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Franco Ordine sulla situazione del Milan dalle colonne del CorSport in edicola
Nel giro di un paio di giorni infernali vissuti dal Milan, i social, qui intesi come tifosi avviliti per le scelte fatte, hanno ghigliottinato un paio di allenatori e la dirigenza tecnica al completo del club. Dicono gli esperti: è il minimo che potesse capitare. Sarà. Ripulendo il web da intemerate e insulti, dobbiamo però provare a spiegare quali sono stati i peccati commessi da Maldini e Boban. Sono tutti dettati dalla rispettiva inesperienza a guidare una squadra di calcio. Lo sanno anche loro che pure han- no vissuto una carriera strepitosa dall’altra parte della strada. Per trattare questioni delicate come la scelta di un allenatore o per gestire il dossier del cambio di panchina è necessario muoversi spesso con astuzia e mestiere. Ad esempio nel caso di Spalletti, il preferito dal popolo rossonero e in particolare dall’azionista Elliott, bisognava sapere che era sotto contratto con l’Inter e che prima di sondarne la disponibilità a raccogliere l’eredità di Giampaolo, era indispensabile liberarlo da quel vin- colo per avere le mani libere e discute- re della nuova intesa. Altra riflessione da fare: in questi casi sarebbe stato opportuno un sondaggio preventivo presso la dirigenza interista per capire le intenzioni del club coinvolto indirettamente nel negoziato. Fosse stato realizzato, avrebbero scoperto un particolare molto interessante che consigliava Marotta e Ausilio a non considerare la possibilità di regalare un “incentivo all’esodo” all’ex Spalletti. Eccolo: per effetto delle regole del FFP, il costo del contratto del tecnico di Certaldo e del suo staff esonerati, valore 24 milioni al lordo delle tasse, è stato inserito come posta passiva nel bilancio chiuso il 30 giugno scorso. Pertanto, nel caso di rescissione consensuale del rapporto con Spalletti, l’Inter avrebbe guadagnato per il prossimo bilancio una plusvalenza di quasi 20 milioni (4 sono stati già versati da luglio a settembre), come se avessero ceduto un calciatore per quella cifra. Perciò sono stati intransigenti. Impallinare Pioli perché è arrivato dopo la candidatura di Spalletti, è un esercizio tipico alla Tafazzi. Sul punto varrebbe un’ultima valutazione. Se Luciano, impegnato a vendemmiare, fosse stato motivatissimo ad allenare il Milan, non si sarebbe fermato dinanzi all’opposizione dell’Inter di liquidargli la buonuscita. Avrebbe tirato dritto per dimostrare, in modo pubblico, che le due qualificazioni in Champions raggiunte ad Appiano erano da considerare altrettante medaglie sul petto. Ha ceduto invece a un sordo rancore e alla voglia di completare la vendemmia nella sua vigna.
Nel giro di un paio di giorni infernali vissuti dal Milan, i social, qui intesi come tifosi avviliti per le scelte fatte, hanno ghigliottinato un paio di allenatori e la dirigenza tecnica al completo del club. Dicono gli esperti: è il minimo che potesse capitare. Sarà. Ripulendo il web da intemerate e insulti, dobbiamo però provare a spiegare quali sono stati i peccati commessi da Maldini e Boban. Sono tutti dettati dalla rispettiva inesperienza a guidare una squadra di calcio. Lo sanno anche loro che pure han- no vissuto una carriera strepitosa dall’altra parte della strada. Per trattare questioni delicate come la scelta di un allenatore o per gestire il dossier del cambio di panchina è necessario muoversi spesso con astuzia e mestiere. Ad esempio nel caso di Spalletti, il preferito dal popolo rossonero e in particolare dall’azionista Elliott, bisognava sapere che era sotto contratto con l’Inter e che prima di sondarne la disponibilità a raccogliere l’eredità di Giampaolo, era indispensabile liberarlo da quel vin- colo per avere le mani libere e discute- re della nuova intesa. Altra riflessione da fare: in questi casi sarebbe stato opportuno un sondaggio preventivo presso la dirigenza interista per capire le intenzioni del club coinvolto indirettamente nel negoziato. Fosse stato realizzato, avrebbero scoperto un particolare molto interessante che consigliava Marotta e Ausilio a non considerare la possibilità di regalare un “incentivo all’esodo” all’ex Spalletti. Eccolo: per effetto delle regole del FFP, il costo del contratto del tecnico di Certaldo e del suo staff esonerati, valore 24 milioni al lordo delle tasse, è stato inserito come posta passiva nel bilancio chiuso il 30 giugno scorso. Pertanto, nel caso di rescissione consensuale del rapporto con Spalletti, l’Inter avrebbe guadagnato per il prossimo bilancio una plusvalenza di quasi 20 milioni (4 sono stati già versati da luglio a settembre), come se avessero ceduto un calciatore per quella cifra. Perciò sono stati intransigenti. Impallinare Pioli perché è arrivato dopo la candidatura di Spalletti, è un esercizio tipico alla Tafazzi. Sul punto varrebbe un’ultima valutazione. Se Luciano, impegnato a vendemmiare, fosse stato motivatissimo ad allenare il Milan, non si sarebbe fermato dinanzi all’opposizione dell’Inter di liquidargli la buonuscita. Avrebbe tirato dritto per dimostrare, in modo pubblico, che le due qualificazioni in Champions raggiunte ad Appiano erano da considerare altrettante medaglie sul petto. Ha ceduto invece a un sordo rancore e alla voglia di completare la vendemmia nella sua vigna.