuovo. Solo per divertirmi".

Le sembra poco?
"Quando sei a fine carriera non vai di certo a La Réunion a fare soldi, ma per vivere e giocare in un posto bellissimo. Andavo anche spesso a pescare. È stato molto bello".

Cos'ha imparato?
"Sapevo che in campo sarebbe stato più semplice di prima, ma quando ho deciso di fare quell'esperienza l'ho fatto soprattutto per la gente. Per rispettare la parola che avevo dato, per regalare un sorriso a chi veniva allo stadio a vedermi perché per loro era importante avere la possibilità di veder giocare da vicino calciatori come me. Il piacere era quello di giocare, il piacere vero, insomma".

Perché ha smesso di allenare per 10 anni o perché ha deciso di tornare?
"Avevo bisogno di stare con la mia famiglia e più vicino a mia figlia".

Come sta Emily?
"Molto bene. Siamo molto contenti dei progressi che ha fatto. Sappiamo che non sarà mai come gli altri, ma siamo contenti di quello che abbiamo oggi".

Era ancora a Milano quando le diedero la notizia che la sua primogenita sarebbe nata con lesioni al cervello.
"La cosa più dura è stata quella di non sapere cosa fare: quando hai la bambina a casa e sai che c'è qualcosa che non va, ma non puoi fare nulla per migliorare la situazione...".

La soluzione la trovarono negli Stati Uniti.
"Le cure erano costosissime, ma era nostra figlia. Per la medicina, Emily era un punto interrogativo".

Da allora, assieme a sua moglie Florence si è dedicato ad aiutare le famiglie con il vostro stesso problema attraverso l'associazione 'Neuf de coeur': nove di cuore.
"Il nostro obiettivo continua a essere quello di portare i metodi americani in Francia. È difficile, ma sin dall'inizio siamo sempre stati consapevoli che non ci saremmo più fermati".

Ha detto che "il calcio ha la memoria corta e se esci dal sistema è difficile tornare". A cosa si riferiva?
"A quello che succede ogni giorno. Sono tanti i casi di allenatori che si sono allontanati tre o quattro anni e, poi, hanno avuto difficoltà a trovare qualcosa. È senza dubbio importante restare nel giro, ma quando uno è bravo dovrebbero dargli un'altra chance".

Lei l'ha trovata in quarta divisione. Crede che il calcio sia stato ingiusto con lei?
"Non ho mai cercato alibi. La situazione di mia figlia non l'ho mai usata come scusa. È andata come doveva andare".

L'attaccante deve segnare, l'allenatore vincere e il papà fare il papà.
"C'est la vie".
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“L'unico rimpianto della mia carriera è quello di essere andato via dopo due anni".

Fu lei a deciderlo.
"Sì, perché non giocavo abbastanza. Capello mi disse 'la decisione è tua e la rispettiamo, ma nessuno qui vuole che tu te ne vada'. E la verità è che quando una squadra come il Milan ti dice di non andare via, non lo devi fare".

Che rapporto aveva con 'don' Fabio?
"Quando si parla di lui come un allenatore duro mi viene da ridere. Nella mia carriera non ho mai avuto un tecnico che non ci facesse lavorare sodo. Se vuoi giocare a calcio devi farlo. E anche quando l'allenatore è amico dei calciatori cambia poco: quando si deve lavorare, si lavora e basta. È l'allenatore a cui mi ispiro maggiormente. È stato lui a farmi capire il mio vero valore. Per me il calcio è quello che mi ha fatto giocare lui. È stato Capello a migliorare il mio gioco spalle alla porta, perché quando sono arrivato a Milano guardavo solo verso la porta avversaria".

Nel 1991 vinse il Pallone d'Oro a Marsiglia. Il suo sogno, però, era anche un altro.
"Sì, quello di giocare al Milan. È stato un privilegio far parte di quella squadra incredibile che non perdeva mai e giocava sempre per fare gol. Che ricordi! In quei due anni abbiamo vinto quasi tutto: due scudetti e una Coppa dei Campioni, perdendo l'altra in finale contro l'Olympique".

Il suo Olympique.
"Ero in campo, qualche anno prima al Velodrome, quando Galliani e Sacchi decisero di abbandonare il terreno di gioco. Un vero e proprio peccato".

Che le dicevano van Basten e compagni del loro ex allenatore?
"Che non avevano mai lavorato tanto sia dal punto di vista fisico che tattico, ma che era stato lui a permettergli di vincere la Coppa dei Campioni, il sogno di ogni calciatore".

Da Bernard Tapie a Silvio Berlusconi.
"Ho ottimi ricordi di entrambi perché sono persone incredibili, con una grande capacità di prendere decisioni importanti. Si tratta di figure fondamentali per una squadra che pretende di essere vincente. Erano presidenti veri".

