La storia del big cinese dietro Li non ha senso. Ripeto, ad agosto poteva palesarsi se fosse così. Oltretutto si parlava da sempre di fondo di investimento e un big cinese come adesso si vorrebbe far credere, non si mette in un fondo. Quindi o non c'è mai stato, o allora hanno detto cavolate su cavolate sul fondo SES.
La storia di questa operazione di acquisto del Milan, da agosto in poi, ovvero dall'avvento della cordata, se vogliamo chiamarla così, che fa capo a Li Yonghong, è palesemente ispirata a presupposti e principii opposti a quelli del one man deal, che sta carattetizzando ad esempio l'avvento del gruppo Suning all'Inter. Nessuna holding dominante, a forte base industriale e con ispirazione internazionale, che assume il controllo del club, ma piuttosto un gruppo di soggetti statali, o a controllo statale o provinciale cinese, che vorrebbe acquisire il club per un progetto di gestione e valorizzazione dei suoi preziosi assets ed il successivo collocamento sul mercato dei capitali cinese. In questo contesto, puramente finanziario, ma mirato alla costruzione di un prodotto industriale e commerciale diffuso da vendere sul mercato cinese, è contraddittorio il pensare ad un unico, grande soggetto privato che reggerebbe le fila del gioco finanziario attraverso una galassia di banche, che in Cina sono di Stato, di asset managers di componente statale ministeriale come China Huarong, o di fondi di equity, come Haixia Capital, controllati addirittura da SDIC, che in Italia paragoneremmo ad una struttura come la vecchia IRI. Dobbiamo giocoforza immaginare una conglomerata di soggetti finanziari pubblici statali cinesi. Questo potrebbe certamente essere un limite, rispetto alla flessibilità di un unico imprenditore che investe e decide di suo, con le risorse che esso solo possiede; nei fatti, la natura di questa proposta finanziaria si sta rivelando una opportunità nella presente contingenza, segnata da un blocco valutario che altrove sta paralizzando le iniziative di m&a privata, laddove questa galassia di finanziatori sta attingendo a risorse a pronta cassa (da valutarsi in quali termini di impatto di oneri aggiuntivi), con cui affrontare, senza violare, i limiti imposti dalle recenti restrizioni valutarie. Possiamo dire con una certa sicurezza che, ove l'acquisizione del Milan fosse stata condotta, nei medesimi frangenti e condizioni, da un colosso industriale del tipo del più volte citato Dalian Wanda, essa con ogni probabilità si sarebbe arenata sullo scoglio del blocco di operazioni di m&a no core con liquidità da madrepatria. Quale possa essere il filo rosso che lega tra loro questi soggetti, e come in questo contesto si cali la figura misteriosa di Li Yonghong, le cui scarne note biografiche rivelano un passato manageriale di commis in aziende che gestivano commesse statali dentro e fuori Cina, è ancora da decifrarsi, ma l'analisi non potrà prescindere da questi dati. Con un rilievo, per così dire, di tipo reputazionale: stupirebbe che soggetti come China Huarong o Haixia Capital, si ripete, statali ministeriali, o a controllo o partecipazione statale o provinciale cinese, aziende a partecipazione statale si direbbe in Italia, possano accettare partnerships finanziarie con Li Yonghong, se non avessero certezze sullo stato dei suoi carichi pendenti nel casellario giudiziale. In Cina, la reputazione e l'onore dei pubblici poteri non sono vuote formalità, ma la base concettuale della autoaffermazione di un potere autoritario, sicché è francamente inconcepibile che aziende finanziarie pubbliche statali siano sistematicamente organizzate al servizio degli interessi personali di un gambler criminale e corrotto. Non siamo in Cile, per capirci.
