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La GDS in edicola dedica un articolo al litigio tra Maldini e Spalletti durante Napoli - Milan di domenica. La rosa titola "Rambo e il Principo. Diversi ma con lo stesso fuoco. Che scintille al San Paolo. Uno fisico, l’altro elegante, ma entrambi pronti a scattare per difendere se stessi e il club". Il litigio Maldini-Spalletti colpisce perché mette di fronte stili diversi, come i vecchi Barça-Real di Guardiola e Mourinho. Non per caso Maldini, quando deve attaccare Spalletti nel tunnel dello stadio, gli dice: «Hai visto troppi film di Rambo, mister». Rambo, uomo fisico come Spalletti, che allo Zenit festeggiava un campionato senza maglietta, con i dorsali in vista nell’aria di San Pietroburgo. Rambo, l’uomo più lontano possibile dall’eleganza naturale di Maldini e dei Maldini.
Filippo Galli sul battibecco:
Stupito dal battibecco con Spalletti?
«Era una partita tesa, la prima di un trittico delicatissimo. Ho rivisto il Paolo calciatore, il capitano che di istinto si muove per la squadra e dice: “Sono qui e la difendo”».
Da ragazzo era così? «Ha sempre avuto dentro il senso della leadership, nello spogliatoio si faceva sentire anche prima di diventare un senatore. Questione di Dna».
Il figlio del grande Cesare che brucia le tappe. Come lo percepivate voi compagni? «Non lo abbiamo mai vissuto come “il figlio di”. Fin da giovanissimo Paolo stava nel gruppo dei più grandi in modo naturale, non ha mai fatto pesare a nessuno la carta di identità. Forse, piuttosto, una certa dose di sofferenza se l’è portata dentro lo stesso Paolo ai primi tempi, ma l’ha superata grazie a una grande forza interiore. E poi il campo parlava per lui...».
Che dirigente è diventato?
«È cresciuto molto rispetto agli inizi. Ha studiato, ha imparato da chi aveva accanto ed è diventato bravissimo. Specialmente nella scelta dei tempi: sa sempre quando prendere posizione e metterci la faccia».
Filippo Galli sul battibecco:
Stupito dal battibecco con Spalletti?
«Era una partita tesa, la prima di un trittico delicatissimo. Ho rivisto il Paolo calciatore, il capitano che di istinto si muove per la squadra e dice: “Sono qui e la difendo”».
Da ragazzo era così? «Ha sempre avuto dentro il senso della leadership, nello spogliatoio si faceva sentire anche prima di diventare un senatore. Questione di Dna».
Il figlio del grande Cesare che brucia le tappe. Come lo percepivate voi compagni? «Non lo abbiamo mai vissuto come “il figlio di”. Fin da giovanissimo Paolo stava nel gruppo dei più grandi in modo naturale, non ha mai fatto pesare a nessuno la carta di identità. Forse, piuttosto, una certa dose di sofferenza se l’è portata dentro lo stesso Paolo ai primi tempi, ma l’ha superata grazie a una grande forza interiore. E poi il campo parlava per lui...».
Che dirigente è diventato?
«È cresciuto molto rispetto agli inizi. Ha studiato, ha imparato da chi aveva accanto ed è diventato bravissimo. Specialmente nella scelta dei tempi: sa sempre quando prendere posizione e metterci la faccia».
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