Con chi è rimasto maggiormente in contatto?
"Con tutti, sebbene con Marco Simone mi senta più spesso che con gli altri. Oltre a giocare nella stessa squadra eravamo amici. E questo è fondamentale perché per un amico corri di più".

Segue ancora le partite del Milan?
"Assolutamente sì. Quest'anno la cavalcata della squadra di Pioli è stata difficile, ma stupenda. Hanno lottato fino alla fine e ce l'hanno fatta anche se non erano i favoriti. Tutto merito del loro carattere perché in Italia, più che in altri posti, il carattere è importante".

Il suo Milan, invece, era sempre favorito, la miglior squadra al mondo. Come ha vissuto gli anni della decadenza?
"Male, come tutti i tifosi, del resto. Ma sono cicli che prima o poi arrivano a tutte le squadre, anche alle più grandi perché quando una stagione va male e la successiva pure è sempre difficile tornare ai più alti livelli. Mi è dispiaciuto, ma ero sicuro che un giorno il Milan sarebbe tornato grande. Sotto questo aspetto, il passaggio di proprietà non ha aiutato di certo i calciatori. Transizioni di questo tipo sono sempre difficili da assimilare".

Lei avrebbe rinnovato il contratto a Ibrahimovic?
"Ibra è un uomo importante sia per la squadra che per lo spogliatoio perché ha un'esperienza incredibile e quello che dice lui è sempre importante".

E ai suoi tempi chi era quello che diceva le cose importanti?
"Eravamo tutti importanti, ma Franco Baresi era l'uomo che diceva le cose quando c'era bisogno che qualcuno le dicesse".

Maldini sta dimostrando di essere bravo anche come dirigente.
"Paolo è lo spirito di questa squadra. Ha passato tutta la sua carriera al Milan e, per questo, merita rispetto. È molto raro che succeda, ma lui è un uomo incredibile, un amico. Io sono stato sempre dalla sua parte, anche quando dicevano che aveva commesso qualche errore perché tutti possono sbagliare".

La colonia francese è stata uno dei pilastri del Milan campione d'Italia.
"Sono fiero di loro e di quello che hanno fatto. Olivier (Giroud, ndr) lo conosco bene. Ci siamo sentiti tante volte durante la stagione. È uno di quei calciatori che sa essere decisivo nelle partite importanti e la scorsa stagione ha segnato gol importantissimi contro le grandi. Ha deciso tante partite e quello che mi ha fatto più piacere è stato constatare che, in questi big match, l'uomo di riferimento della squadra fosse proprio lui".

Si aspettava un Maignan a questi livelli già al primo anno?
"In Francia sapevamo già che era un grande portiere e quando ha firmato con il Milan ero sicuro che avrebbe fatto bene. Detto questo, mi ha impressionato perché davvero non pensavo che il suo impatto potesse essere così immediato".

E, poi, c'è Theo, uno dei capitani.
"Quando è arrivato al Milan non era ancora un calciatore importante. È il classico esempio di giocatore che si è conquistato il rispetto di tutti sul terreno di gioco".

Fino a dove può arrivare Leao?
"Mi piace davvero tanto. È molto veloce e anche sotto porta è bravissimo. Anche lui, come Giroud, ha fatto gol importanti. Ora, però, viene il momento più difficile: quello della conferma. A questi livelli non basta fare bene un anno, devi riuscire a rimanere in alto anche la stagione successiva e quella dopo e quella dopo...".

Oggi i calciatori a fine carriera vanno a fare soldi in Arabia. Lei scelse La Réunion.
"L'ho fatto solo per il piacere di giocare in un Paese nuovo. Solo per divertirmi".

Le sembra poco?
"Quando sei a fine carriera non vai di certo a La Réunion a fare soldi, ma per vivere e giocare in un posto bellissimo. Andavo anche spesso a pescare. È stato molto bello".

Cos'ha imparato?
"Sapevo che in campo sarebbe stato più semplice di prima, ma quando ho deciso di fare quell'esperienza l'ho fatto soprattutto per la gente. Per rispettare la parola che avevo dato, per regalare un sorriso a chi veniva allo stadio a vedermi perché per loro era importante avere la possibilità di veder giocare da vicino calciatori come me. Il piacere era quello di giocare, il piacere vero, insomma".

Perché ha smesso di allenare per 10 anni o perché ha deciso di tornare?
"Avevo bisogno di stare con la mia famiglia e più vicino a mia figlia".

Come sta Emily?
"Molto bene. Siamo molto contenti dei progressi che ha fatto. Sappiamo che non sarà mai come gli altri, ma siamo contenti di quello che abbiamo oggi".

Era ancora a Milano quando le diedero la notizia che la sua primogenita sarebbe nata con lesioni al cervello.
"La cosa più dura è stata quella di non sapere cosa fare: quando hai la bambina a casa e sai che c'è qualcosa che non va, ma non puoi fare nulla per migliorare la situazione...".

La soluzione la trovarono negli Stati Uniti.
"Le cure erano costosissime, ma era nostra figlia. Per la medicina, Emily era un punto interrogativo".

Da allora, assieme a sua moglie Florence si è dedicato ad aiutare le famiglie con il vostro stesso problema attraverso l'associazione 'Neuf de coeur': nove di cuore.
"Il nostro obiettivo continua a essere quello di portare i metodi americani in Francia. È difficile, ma sin dall'inizio siamo sempre stati consapevoli che non ci saremmo più fermati".

Ha detto che "il calcio ha la memoria corta e se esci dal sistema è difficile tornare". A cosa si riferiva?
"A quello che succede ogni giorno. Sono tanti i casi di allenatori che si sono allontanati tre o quattro anni e, poi, hanno avuto difficoltà a trovare qualcosa. È senza dubbio importante restare nel giro, ma quando uno è bravo dovrebbero dargli un'altra chance".

Lei l'ha trovata in quarta divisione. Crede che il calcio sia stato ingiusto con lei?
"Non ho mai cercato alibi. La situazione di mia figlia non l'ho mai usata come scusa. È andata come doveva andare".

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“L'unico rimpianto della mia carriera è quello di essere andato via dopo due anni".

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"Sì, perché non giocavo abbastanza. Capello mi disse 'la decisione è tua e la rispettiamo, ma nessuno qui vuole che tu te ne vada'. E la verità è che quando una squadra come il Milan ti dice di non andare via, non lo devi fare".

Che rapporto aveva con 'don' Fabio?
"Quando si parla di lui come un allenatore duro mi viene da ridere. Nella mia carriera non ho mai avuto un tecnico che non ci facesse lavorare sodo. Se vuoi giocare a calcio devi farlo. E anche quando l'allenatore è amico dei calciatori cambia poco: quando si deve lavorare, si lavora e basta. È l'allenatore a cui mi ispiro maggiormente. È stato lui a farmi capire il mio vero valore. Per me il calcio è quello che mi ha fatto giocare lui. È stato Capello a migliorare il mio gioco spalle alla porta, perché quando sono arrivato a Milano guardavo solo verso la porta avversaria".

Nel 1991 vinse il Pallone d'Oro a Marsiglia. Il suo sogno, però, era anche un altro.
"Sì, quello di giocare al Milan. È stato un privilegio far parte di quella squadra incredibile che non perdeva mai e giocava sempre per fare gol. Che ricordi! In quei due anni abbiamo vinto quasi tutto: due scudetti e una Coppa dei Campioni, perdendo l'altra in finale contro l'Olympique".

Il suo Olympique.
"Ero in campo, qualche anno prima al Velodrome, quando Galliani e Sacchi decisero di abbandonare il terreno di gioco. Un vero e proprio peccato".

Che le dicevano van Basten e compagni del loro ex allenatore?
"Che non avevano mai lavorato tanto sia dal punto di vista fisico che tattico, ma che era stato lui a permettergli di vincere la Coppa dei Campioni, il sogno di ogni calciatore".

Da Bernard Tapie a Silvio Berlusconi.
"Ho ottimi ricordi di entrambi perché sono persone incredibili, con una grande capacità di prendere decisioni importanti. Si tratta di figure fondamentali per una squadra che pretende di essere vincente. Erano presidenti veri".

Con chi è rimasto maggiormente in contatto?
"Con tutti, sebbene con Marco Simone mi senta più spesso che con gli altri. Oltre a giocare nella stessa squadra eravamo amici. E questo è fondamentale perché per un amico corri di più".

Segue ancora le partite del Milan?
"Assolutamente sì. Quest'anno la cavalcata della squadra di Pioli è stata difficile, ma stupenda. Hanno lottato fino alla fine e ce l'hanno fatta anche se non erano i favoriti. Tutto merito del loro carattere perché in Italia, più che in altri posti, il carattere è importante".

Il suo Milan, invece, era sempre favorito, la miglior squadra al mondo. Come ha vissuto gli anni della decadenza?
"Male, come tutti i tifosi, del resto. Ma sono cicli che prima o poi arrivano a tutte le squadre, anche alle più grandi perché quando una stagione va male e la successiva pure è sempre difficile tornare ai più alti livelli. Mi è dispiaciuto, ma ero sicuro che un giorno il Milan sarebbe tornato grande. Sotto questo aspetto, il passaggio di proprietà non ha aiutato di certo i calciatori. Transizioni di questo tipo sono sempre difficili da assimilare".

Lei avrebbe rinnovato il contratto a Ibrahimovic?
"Ibra è un uomo importante sia per la squadra che per lo spogliatoio perché ha un'esperienza incredibile e quello che dice lui è sempre importante".

E ai suoi tempi chi era quello che diceva le cose importanti?
"Eravamo tutti importanti, ma Franco Baresi era l'uomo che diceva le cose quando c'era bisogno che qualcuno le dicesse".

Maldini sta dimostrando di essere bravo anche come dirigente.
"Paolo è lo spirito di questa squadra. Ha passato tutta la sua carriera al Milan e, per questo, merita rispetto. È molto raro che succeda, ma lui è un uomo incredibile, un amico. Io sono stato sempre dalla sua parte, anche quando dicevano che aveva commesso qualche errore perché tutti possono sbagliare".

La colonia francese è stata uno dei pilastri del Milan campione d'Italia.
"Sono fiero di loro e di quello che hanno fatto. Olivier (Giroud, ndr) lo conosco bene. Ci siamo sentiti tante volte durante la stagione. È uno di quei calciatori che sa essere decisivo nelle partite importanti e la scorsa stagione ha segnato gol importantissimi contro le grandi. Ha deciso tante partite e quello che mi ha fatto più piacere è stato constatare che, in questi big match, l'uomo di riferimento della squadra fosse proprio lui".

Si aspettava un Maignan a questi livelli già al primo anno?
"In Francia sapevamo già che era un grande portiere e quando ha firmato con il Milan ero sicuro che avrebbe fatto bene. Detto questo, mi ha impressionato perché davvero non pensavo che il suo impatto potesse essere così immediato".

E, poi, c'è Theo, uno dei capitani.
"Quando è arrivato al Milan non era ancora un calciatore importante. È il classico esempio di giocatore che si è conquistato il rispetto di tutti sul terreno di gioco".

Fino a dove può arrivare Leao?
"Mi piace davvero tanto. È molto veloce e anche sotto porta è bravissimo. Anche lui, come Giroud, ha fatto gol importanti. Ora, però, viene il momento più difficile: quello della conferma. A questi livelli non basta fare bene un anno, devi riuscire a rimanere in alto anche la stagione successiva e quella dopo e quella dopo...".

Oggi i calciatori a fine carriera vanno a fare soldi in Arabia. Lei scelse La Réunion.
"L'ho fatto solo per il piacere di giocare in un Paese nuovo. Solo per divertirmi".

Le sembra poco?
"Quando sei a fine carriera non vai di certo a La Réunion a fare soldi, ma per vivere e giocare in un posto bellissimo. Andavo anche spesso a pescare. È stato molto bello".

Cos'ha imparato?
"Sapevo che in campo sarebbe stato più semplice di prima, ma quando ho deciso di fare quell'esperienza l'ho fatto soprattutto per la gente. Per rispettare la parola che avevo dato, per regalare un sorriso a chi veniva allo stadio a vedermi perché per loro era importante avere la possibilità di veder giocare da vicino calciatori come me. Il piacere era quello di giocare, il piacere vero, insomma".

Perché ha smesso di allenare per 10 anni o perché ha deciso di tornare?
"Avevo bisogno di stare con la mia famiglia e più vicino a mia figlia".

Come sta Emily?
"Molto bene. Siamo molto contenti dei progressi che ha fatto. Sappiamo che non sarà mai come gli altri, ma siamo contenti di quello che abbiamo oggi".

Era ancora a Milano quando le diedero la notizia che la sua primogenita sarebbe nata con lesioni al cervello.
"La cosa più dura è stata quella di non sapere cosa fare: quando hai la bambina a casa e sai che c'è qualcosa che non va, ma non puoi fare nulla per migliorare la situazione...".

La soluzione la trovarono negli Stati Uniti.
"Le cure erano costosissime, ma era nostra figlia. Per la medicina, Emily era un punto interrogativo".

Da allora, assieme a sua moglie Florence si è dedicato ad aiutare le famiglie con il vostro stesso problema attraverso l'associazione 'Neuf de coeur': nove di cuore.
"Il nostro obiettivo continua a essere quello di portare i metodi americani in Francia. È difficile, ma sin dall'inizio siamo sempre stati consapevoli che non ci saremmo più fermati".

Ha detto che "il calcio ha la memoria corta e se esci dal sistema è difficile tornare". A cosa si riferiva?
"A quello che succede ogni giorno. Sono tanti i casi di allenatori che si sono allontanati tre o quattro anni e, poi, hanno avuto difficoltà a trovare qualcosa. È senza dubbio importante restare nel giro, ma quando uno è bravo dovrebbero dargli un'altra chance".

Lei l'ha trovata in quarta divisione. Crede che il calcio sia stato ingiusto con lei?
"Non ho mai cercato alibi. La situazione di mia figlia non l'ho mai usata come scusa. È andata come doveva andare".

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